sabato 30 aprile 2011

Maestri a quattro zampe

"Non capisco perché la gente dice che l'educazione coi gatti è un problema”, scrisse quel tale (quel tale, vale a dire, non mi ricordo chi...), “il mio gatto non ha avuto nessun problema a educarmi.”
“Se mai dovesse mancare qualcosa”, aggiunse Charles Stuart Calverley (poeta e umorista inglese dell'Ottocento), “che sia latte, carbone, un ombrello o del brandy, state pur certi che il gatto se l'è preso servendosi di uno stivale o della prima cosa utile che ha avuto a portata di zampa.”
Partendo da questi due concetti fondamentali i nostri gatti hanno fatto prestissimo a educare me e G in modo da renderci persone migliori di quanto avremmo mai potuto essere se non fosse stato per le sagge lezioni impartiteci dai gatti. Appunto.
I gatti ci hanno insegnato l'ordine. Noi non lasciamo mai calzini in giro. I gatti li ruberebbero. L'asse del WC non la dimentichiamo mai alzata, altrimenti i gatti si tufferebbero nel water con nefaste conseguenze. Perché i gatti odiano l'acqua solo quando è l'umano a volerli lavare, altrimenti possono amarla a livelli che neanche Federica Pellegrini. La tavola viene sempre sparecchiata con cura, pena i soliti furti. Gli asciugamani una volta usati vanno riposti. Sempre. Altrimenti i gatti ci fanno su i bisognini, e questo non è bello.
I gatti ci hanno insegnato la pulizia. Nei nostri lavandini non troverete mai tracce di dentifricio, sapone, peli o schiuma da barba: i gatti li mangerebbero.
I gatti ci hanno insegnato la modestia. Sono talmente più belli ed eleganti di noi che anche quando siamo tentati di vantarci loro, con un semplice gesto, ci riportano coi piedi per terra.
I gatti ci hanno insegnato il senso del bello. Ed è veramente imbarazzante ammettere che certe volte due persone (apparentemente) adulte e mature come me e G riescono a sdilinquirsi e a restare per decine di minuti ad ammirare rapiti quel mucchietto di peli e fusa che è Kara, anche se lei magari sta solo dormendo o sorseggiando dell'acqua con delicate lappatine.
I gatti ci hanno insegnato l'amore. Con la forza, certe volte (specialmente quando di notte, per manifestarci il loro amore, ci balzano sulla faccia e in altri punti sensibili del corpo), ma l'hanno fatto.
E pensare che c'è gente che sostiene che i gatti non insegnino niente...

Nella foto: la piccola Kara ipnotizzata dal volo di una mosca.

giovedì 28 aprile 2011

La parola di oggi è... LECCARDA

Il sondaggio sugli attrezzi da cucina (qui a destra) si è concluso e il vincitore... pardon, l'attrezzo meno noto è... la LECCARDA!
Che cos'è, quindi, questo misterioso arnese? Presto detto.
Leccarda (s.f.) deriva da leccardo, che significa “ghiottone, goloso” (leccardo deriva a sua volta da leccare. Sapete che vuol dire leccare, no?). E' il recipiente di ferro che si mette sotto lo spiedo per recuperare i grassi sprigionati dalla carne. È anche quella teglia piatta che troviamo nel forno (vedi foto). Tutto qui!

venerdì 22 aprile 2011

La misura dell'amore

Eccolo, il mio piccino dagli occhi verdi!
L'amore si può misurare? In chili, per esempio?
A casa mia certe volte lo faccio.
A casa mia vive una creatura colma d'amore. È di sesso maschile. Ha occhi verdi, grandi e intensi.
Amare è la sua missione.
Passerebbe ore a coccolarmi, baciarmi, guardarmi rapito.
Sembra non stancarsene mai.
Di notte, a letto, si distende accanto a me, premendosi contro i miei fianchi, e non se ne stacca se non al mattino.
I suoi sguardi profondi trasmettono un amore altrettanto profondo, incondizionato e generoso.
Qualche volta gli capita di palparmi le tette, ma lo fa sempre senza secondi fini.
Se lo chiamo accorre subito, felice.
Se gli parlo mi ascolta sempre attentamente. Magari non capisce quello che dico, ma per ascoltare ascolta.
Per le sue orecchie la mia voce è la musica più bella del mondo.
Per i suoi occhi il mio volto è il più bello del mondo.
No, non sto parlando di G, il mio compagno.
Parlo di Trottolino, il mio gatto.
Nove, travolgenti chili d'amore.
Un po' troppo, certe volte... ma l'amore può mai essere troppo?

La parola di oggi è... SERVIZIEVOLE

Rileggendomi il mio post precedente m'è venuto un dubbio: non è che sembra che io abitualmente tratti G a pesci in faccia, vero? Non è così, ve l'assicuro. Io con lui sono la creatura più dolce e tenera del mondo. E G è pronto a confermarlo. Anche sotto minaccia, se necessario.
Non sono servizievole, tutto qui.
E siccome sono una fanatica del vocabolario, sono andata a controllare anche questa parola.
Ecco qui:
Servizievole è chi chi presta volentieri la sua opera, il suo aiuto. Però deriva da Servizio, ovvero Atto del servire e condizione di chi è servo, soggetto, suddito.
Per un missionario (non inteso come posizione amorosa) questa è un'aspirazione. Per me no.
Questo mi fa tornare in mente un episodio.
Eravamo a cena da zia Ramona. Io, G e il resto della mia famiglia. Diciamo che io e G eravamo i più giovani. Gli altri convitati erano vecchi parenti anziani.
Ora, bisogna premettere che nonostante il suo astio per la metà maschile del genere umano in generale, e per suo marito Osvaldo in particolare, la zia Ramona ha un debole per G. Un po' è anche perché lui ci sa fare. Con le mie parenti, notoriamente ipercritiche, usa gli stessi subdoli metodi seduttivi che i miei gatti usano con me quando vogliono della pappa in più. Solo che ha più successo, perché i miei gatti con me non la spuntano mai. O quasi.
Comunque, la faccenda si è scatenata perché io, a cena, mi sono macchiata di un crimine gravissimo: non ho servito G! Tutte le altre vecchie anziane parenti servivano i loro consorti prendendo il cibo dal vassoio di portata per disporlo sui rispettivi piatti, solo io non lo facevo.
“Ma come”, ha cinguettato zia Ramona con un sorrisetto carico di biasimo, “non servi da mangiare al tuo maritino?”
Per motivi che ho già spiegato io e G non siamo sposati, ma zia Ramona preferisce sorvolare su questo doloroso (per lei) argomento.
“Non vedo perché dovrei farlo io”, ho risposto, “quando è perfettamente capace di provvedere da solo.”
Non è un bambino, diamine. È in grado di tagliarsi l'arrosto senza ficcarsi le posate negli occhi!
Il sorrisetto di zia Ramona s'è smorzato. “Ma tesoooro”, ha esclamato severa, “non sei per nulla servizievole, sai?”
“No, non lo sono. Perché sono la sua compagna, non la sua sguattera.”
Zia Ramona ha sussultato, e poi mi ha ammonito agitando il ditino: “Così rischi grosso, però. Prima o poi G finirà col lasciarti per una ragazza più affettuosa.”
“Io sono affettuosa. Sono estremamente affettuosa. Sono atrocemente affettuosa”, ho sbottato puntando un coltello alla giugulare di G, “vero che sono affettuosa? Vero?!?! Dillo! Dillo, maledetto bastardo!!!”
Scherzo, ovviamente. La mia reazione non è stata così focosa.
Invece ho respirato a fondo, ho contato mentalmente fino a dieci e poi ho risposto, sorridendo e sbattendo le ciglia: “Io sono affettuosa. Ma dimostro il mio affetto in altri modi. Vero, amore?”
Gli ho accarezzato un ginocchio e gli ho schioccato un bacio sulle labbra. Senza lingua, ovviamente!
La zia Ramona ha fatto la boccuccia a culo di gallina e ha sussurrato: “Oh!”
Poi ha capito, è arrossita fino alla radice dei capelli, e ha esclamato: “OOOH!
Lo zio Osvaldo ha ridacchiato.
G ha mimato un attacco d'asma e si è versato da bere.
Mamma ha borbottato qualcosa in un orecchio di papà. Non l'ho sentita, ma doveva essere una frase del tipo: “Ma perché quella sera non siamo andati a teatro invece di rimanere in casa a fare lei?”
Gli altri vecchi anziani parenti hanno prontamente cambiato discorso.
Ma la zia Ramona questa faccenda non se l'è scordata. E prima o poi me la farà pagare, lo so.

Ma i mestieri chi li fa?

Al liceo avevo un professore di matematica antipaticissimo. Diceva sempre che era inutile mandare a scuola le donne, perché tanto per badare ai figli e sbrigare le faccende di casa la cultura non serve.
Dev'essere per questo che andavo male in matematica. Non riuscivo a seguire le spiegazioni di uno così.
I mestieri, o le faccende, invece mi erano antipatiche fin da prima. Ricordo che quando ero piccola avevo anch'io la mia parte nello svolgerle, nonostante avessimo la colf. Questo era più che giusto, quel che mi dava fastidio era l'ossessione di mia madre e di mia sorella per i dettagli. Mi facevano rifare il letto più volte, perché come lo facevo io non andava bene: le lenzuola non mi venivano mai perfettamente dritte. E ricordo anche sere d'estate trascorse a piegare e ripiegare la stessa tovaglia, finché non veniva precisa come dicevano loro.
Fu all'epoca che decisi che nella vita avrei avuto tante priorità, ma che le pieghe della tovaglia non sarebbero state fra queste.
Anche per questo quando io e G abbiamo deciso di convivere ho messo subito in chiaro un concetto fondamentale: io non ero la sua mamma, non è scritto da nessuna parte che i mestieri siano un'occupazione esclusivamente femminile, e che si fosse aspettato che io provvedessi a tutto avrebbe decisamente preso un abbaglio. Vuoi che la casa sia in ordine, le camicie pulite e stirate, il piatto pronto in tavola? Devi pensarci anche tu. Punto. Prendere o lasciare. O così o pomì.
Ho anche scritto una serie di regole:
1)    Io non raccatto calzini altrui. Se li perdi e poi li rubano i gatti per giocarci al Grande Cacciatore di calzini è un problema esclusivamente tuo!
2)    Io non ti stiro le camicie. Né altro. Io non stiro. Per fortuna abbiamo un signore che ci aiuta con lo stiraggio, ma se questo signore dovesse assentarsi ognuno dovrebbe stirare per sé*. Se ti serve una camicia stirata con urgenza hai solo due opzioni: la porti in lavanderia oppure te la stiri da solo. Non contare su di me. Ma questo lo sapeva da subito. Stavamo insieme da pochi mesi e ci avevano invitati a un matrimonio. L'omino addetto alla stiratura non c'era e lui se n'è venuto a chiedermi se potevo stirargli io il completo che doveva indossare. Io sono scoppiata a ridere e gli ho risposto: “Buona questa! E ne sai altre, di barzellette?” Da allora ha capito e si è adeguato.
3)    I piatti si lavano a turno, un giorno io e un giorno tu. E niente scuse!
4)    La scienza ha dimostrato che fare i mestieri non ha mai fatto cadere il pisello a nessuno, perciò non accetto lamentele di questo tipo.
5)    Posso cucinare quasi sempre io, cucinare mi piace. Ma non è scontato, ogni tanto potrei non averne voglia. In quei casi dovrai provvedere tu. Altrimenti ti arrangi. Il frigo lo sai aprire, no?
6)    Se vuoi stare con me devi essere autosufficiente. La mamma non mi ha fatto perché diventassi una balia asciutta. Almeno spero!

Finora ha funzionato... speriamo continui così!

C'è anche un sondaggino su questo argomento: eccolo qua :-)

*Questa è pura utopia. La verità è che quando il signore che stira si assenta noi non stiriamo, ma decidiamo di rilanciare la moda dell'indumento spiegazzato! ^___^

Doveri e piaceri

"Il primo dovere di una donna è compiacere lo sguardo di un uomo", scriveva Lucy Maud Montgomery.
Frase che mi ha sempre fatto incavolare, ma a discolpa della povera Lucy Maud va detto che la frase non rispecchia le sue idee, ma quelle di uno dei suoi personaggi: l'arzilla Nonna Vecchia (chiamata così per distinguerla dalla Nonna Giovane) di Marigold, protagonista dell'omonimo romanzo del 1929. Va anche aggiunto che Nonna Vecchia, malgrado la frase pronunciata e la "tenera" età di 99 anni, è tutt'altro che un donnino fragile e remissivo, al contrario è un personaggio estremamente forte, certe volte una vera iena...
A ogni modo, prendendo spunto da questa frase, ho creato un sondaggio sulla community di Leiweb.
Se volete darci un'occhiata basta cliccare QUI!
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate! :-)

martedì 19 aprile 2011

Fiori d'arancio? No, grazie!

Questo è un libro molto carino :-)
Io sono allergica al matrimonio.
Lo so che detto da una donna suona strano, ma è così.
È un'allergia che ho sviluppato da bambina. All'epoca m'infastidiva il pensiero di dover cambiare cognome per prendere quello di un eventuale marito. Il mio cognome abbinato al mio nome sarà anche ridicolo, ma ormai mi ci sono affezionata, fa parte di me. Non sopporterei di doverlo cambiare. Poi ho scoperto che non è più obbligatorio, ma a questo punto sono intervenute altre considerazioni. Per esempio, il concetto stesso di sentirmi inesorabilmente e ufficialmente legata a qualcuno, con quelle formule che sanno di ineluttabile e definitivo, come una condanna alla pena capitale. E se il giorno dopo per un motivo qualsiasi cambio idea? E poi, detto fra noi, io detesto le cerimonie nuziali. E se solo dovessi beccare qualcuno a lanciarmi del riso addosso giuro che prima lo strozzerei e poi lo costringerei a raccattare da terra tutti i chicchi. Con la lingua.
Altra usanza tradizionale che mi irrita: il papà della sposa che accompagna la figliola all'altare. Che senso ha? Me l'ero sempre chiesta, da piccola pensavo che fosse perché la sposa aveva i tacchi troppo alti e non riusciva a sostenersi in piedi senza un supporto. Però nel dubbio lo chiesi alla zia Linda, ch'è sempre stata tanto una pia donna. Lei mi rispose che si trattava di un gesto simbolico: il padre che affidava la figlia alla custodia del marito. Custodia?!? Come in carcere? Come se la sposa fosse un oggetto che passava da una proprietà all'altra? Eh no, cari miei. A me non piace. Se mai io dovessi sposarmi -e non succederà MAI- voglio arrivare fin lì con le mie gambe e per mia volontà, e certamente non voglio farmi affidare alla custodia di nessuno: mi custodisco benissimo da sola, grazie. Però so che se dicessi a papà che non voglio essere accompagnata lui ci resterebbe male, motivo in più per tagliare la testa al toro e decidere di non sposarmi affatto.
Sono allergica anche ai matrimoni altrui. Volete farmi un dispetto? Invitatemi a un matrimonio. Tutte le volte che ricevo partecipazioni a matrimoni la mia mente comincia subito a formulare le scuse più varie per giustificare la mia assenza. Tranne che poi non ne trovo di plausibili e non riesco ad assentarmi. L'ultima volta si è sposata una mia amica e io il giorno prima ho tentato di tutto per buscarmi un malanno e non andarci. Un po' come quando all'università avevo un esame che mi spaventava e mentre mi recavo a farlo speravo sempre di spaccarmi una gamba lungo il tragitto in modo da poterlo saltare. Non mi sono mai spaccata una gamba, e anche per il matrimonio non sono riuscita ad ammalarmi, perciò ero stata costretta a subire cerimonia e festa, anche perché ero stata precettata come damigella e non potevo scamparmela con un banale “non me la sento di partecipare”. Non vi dico come sono stata obbligata a vestirmi, vi basti sapere che sembravo una brutta copia di Shirley Temple in acido e troppo cresciuta. Spero che gli annali non conservino memoria di quell'increscioso episodio, e anche che sposi, testimoni e invitati fossero troppo ubriachi per ricordarsi di me abbigliata in quel modo. Ci sono delle foto compromettenti, questo è vero, ma sono state custodite in un luogo totalmente inaccessibile per chiunque, umano o non umano che sia. Almeno lo spero ardentemente.
Anche le feste di matrimonio, che strazio. Mi basta vedere i buffet per sentirmi male. A me piace mangiare, ma mi piace farlo per conto mio, in tranquillità, e non circondata da parenti e sconosciuti generalmente avvinazzati e troppo loquaci. Io col cibo sono un po' come il commissario Montalbano: se ho della roba buona nel piatto voglio concentrarmi solo su quella, voglio gustarmela senza distrazioni esterne. E poi il mio unico neurone non mi consente di parlare e mangiare contemporaneamente. Se mi obbligano a parlare finisce che non sento più il sapore del cibo e allora ho il doppio svantaggio di accumulare calorie senza neppure essermi goduta il peccato di gola: il danno e la beffa, in pratica.
Da ragazzina avevo una fantasia ricorrente: immaginavo il giorno delle mie nozze con invitati, sposo, abito bianco, annessi e connessi. Tutto in perfetto stile “Cenerentola”. E al momento in cui mi si chiedeva di pronunciare il fatidico “sì” io rispondevo, invece, “no, grazie, ci ho ripensato.”, alzavo i tacchi e me ne andavo lasciando tutti profondamente costernati. Nella mia fantasia mia madre sveniva assieme a zia Ramona, mio padre imprecava, Valentina aveva un travaso di bile perché le avevo rubato la scena, i suoceri mancati scoppiavano in lacrime, i lanciatori di riso restavano ammutoliti e scornati con le loro inutili granaglie e lo sposo mi rincorreva, mi baciava le mani colmo di gratitudine giurando che ero io la donna dei suoi sogni, e quindi ci allontanavamo insieme e andavamo a spassarcela per conto nostro alla faccia delle istituzioni formali e di chi si aspettava di commuoversi alle nostre spalle.
Anche per questo spero che G non mi chieda mai di sposarlo: sarei costretta a dirgli di no. Perché diciamolo, la mia fantasia mi piace molto, ma sarebbe veramente da imbecilli spendere tutti quei soldi nell'organizzazione di una cerimonia nuziale soltanto per togliersi il gusto di dire “No.” sull'altare. A meno di non essere multimiliardari, ovviamente, ma in quel caso ci sono molte altre fantasie che realizzerei volentieri per prime. E non sono neanche solo fantasie erotiche, pensate un  po'.

Buchi neri e universi neonati

Un buco nero in una rappresentazione artistica della NASA.
È il titolo di un libro di Stephen Hawking. Li avete mai letti i suoi libri? Io verso i venticinque anni ne andavo matta. Però erano ingannevoli. Mi davano l'illusione di poter capire l'astrofisica. Chiudevo il libro e mi congratulavo con me stessa, esultante: “Urrà! Ho capito tutto! Sono una scienziata anch'io!”
Due giorni dopo già non mi ricordavo più niente.
A tutt'oggi non sarei in grado di spiegare la teoria della relatività ristretta (E=MC2, per intenderci), nonostante l'abbia studiata innumerevoli volte.
Dicevo, dunque, dei buchi neri.
In casa mia dev'essercene uno dove le cose scompaiono.
E non solo le cose, perché spesso quel che perdo è la connessione internet o il campo dei telefoni.
Qualche volta mi perdo un gatto. Lo cerco dappertutto e non lo trovo. E poi all'improvviso eccolo che sbuca fuori di nuovo.
Dov'era?
Mi capita di perdermi documenti, matite, telecomandi, fotografie, libri, cd, occhiali.
Ma soprattutto scarpe e vestiti. Specialmente quando ho molta fretta e mi servono con urgenza.
Ora che c'è il cambio stagionale degli armadi, poi, è un ulteriore tormento. Non so dove cavolo ho ficcato gli indumenti estivi!
E i calzini? Vogliamo parlarne? Perché io so, per certo, di acquistarli a paia. Ma basta un lavaggio perché diventino tutti single.
Perciò mi restano solo due ipotesi: o ho una lavatrice cannibale oppure c'è un buco nero in casa mia.
E gli universi neonati?
Sono quelli che nascono attorno ai peli di gatto che svolazzano per casa.
Uno vede un singolo pelo volteggiare qua e là e lo ritiene innocuo. Poi si distrae un attimo ed ecco che quello va a unirsi ad altri suoi simili formando pianeti, asteroidi e costellazioni varie.
Decisamente in questa casa regna l'entropia!

lunedì 18 aprile 2011

Giochini scemi

Voi avete mai giocato con Google Traduttore per vedere che assurdità vengono fuori? Io sì, lo faccio spesso. Ho provato a tradurre in inglese, e poi di nuovo in italiano, il mio ultimo post. È venuta fuori una cosa esilarante. "Per guardare più bella"!!! Terribile :-D
Eccolo qui:

Questa volta comincio a prenderlo a lontano. Andiamo dal parrucchiere. Scommetto che sa troppo. Cosa fa una donna della sua vita quando lui decide che è tempo di cambiare tutto? La stessa prima cosa che fa? Ben fatto: cambiare l'acconciatura. Ci dà un taglio, per così dire. Molti uomini non capiscono perché. cambiare taglio di capelli Mica colpisce anche la vita delle persone. Mi ricordo di ciò che il mio amico ha detto che quando gli viene chiesto perché quando le donne vogliono cambiare la prima cosa che si tagliano i capelli. "Perché è meglio tagliare i capelli che vena", ha detto. Sappiamo che non saremo una nuova pettinatura per cambiare la nostra vita. Noi non siamo stupidi come si pensa. Ma è anche vero che cambiare pettinatura è cambiato aspetto, umore, e poi, così è più facile cambiare il resto. Ecco perché a volte i nostri amici (niente nomi, G, ad esempio) quando andiamo dal parrucchiere ha iniziato a preoccuparsi. L'ultima volta a dire la verità G aveva ragione di preoccuparsi. Sono preoccupato troppo. Si deve sapere che io odio andare dal parrucchiere, e quindi è molto raro a farlo di mia spontanea volontà, a meno che la mia testa non è in condizioni così disperate da richiedere un trattamento di emergenza. Naturalmente, come al solito, il parrucchiere non ha fatto quello che volevo. Poiché la moda ora essere liscia (non ballo), tutti cercando di ottenere capelli lisci, anche quando lo desiderano. Io non li voglio, ma lui li ha dato a me la stessa placcato. Sono stato terribile! "Sembri Marina Giordano di Un posto al sole", G mi ha accolto quando sono tornato a casa ", e non perché hai cambiato pettinatura?" Egli ha aggiunto con un certo sospetto. Mi grugnì qualcosa in risposta e andò a lavarsi i capelli, sperando di portare la vecchia forma. Questo è accaduto diversi mesi fa. Sabato scorso, invece è stata la volta del trucco. Non faccio spesso, perché di solito mi dimentico, mi stropiccio gli occhi e ho diffondere il mascara per il viso-panda ottenere un effetto pittoresco. Ma ogni tanto in primavera, ho preso il inspiegabile desiderio di rinnovare il mio make-up parco. Così è stato Sabato. Ho comprato un mascara, una matita per gli occhi e un rossetto costoso Chanel. Red. E costoso. Lo so, ci sono marchi ugualmente buoni e meno costosi. Ma cosa si può fare? Sapendo di avere un vero e proprio Chanel, non hanno neppure un designer di abbigliamento, anche se è solo un rossetto mi fa sentire di più ... come dire? Celebrità? Tuttavia, il fatto è che ho preso, sono andata a casa e ho provato. "Come sto?" Ho detto guardando in soggiorno, dove G stava giocando con i gatti. "B. .. beh, ma m. ..", egli balbettò, impallidendo. E poi è svenuto. Ho cercato i sali di rianimarlo. Un tempo in cui uno lo rianimò rendendolo leggero odore di sale. Quando ero piccolo ho pensato che fossero sali da bagno. Scherzo, non è inconscio. Ma era molto perplesso. "E 'un po' ... rosso", ha aggiunto, dopo il complimento, mostrando quindi un notevole spirito di osservazione, "Non ho mai messo davanti a un rossetto così rosso." Questo non è corretto, perché a diciotto anni ho attraversato una fase in cui ho sempre portato questo colore di rossetto. Ma quando avevo diciotto anni, GI, non lo so ancora. "Ma questa volta ho preso uno." Ho risposto. "P. .. Per cosa?" Gli chiese. Per cosa? Per scrivere messaggi agli alieni sui tetti di Milano, non è vero? Tutti sanno che Chanel Rouge è visto dallo spazio! "Che cosa facciamo con un rossetto? Polenta? Mi ha messo su le labbra, naturalmente!" "Sì, ma perché?" G chiesto più e più perplesso. Mi si strinse nelle spalle. "Per guardare più bella, credo." "Perché?", Ha continuato con l'aria di chi desidera invece: "Confessate Hai un altro!?!?" Ora, prima di pensare che G sia paranoico, devi capire che il fatto che ho deciso di "farmi bello" è un evento raro. Così, quando accade comincia a farsi sospettoso. "Non farlo mai per me", dice, "così è ovvio che lo fa per qualcun altro." Questo atteggiamento in parte mi preoccupa, in parte mi diverte e mi fa un po tenerezza. Sì, perché lui davvero pensa che se ho messo un po 'di make-up quando esco poi gli altri si girano intorno a guardarmi? Per ottenere questo devo almeno vestito come il Divino Otelma. Ma poi non è così sicuro che sarebbe sguardi ammirati. Tuttavia, è esagerato. Io mica lo sospettano di tradimento ogni volta che fa la barba. E questo è un evento raro!
PS: G ha appena letto quanto sopra e mi ha chiesto di precisare che in realtà non è come se fossi stupida (dice lui) mi ritrae. Non mi sembra di ottenere attraverso un pazzo, se non altro, divertente un po '. Ma non siamo tutti, o quasi?

Trucco e parrucco

Stavolta comincio prendendola alla lontana. Partiamo dal parrucco.
Scommetto che lo sapete anche voi. Cosa fa una donna quando decide che nella sua vita è tempo di cambiare tutto? La primissima cosa che fa? Bravi: cambia pettinatura. Ci da un taglio, per così dire.
Molti uomini non ne capiscono il motivo. Mica cambiare taglio di capelli influenza anche il corso della vita. Ricordo cosa rispose una mia amica quando un tale le domandò perché quando le donne vogliono cambiare come prima cosa si tagliano i capelli.
“Perché è meglio tagliarsi i capelli che le vene”, disse.
Lo sappiamo anche noi che non sarà una pettinatura nuova a cambiarci la vita. Non siamo sceme come credete. Però è anche vero che cambiando pettinatura si cambia aspetto, e quindi umore, e quindi è più facile cambiare anche il resto.
Ecco perché certe volte i nostri compagni (senza fare nomi, G, per esempio) quando andiamo dal parrucchiere cominciano a preoccuparsi. L'ultima volta a dire il vero G ha fatto bene a preoccuparsi. Mi sono preoccupata anch'io.
Dovete sapere che io detesto andare dal parrucchiere, e pertanto è rarissimo che lo faccia di mia spontanea volontà, a meno che la mia testa non sia in condizioni tanto disperate da richiedere un intervento d'urgenza. Ovviamente, come al solito, il parrucchiere non ha fatto quel che volevo io.
Siccome ora va di moda il liscio (non il ballo), cercano tutti di farti i capelli lisci, anche quando non li vuoi. Io non li volevo, ma lui me li ha piastrati lo stesso. Stavo malissimo!!!
“Sembri Marina Giordano di Un Posto al Sole”, mi ha accolto G quando sono rincasata, “e comunque perché hai cambiato pettinatura?”, ha aggiunto con un certo sospetto.
Io ho grugnito qualcosa in risposta e sono andata a lavarmi i capelli sperando di riportarli all'antica forma.
Questo capitava diversi mesi fa.
Sabato scorso invece è stata la volta del trucco. Io non mi trucco spesso, anche perché di solito me ne dimentico, mi strofino gli occhi e mi spargo il mascara per la faccia ottenendo un pittoresco effetto-panda.
Ma ogni tanto, spesso in primavera, mi prende l'inspiegabile brama di rinnovare il mio parco make-up. Così è stato sabato. Mi sono comprata un mascara, una matita per gli occhi e un costosissimo rossetto Chanel. Rosso. E caro.
Lo so, ci sono marche altrettanto buone e più economiche. Ma che volete farci? Sapere di avere su un autentico pezzo Chanel, io che non ho neanche un capo d'abbigliamento griffato, anche se è solo un rossetto mi fa sentire più... come dire? Gnocca?
Comunque il fatto è che l'ho preso, sono tornata a casa e me lo sono provato.
“Come sto?”, ho detto affacciandomi in salotto, dove G stava giocando coi gatti.
“B... bene, m... ma”, ha balbettato lui, impallidendo. E poi è svenuto.
Io ho cercato i sali per rianimarlo. Un tempo quando uno sveniva lo rianimavano facendogli annusare i sali. Quand'ero piccola pensavo che fossero sali da bagno.
Scherzo, non è svenuto.
Ma è rimasto assai perplesso.
“È un po'... rosso”, ha aggiunto, dopo il complimento, manifestando così un notevole spirito d'osservazione, “non avevi mai messo prima un rossetto così rosso.”
Il che non è esatto, perché a diciott'anni ho attraversato una fase in cui portavo sempre rossetti di questa tinta. Però quando avevo diciott'anni G non mi conosceva ancora. Anche perché io a diciott'anni non frequentavo i trentenni: mi sembravano vecchi. Come si cambia, eh? Ma questo è un altro discorso. Torniamo alle perplessità di G.
“E invece stavolta ne ho preso uno”, gli ho risposto sabato.
“P... per farne che?”, ha domandato lui.
Per farne che? Per scrivere messaggi per gli alieni sui tetti di Milano, no? Lo sanno tutti che il Rouge Chanel lo si vede anche dallo spazio!
“Che vuoi che ci faccia con un rossetto? La polenta? Me lo metto sulle labbra, ovviamente!”
“Sì, ma perché?”, ha domandato G sempre più perplesso.
Ho fatto spallucce. “Per sembrare più carina, immagino.”
“E perché?”, ha continuato lui con tutta l'aria di chi intenda invece: “Confessa, sciagurata! Hai un altro?!?”
Ora, prima di pensare che G sia paranoico, dovete calcolare che il fatto che io decida di “farmi bella” è un evento raro. Perciò quando capita lui comincia a farsi sospettoso.
“Non lo fa mai per me”, si dice, “perciò è ovvio che lo fa per qualcun altro.”
Ragionamento sbagliato in partenza, perchè io non "mi faccio bella" per lui, né per altri. Lo faccio per me, perché quando mi guardo allo specchio mi piace vedere una faccia gradevole.
L'atteggiamento di G in parte mi secca, in parte mi diverte e in parte mi fa tenerezza. Sì, perché G crede che siccome piaccio a lui debba piacere anche agli altri. Però non glielo dico, perchè sembrerebbe che lo accusi di non avere buon gusto.
Ma lui pensa davvero che se mi metto un po' di trucco quando esco poi gli altri si voltano a guardarmi? Per ottenere quest'effetto dovrei come minimo abbigliarmi come il Divino Otelma. Ma poi non sono tanto sicura che sarebbero sguardi di ammirazione.
Comunque è esagerato. Io mica lo sospetto di tradimento ogni volta che lui si fa la barba. E anche questo è un evento raro!

PS: G ha appena letto quanto sopra e mi prega di precisare che nella realtà non è scemo come lo sto (dice lui) ritraendo io. A me non sembra di farlo passare da scemo, semmai un po' buffo. Ma non lo siamo tutti, o quasi?

2000!

Wow! Abbiamo superato le 2000 visualizzazioni! Ma grazie! :-)

Principi e Principesse

Ho notato che qualcuno è arrivato su questo blog cercando di sciogliere un dubbio che non esito a definire amletico: ma se il principe è azzurro, la principessa di che colore è?
Ma è ovvio, ragazzi miei.
Se vogliamo restare nel magico mondo del luogo comune, se il principe è azzurro la principessa non può che essere rosa!
È lampante, no?

Nell'illustrazione in alto a destra: quella simpaticona di Cenerentola non fa che smentirmi e continua imperterrita a vestirsi di celeste!

Perché gli uomini non ricordano mai gli anniversari?

Perché è così che succede, no? È un classico talmente classico che qualcuna ha anche smesso di chiederselo. Perché? Perché sono uomini! La risposta basta e avanza.
E poi ci sono le eccezioni.
A casa mia succede l'inverso.
Come oggi.
Stamattina me ne stavo tutta garrula (si fa per dire) davanti al computer e tentavo inutilmente di farmi venire la voglia di fare un certo lavoro immondo e malpagato.
Mi si avvicina G, con aria vagamente accigliata, si piazza di fianco a me con le braccia conserte ed esordisce:
“Ma tu lo sai che giorno è oggi?”
“Certo”, rispondo io allegra, “oggi è il 18 di aprile.”
Felice di aver dimostrato di sapere almeno in che periodo dell'anno siamo, mi rimetto a scrivere. Ma lui non demorde.
“E poi?”
“È anche lunedì.”
Qualche minuto di silenzio interrotto solo dal tic tic delle mie dita sulla tastiera.
“E poi?”, insiste lui, inesorabile come sa essere solo Corrado Augias con i suoi ospiti più impreparati.
Ci rifletto. Che razza di data può essere il 18 aprile? Non è la festa dei lavoratori, e neppure quella della donna. Non è sicuramente Natale, e neanche Pasqua.
“Mancano dodici giorni alla fine del mese?”
“E poi???”
“Fra ventiquattro giorni comincia il Salone del Libro di Torino?”
“E poi?????”
Rifletto.
Rifletto di nuovo.
E poi mi si accende una lampadina.
“Oh, porca miseria... me n'ero dimenticata!!!”
“Lo immaginavo!”, sbuffa lui allontanandosi scontento per andare a lavare i piatti.
Perché oggi è il nostro anniversario, e io l'avevo scordato!
Io dimentico sempre gli anniversari. Lui mai. In compenso se gli chiedete chi gioca nella Juventus è capace di rispondere “Cabrini”. Perché non segue e non ha mai seguito il calcio.
Insomma, siamo anomali.
Vuoi vedere che in realtà io sono un uomo e lui è una donna?
E allora chi è che ci ha scambiato gli attributi?

sabato 16 aprile 2011

La parola di oggi è... VERGOGNA

Vergogna, sf, deriva da verecondia, che a sua volta viene dal latino verēri, ovvero “timore, rispetto”. 1• Turbamento e timore che si prova per azioni, pensieri o parole che sono o si ritengono sconvenienti, indecenti, indecorose e simili e che sono o possono essere causa di disonore o rimprovero. 2• Senso di soggezione, timore e simili dovuto specialmente a timidezza. 3• (raro) Modestia, pudore. 4• Rossore del viso provocato da vergogna. 5• Onta, disdoro, disonore. 6• Cosa o persona riprovevole, che è motivo di vergogna, disonore e simili.
Dal Vocabolario della Lingua Italiana Zingarelli, edizioni Zanichelli, Bologna 1970

Perché ne parlo? Perché ultimamente un sacco di gente sembra non conoscere il significato di questa parola. Mi riferisco a qualcuno in particolare. Non dico chi per non ficcarmi nei guai, ma voi siete intelligenti e avrete senz'altro capito. Non è difficile.
È gente che, vista la posizione occupata, questa parola dovrebbe conoscerla bene. Invece no. Si vede che il loro vocabolario non la porta. Anzi, ora che ci penso, è probabile che il vocabolario non ce l'abbiano nemmeno. Oppure lo usano per pareggiare le zampe dei tavolini, o dei tacchi alti.
Peccato, perché è una bella parola. Significa “rispetto”. Vuol forse dire che questa gente di rispetto non ne ha, se non per sé stessa? Comincio a pensare che stia qui l'inghippo...

venerdì 15 aprile 2011

La parola di oggi è... COMPLICITA'

Oggi sono logorroica, me ne rendo conto. Sto scrivendo su un sacco di argomenti (WOW! Sono già al cinquantesimo post su questo blog!). Eppure ho fatto anche altre cose. Non so spiegarmi questa iperattività. Forse è un effetto collaterale della dieta. Pur di non ricordarmi che in realtà ho fame e vorrei solo trangugiarmi il tiramisù nel frigo, scrivo. Vorrei convincere G a mettersi a dieta anche lui, così almeno non mi mangerebbe sotto il naso facendomi gorgogliare lo stomaco di desideri insoddisfatti. Ma non ci riesco. In questo non mi è per niente complice.
Ah, già! Si parlava di complicità.
Questa parola mi è venuta in mente perché in tutte le riviste quando si parla di rapporti di coppia si accenna a questa famosa complicità. Tra partners ci vuole complicità. Il bacio rafforza la complicità. Bisogna sentirsi complici nell'amore, nel sesso, nella vita quotidiana. Quando si fa la spesa. Quando si esce insieme. Quando si vanno a trovare gli amici. Quando si visitano i parenti. Quando si organizzano le vacanze. Ci vuole complicità. Sempre.
Mi sono chiesta: “Ma tra me e G c'è complicità?”
E poi m'è venuta in mente la Banda Bassotti. Ho immaginato io e lui che cercavamo, insieme, di svaligiare il deposito di zio Paperone.
Perché? Forse ho un'idea distorta della complicità.
Quindi sono andata a dare un'occhiata sul vocabolario. Ecco che ho trovato:
Complicità, sf, l'essere complice. Complice, sm e f [dal tardo latino cŏmplice(m), dalla stessa radice di plěctere: intrecciare], chi prende parte con altri ad azioni disoneste o illecite.
Ah! Allora avevo capito bene!
Quindi io e G dovremmo essere come la Banda Bassotti.
Speriamo solo che non ci becchino!
Mi fa venire un po' in mente la canzone di Arisa:

Complicità
Adesso tutto è un po' più semplice
Basta non ci sbattano in carcere
In una cella fetida
Lala lala lala...

Gli stivandali

Non sono ancora riuscita a capire quale sia il loro nome vero. C'è chi li chiama stivali-sandalo, chi li definisce sandali-stivaletto... io li chiamo stivandali. Il termine, che a mio modesto avviso illustra brillantemente la loro natura vandalica, è stato coniato da G, che sicuramente di moda ne capisce più di me. Non che ci voglia molto, comunque...
Insomma, sono quelle calzature aperte sulle dita come i sandali ma che s'inerpicano sulla gamba come stivali. E sono anche le cose più orrende mai prodotte nella storia delle calzature. Roba che neanche lo stivale zeppato dei Pooh negli anni Settanta può eguagliare. Eppure le donne gli stivandali li comprano. Non solo. Se li mettono anche. Ne vedo a migliaia in giro, ai piedi delle più insospettabili. Da almeno un paio d'anni. È questo che non comprendo. Fanno l'effetto delle ghette senza scarpe di Paperon de' Paperoni.
Devo aver già detto da qualche parte che non capisco il senso di scarpe che un po' coprono e un po' no. Un po' scaldano e un po' rinfrescano. Ho letto da qualche parte che le scarpe non devono avere un senso, devono piacere. E se queste piacciono vuol dire che sono belle, anche se sono brutte...
No, non ce la posso fare. Non le capisco. Sono giunta alla conclusione che se anche gli orrori riscuotono successo è perché qualcuno si e ci convince che l'orrore sia un irrinunciabile e imperdibile oggetto stiloso. Un must have! Fa schifo, ma è trendy!
Per questo ho deciso di rilanciare e mescolare le carte della moda scarpe creando il contrario degli stivandali, i sandavali. In basso chiusi come scarponcini scamosciati e in alto con allacciatura alla schiava. È un modellino estivo, naturalmente, oserei dire da spiaggia. L'interno in montone serve a conferire al piede quel delizioso aroma al pecorino che ben si addice ai gusti al basilico e pomodoro tipici della calda stagione. Affrettatevi, perché potrebbero essere gli ultimi modelli.
Ovviamente non venderò nulla, perché le ho inventate io. Se le avessero inventate D&G diventerebbero ricercatissime e di tendenza in un batter di ciglia.
Ho scritto questo post per un motivo bieco e infame: per attirare con l'inganno lettori e lettrici che invece cercano serie notizie sul fashion world e sullo stile (dico fashion e non moda perché è una parola più alla moda... anzi, più fashion). E anche perché spero che qualcuno sappia darmi una spiegazione plausibile sul perché gli stivandali hanno successo pur essendo orrendi.

PS: tra una maratona di shopping e una crisi fashionista, un attacco da shop-a-holic e uno da shoes-a-holic (uso questi termini a tutto beneficio di Google) ricordatevi anche che il 12 e il 13 giugno ci sono i referendum. E poi dite che non scrivo mai cose serie!
PPS: fashioniste, vi prego, non prendetevela. Io scherzo. La mia è tutta invidia, perché di moda non capisco niente!!! ;-)
PPPS: Ho appena scoperto che il termine "stivandali" è stato usato anche da altri. G ci rimarrà malissimo quando lo scoprirà...
PPPPS: Ora che ci penso, gli stivandali mi ricordano anche una fasciatura ortopedica!

Perché non scrivo mai cose serie?

Già, perché non parlo mai di cose serie? O di cose meno serie, ma in modo serio? Forse perché non ne sono capace. O perché sono scema. O per entrambi i motivi.
Però un po' mi dispiace. Con tutto quello che succede nel mondo, sembra che io viva in un universo a parte, quello di frutta candita.
Non è così, naturalmente. So benissimo quel che mi capita attorno, vicino o lontano che sia. E ho anche le mie opinioni. Ma, come disse Battiato, preferisco non raccontarle in giro. Perché per farlo bisogna avere una cultura e una preparazione che io sento di non avere. Riconosco i miei limiti. Questo, dovete ammetterlo, va a mio onore. Rischierei di scrivere solo banalità se cercassi di fare la seria. Voi direte: ma guarda, che sei banale anche così. Avete ragione, ma almeno mi muovo in maniera più appropriata a me.
Mi arrabbio anch'io, cosa credete? Mica rido sempre! Spesso, ma non sempre. Però alla fine cerco di vedere i casi della mia vita, che non sono seri quanto i casi del mondo, attraverso le lenti dell'umorismo e del sarcasmo (che qualcuno potrebbe confondere con acidità di stomaco... anche perché il sarcasmo è effettivamente una dote un po' acida). E così mi accorgo che preferisco una risata a una lamentela. Tanto anche se mi lamento, che cambio? Nulla. Almeno se rido mi migliora l'umore.
Cerco di ridere tutti i giorni. Perfino quando faccio l'amore con G! Neanche in quei momenti riesco a mantenermi seria e passionale come etichetta vorrebbe. Ma in fin dei conti non è più divertente farlo ridendo che gemendo?

Essere o apparire? Questo è il dilemma...

"Se bella vuoi apparire, assai devi soffrire”, dice il proverbio. Perlomeno nella forma tramandata dalla mia famiglia. Lo sentii per la prima volta che ero piccola, e allora decisi che apparire bella non sarebbe mai stata la mia priorità. Un conto era essere belle per natura, ma se diventarlo voleva dire massacrarmi allora non ne valeva la pena.
Mia mamma non era d'accordo, ovviamente.
Io ho un conflitto con mia mamma. Ne ho parecchi, in realtà. Tutte le donne ne hanno. A meno di non essere orfane, è un fenomeno naturale e inevitabile come la pioggia e le maree.
Dunque, mia mamma sostiene che l'aspetto esteriore di una persona è importantissimo, fondamentale. Per anni ha cercato inutilmente di insegnarmi questo principio vitale. “La gente ti giudica da come ti vede”, mi dice scuotendo mestamente la testa. Lo scuotimento della testa indica chiaramente che secondo lei la gente mi vede malissimo.
Forse non ha tutti i torti, magari giudicare in base alla vista è una qualità istintiva per noi in quanto primati (primati intesi come animali, con come arcivescovi). Forse era questo il senso che permetteva ai nostri progenitori selvatici di sopravvivere e di portare avanti la specie. Probabilmente ci capita anche se non vogliamo, perché è un carattere innato e spontaneo. Del resto c'è anche stata qualche ricerca scientifica che ha dimostrato che i belli hanno tendenzialmente più successo nella vita che i brutti. Per successo intendo riuscire a ottenere ciò a cui si aspira, qualunque cosa essa sia.
Forse è per questo che io faccio fatica a raggiungere qualunque obiettivo. Per questo e anche perché sono, obiettivamente, pigra. Perché scapicollarsi quando invece posso fare un riposino?, mi dico. Ma questo è un altro discorso.
Il conflitto con mia mamma è fonte di stress. Perché non si limita alle frasi filosofiche e allo scuotimento della testa, ma va oltre. Tutte le volte che ho qualche incontro importante, soprattutto lavorativo, mia mamma comincia a sfrigolare come un uovo al tegamino e a concentrarsi (e costringermi a concentrarmi) sul mio patetico look. Non che lei sia una fashion-victim*, ma l'eleganza le piace e non capisce come mai non sia riuscita a lasciarmela in eredità assieme al naso e all'ovale del viso. Così facendo, però, mi distrae dai miei obiettivi. Che sarebbero, banalmente, di riuscire a preparare delle proposte interessanti in modo da aver qualcosa di cui parlare o da presentare a quegli incontri. Insomma, se devo girare come una trottola tra estetisti, parrucchieri e prove di vestiti e scarpe, me lo dite dove lo trovo il tempo per scrivere? Così generalmente finisce che mi presento, sì, a posto e “grossomodo” in tono con i desideri materni, ma che quando poi si deve effettivamente parlare di lavoro non ho quasi nulla da dire e l'incontro si conclude col classico “le faremo sapere”, che in gergo strettamente tecnico significa “sparisci, razza d'incompetente”.
Non va sempre così, certe volte riesco a far sì che mamma non sappia nulla dei miei progetti lavorativi, così posso dedicare il tempo alle cose che considero realmente importanti. Tipo cosa dire o cosa scrivere.
A guardarmi attorno mi viene da pensare, però, che se le volte in cui fallisco miseramente va così è perché non sono realmente bella. Altrimenti mi prenderebbero in considerazione lo stesso. Forse.
Visto che non vale la pena faticare tanto?

PS: ho scritto “look” e “fashion-victim” perché ho notato che le parole di ricerca che più attirano in questo blog sono quelle inerenti alla moda, malgrado sia l'argomento che meno al mondo mi si confà. Anzi, ne aggiungo delle altre: scarpe, leggings, sandali, tronchetti, stivaletti spuntati, fashion addict, stiletto, pantaloni alla turca, jeggings, skinny jeans, cuissardes... chissà che succede? :-P

Nell'immagine: un disegno che feci da ragazzina, quando progettavo di diventare stilista (Ah! Ah!): è anni Ottanta abbestia!!!

giovedì 14 aprile 2011

La parola di oggi è... PROCRASTINARE

So che starete pensando, guardando l'immagine qui a destra. Sbagliate. Non intendo parlare di orologio biologico e desideri di maternità. Quello è un fenomeno lontano anni luce dal mio essere. Oddio, forse da piccola progettavo di avere dei pargoli, da grande. Ma è un'idea che ho abbandonato attorno ai vent'anni, quando per un po' mi sono ritrovata a fare la baby sitter.
No, decisamente non è di questo che volevo parlare.
Parlavo proprio del verbo “procrastinare”. Che, vocabolario alla mano, significa “differire, rimandare qualcosa di giorno in giorno”.
Quello che sto facendo io adesso, in sostanza. Sto scrivendo sul blog invece di terminare quel lavoro urgentissimo che avrei dovuto consegnare in giornata. Stamattina mi hanno chiesto quando l'avrei consegnato. “In giornata”, ho risposto io. Ma non ho detto quale giornata.
No, non sono una lavativa come starete senz'altro pensando. È che alcuno dei lavori che mi tocca fare proprio non mi piacciono. Sono difficili, inutili e malpagati. Questo, poi, forse non me lo pagano neppure.
E urgentissimi, ovviamente. E mi cascano sempre tra capo e collo, quando ho mille altre cose da fare, anche loro urgenti. Ma puntualmente mi tocca mettere da parte le urgenti per le urgentissime, così alla fine mi viene l'ansia di non riuscire a fare tutto. Spesso, poi, le cose urgentissime sono più d'una, e io non so che pesci pigliare.
Siccome questa cosa non mi va giù, spesso e volentieri finisce che mi blocco. Perché fare le cose urgentissime (oltre che brutte, inutili e malpagate) mi logora i nervi. Così mi capita di starmene lì, a fissare la lista dei miei doveri, chiedendomi quale tra i lavori urgentissimi sia più urgente. Insomma, da quale devo cominciare? Nel dubbio, da nessuno. E procrastino.
E poi vado in crisi, come adesso.
Sapete che vi dico? Io me ne vado a dormire e il lavoro urgentissimo lo faccio domani mattina. Tanto lo so che in realtà nulla è mai urgentissimo come vogliono farmi credere...

mercoledì 13 aprile 2011

Questioni di cuore... e non solo

Oggi, mentre leggevo le notizie dalle varie newsletter a cui sono iscritta, mi sono imbattuta in quest'articolo: Uomo, più sesso fai meglio stai (potete aprire tranquillamente il link, non è roba porno ma un articolo sul sito di Ok, la salute prima di tutto, rivista medica a cura della Fondazione Umberto Veronesi. Roba seria, insomma).
A parte l'incipit alla Aldo Rock, che per un istante mi ha raggelato (“Uomo! Sei pronto a correre i cinquemila chilometri a testa in giù nel Sahara a mezzogiorno?” “Col piffero!”), il mio primo pensiero è stato: “Adesso stampo la pagina e la faccio trovare casualmente sul cuscino a chi so io!”
In sostanza l'articolo sostiene che agli uomini fa bene fare sesso più spesso possibile, almeno due volte alla settimana, perché quest'attività aumenta il testosterone proteggendo il sistema cardiovascolare e prevenendo gli infarti. Inoltre è un ottimo antidepressivo naturale.
“Bene”, mi sono detta, “se riesco a convincerlo che è vero sarà un'ottima cosa anche per me.”
Ma prima di partire col mio losco sotterfugio, ho deciso di dare un'occhiata al servizio, giusto per vedere di che si tratta. Sì, perché oltre a raccontare la faccenda del sistema cardiovascolare, danno anche un po' di consigli per “farsi venire la voglia”, per così dire.
E quelli io ho letto con attenzione. Ma di nascosto, e anche adesso ne scrivo a notte fonda. Un po' perché sono nottambula di mio, e un po' perché se il mio compagno se ne accorge è capace di aversene a male. Lui s'imbarazza moltissimo quando parlo di sesso, e non ho mai capito perché. Tra l'altro questo benedetto uomo dovrò pur chiamarlo in qualche modo, perché dire sempre “compagno” mi fa sentire tanto veterocomunista e termini come “ragazzo” o “fidanzato” alla nostra età sono sinceramente ridicoli. Ma lui non ci tiene a essere menzionato nel mio blog, preferisce un tranquillo e pacato anonimato web. Idea: lo indicherò con una lettera. G.
Ecco, G per certi versi è un po' timido e se parlo troppo esplicitamente di sesso s'imbarazza e arrossisce come Fabio Fazio quando la Littizzetto affronta il medesimo argomento.
Ecco perché ne scrivo di notte, quando lui dorme, così non mi vede e non può imbarazzarsi.
Torniamo a bomba, altrimenti va a finire che mi dilungo troppo sul mistero per cui spesso i nostri uomini sono capaci di dire porcate solenni quando sono tra loro ma se la loro donna accenna a parlare di sesso in maniera del tutto normale e innocente diventano timidi e pudichi come verginelle davanti al David di Michelangelo. Ne ho vista una, una volta: uno spettacolo.
Dicevo, torniamo a bomba.
I consigli dati sono sul cibo e sullo stile di vita.
Per esempio, pare che l'eccesso di ciccia diminuisca la quantità di testosterone trasformandolo in ormoni femminili. Se così fosse, allora io dovrei sprizzare femminilità da tutti i pori. Anzi, quasi quasi vado a finirmi quella porzione di tiramisù che da due ore mi chiama dal frigo, così poi sono ancora più femminile. Ma forse con le donne funziona in maniera diversa, qui non lo dicono.
Lo stress sul lavoro invece spegne la libido, quindi loro consigliano di evitarlo. Lo stress, non il lavoro! Peccato che spesso la cosa non dipenda dal singolo ma da tutto quel che gli sta attorno. Uno non si stressa apposta, no?
Una bella camminata, però, di almeno un'oretta al giorno e a passo veloce (a Milano è quantomeno ovvio: se provi a rallentare come minimo il pedone dietro t'investe!), riattiva la circolazione, soprattutto nella zona pelvica, favorendo la diuresi... pardon, l'erezione.
Un bicchiere di vino rosso, un po' di peperoncino piccante e una o due tazzine di caffè facilitano l'afflusso sanguigno innalzando la libido. Ma non bisogna esagerare perché altrimenti il sangue affluisce troppo con conseguenze nefaste.
Dunque, ricapitolando, io prendo G, lo porto a spasso per un'oretta tipo labrador (servirà mica anche un guinzaglio?), poi gli propino caffè, vino rosso (quindi devo ricordarmi di non bermelo tutto io ma di lasciarne un po' anche per lui), peperoncino piccante... anzi, il contrario: prima il peperoncino. Il vino gli servirà per smorzare l'effetto del piccante. E un'insalatina. Sì, perché sennò poi m'ingrassa. Per lo stress da lavoro non posso farci niente, non dipende da me, ma comunque mi sembra di essere già a buon punto. Dopodiché lui dovrebbe saltarmi addosso. Per dirmi: “Dove hai nascosto la pasta al sugooo??? Tirala fuoriii!”
A quel punto però l'avrò già mangiata io.
Sì, dovrebbe funzionare.
Peccato solo che non riesca a trovare un articolo corrispondente per le donne. Del tipo “Donna: più sesso fai più sarai sana e in forma, e il tiramisù ti renderà più avvenente che mai”. Sarebbe un bel colpo!

Romanticoni online

Per la verità è un fenomeno che c'è da tempo, ma da un po' mi pare si stia diffondendo come una fioritura di brufoli la mattina di un incontro importante. L'avete notato anche voi? Parlo dell'abbondanza dei romanticoni da internet. Facebook ne è piena. Tutte le volte che ci vado immancabilmente trovo nella homepage qualche frase impregnata di zucchero e miele, spesso accompagnata da foto altrettanto melense come cuccioli, bambini, farfalle, fiori e cuori intrecciati. Qualche volta anche figoni o figone con pochi vestiti, ma più raramente. Spesso tali frasi sono anche dense di strafalcioni, ma è una cosa che non si può far notare perché si sa: i romanticoni sono sensibili e ci restano male. E comunque non sono per niente interessati a scrivere bene. “Quel che conta è il pensiero”, direbbero loro, “solo un'insensibile come te potrebbe notare lo strafalcione.”
Siccome io sono effettivamente un'insensibile, almeno dal punto di vista di un romanticone classico, ho raccolto un po' delle loro frasi, trovate in rete, giusto per dare un esempio di ciò che intendo. Tra parentesi ci sono i miei commenti (insensibili come me). Quelli che mi nascono spontanei quando leggo le frasi, ma che non oso postare per tema di apparire insensibile.


1)    Una volta che una lampada è stata accesa, non può che far luce. (A meno che la lampadina non sia fulminata...)
2)    Il mondo sarebbe meglio se ci sarebbe più amore. (Evviva la lingua italiana!)
3)    Fa' che la tua vita sia come una rosa. (Piena di ragni come le mie rose?)
4)    Nella semplicità si nascondono le cose migliori. (Certe volte si nascondono molto bene)
5)    La felicità è il profumo della nostra anima. (Ecco, lo sapevo che dovevo lavarmi più a fondo!)
6)    Perché sorridi anche quando vorresti piangere? (Saranno anche fatti miei, no?)
7)    Ho un cuore malato d'amore. (Brutta cosa! Che dice il cardiologo?)
8)    Tutto quello che ho bisogno in certi giorni sarebbe un po' d'amore. (No: hai bisogno anche di una buona grammatica italiana!)
9)    Non mi piace capire le cose. (S'era capito)
10)    Le emozioni più forti sono quelle che rimangono nel silenzio. (E allora perché ci intasi la rete?)
11)    Solo chi ha coraggio non teme di mostrare le lacrime. (Dipende. Conosco un mucchio di gente che lo fa solo per farsi compatire ed estorcere attenzione in modo subdolo)
12)    Il mio difetto più grande? Sono troppo sensibile! (Traduzione: vieni a letto con me?)

L'ultimo commento non è casuale. Quando io ero adolescente, prima dell'era di internet (lo so, miei giovani amici: vi sembra impossibile ma c'è stato un tempo in cui internet non esisteva. E io, dall'alto dei miei innumerevoli anni, quel tempo l'ho visto e conosciuto!), frasi così le scrivevano solo le ragazzine nel diario. E attorno ci disegnavano cuoricini, stelline e coniglietti dalle orecchie lunghe come quello a inizio post. Fino a qualche anno fa pensieri di questo tipo li trovavo solo nei blog femminili, per lo più di adolescenti o di romantiche zitelle (che però non avevano smesso di aspettare l'uomo dei sogni, e ciò forse deponeva a loro favore). Questo mi fa tornare in mente la mia professoressa di lettere del liceo. Anche lei era una zitella romantica. Sapeva un mucchio di cose sulla letteratura (con netta preferenza per il dolce stil novo, naturalmente), ma tutte le volte che doveva parlare con un uomo, fosse anche stato quel buzzurro del prof. di matematica che le comunicava l'orario della prossima riunione, cominciava a balbettare e diventava tutta rossa. Faceva tenerezza. Noi provavamo tenerezza. Ma essendo anche giovani bastardi invece di trattarla con delicatezza approfittavamo della sua sensibilità per farci i comodi nostri, tipo scappare in bagno a fumare durante la lezione e senza chiederle il permesso.
Forse lei scriveva frasi simili nel diario, tra una carta di cioccolatino, una rosa appassita e una poesia di Guido Cavalcanti.
Ma torniamo a noi.
Se prima le frasi sdolcinate erano caratteristica femminile, adesso mi accorgo con una certa dose d'inquietudine che spesso e volentieri gli autori e/o postatori di quei pensierini sono uomini.
Non fraintendetemi. Non sono assolutamente la tipa che sbava dietro al “bello e dannato”, o che si sdilinquisce per il macho che “non deve chiedere mai niente a nessuno”. Però ci sono veramente uomini che scrivono quasi sempre e soltanto frasi del genere. Come se la loro missione nella vita fosse spargere miele sul mondo. Sono i romanticoni da rete. Ora, che gli uomini siano più sensibili ed emotivi che un tempo è anche una cosa bella. Ma quando esagerano e prendono a tracimare come una maionese impazzita, la faccenda comincia a puzzarmi. Vuoi vedere, mi dico, che questo è solo un subdolo trucco per broccolare le dolci fanciulle che sono ancora in fremente attesa del Principe Azzurro? Che quando scrivono online sembrano un concentrato di tenerezza, ma che poi dal vivo sono gli stessi che ti ruttano in faccia dopo averti palpato il sedere?
Tanto tempo fa conobbi un tipo così. Faceva il galante. Mi apriva la portiera dell'auto, mi pagava i drink, mi offriva le rose e mi scriveva frasi tipo “vorrei portarti sulla spiaggia di notte per vedere le stelle riflettersi nei tuoi occhi”. A parte il fatto che non ci credevo, questo eccesso di miele m'irritava, esattamente come mi irritano le frasi sdolcinate (e anche un po' banali, se vogliamo essere precisi e spietati fino in fondo) su internet.
Ma non gli diedi picche solo per questo. Anche per questo, ma non solo per questo.
Non basta razzolare nel romanticismo per trasformarsi nel Principe Azzurro. Per qualcuna forse sì, ma non per me.
Del resto che vi aspettate da un'insensibile par mio?
A questo punto meglio quell'altro, che conobbi una sera in un pub. Somigliava a un personaggio di E.R. No, non il Dottor Ross, quello di George Clooney. Quell'altro, l'amico del Dottor Ross, il Dottor Green. Quello magrolino, pelato e con gli occhiali. Siccome non mi ricordo il suo nome lo chiameremo Dr Green. Come dicevo, conobbi il Dr Green in un pub. C'ero andata con alcuni miei amici. Avevamo alzato un po' il gomito. Brutta cosa, roba d'altri tempi... quando alzavo un po' il gomito diventavo più espansiva del dovuto. Insomma, conobbi il Dr Green e cominciai a scherzarci. Chissà che deve aver pensato lui, ma si vedeva che la cosa non gli dispiaceva. L'amica che era con lui, invece, pareva piuttosto seccata, ma non è di lei che voglio parlare adesso (anche perché onestamente conservo un ricordo assai vago della fanciulla che appariva, se possibile, ancora più storta di me). Fatto sta che prima di lasciare il locale lasciai anche la mia email al Dr Green.
Il giorno dopo lui mi mandò un messaggio in cui m'invitava a cena fuori. Nel frattempo io avevo smaltito la sbornia e mi ci volle un po' per ricordarmi chi cavolo fosse quel Dr Green che mi scriveva e mi riempiva di complimenti. Poi, con una notevole dose d'imbarazzo (perché io non ero quel tipo di ragazza*, e l'idea di passare per una fanciulla allegra e disinibita che abborda gli uomini nei pub mi faceva arrossire), mi tornò tutto in mente. E mi preoccupai. Chi mi garantiva che quel Dr Green fosse davvero il bravo ragazzo che sembrava? E se invece fosse stato un serial killer pronto a sgozzare tutte quelle che invitava a cena? Lo so, è sciocco, ma io certe volte sono paranoica ed è bene che lo sappiate. Fatto sta che non gli risposi. Dopo qualche giorno di silenzio lui mi scrisse ancora un paio di volte per invitarmi fuori.  E io non gli risposi mai. Poi mi mandò un'ultima email. Aveva in allegato il disegno di uno scheletro coperto di ragnatele e sotto ci aveva scritto: questa è una ragazza che ha sprecato la vita nell'inutile attesa del Principe Azzurro. Io mi offesi parecchio (anche perché non era quello il motivo per cui lo stavo respingendo) e non gli risposi neanche quell'ultima volta.
Però forse non aveva tutti i torti...

*Se uso il passato non vuol dire che adesso, invece, sono "quel tipo". Il passato è riferito all'essere "ragazza". Sob!!!

martedì 12 aprile 2011

I sogni son desideri...

"I sogni son desideri”, cantava quella simpaticona di Cenerentola, “di felicità. Nel sogno non hai pensieri. Ti esprimi con sincerità...”
Accidenti, se le cose stanno così io sono messa male. Parecchio.
Non so voi quanto sognate. Io sogno moltissimo, e ho dei sogni ricorrenti che tendono a lasciarmi perplessa il più delle volte.
Il più angoscioso è quello degli animaletti in pericolo.
Gli animaletti possono variare, di solito sono pesci rossi, ma può anche trattarsi di gatti o perfino di topi o criceti. Le bestiole sono sempre in pericolo di vita e io mi faccio in quattro per salvarle, ma nonostante ogni mio sforzo difficilmente riesco nel mio intento. Mi risveglio sempre a metà sogno, senza sapere se gli animaletti si salveranno o no, col batticuore e madida di sudore. Generalmente, appunto, nel sogno c'è questa vasca coi pesci rossi che si rompe, e io mi dispero per metterli altrove e cercare acqua a sufficienza per farli sopravvivere, ma non ne trovo, o ne trovo pochissima, o i rubinetti non vanno, oppure i recipienti sostitutivi sono troppo piccoli o rotti... un dramma. Chissà, forse è tutta colpa di Pippo. Pippo era un pesce rosso che ho avuto per anni e che aveva la malsana abitudine di lanciarsi fuori dalla vaschetta. Dopo averlo salvato in extremis un tot numero di volte, trovandolo in terra che si dibatteva boccheggiante, mi sono decisa a prendergli una vasca dotata di coperchio. Gli è passata? Macché! Certe volte mi svegliavo di notte per il tonfo delle capocciate che dava al coperchio. Qualcuno mi spiegò che questo capitava perché i pesci rossi non si rendono conto che dall'altra parte della parete della vasca non c'è acqua, e che loro per natura tendono a saltare per superare i dislivelli dei torrenti. Però a me creava ansia lo stesso.
Altro sogno angoscioso ricorrente: sono incinta e non so come ho fatto. Cioè... come ho fatto tecnicamente diciamo che lo intuisco, quel che non comprendo è come mai sono incinta dal momento che non avevo nessuna intenzione di diventarlo. Come se l'avesse deciso qualcun altro per me e la cosa mi turba e mi disturba. Il bello è che alla fine non partorisco mai un bambino, ma sempre cose tipo gatti, o libri, o quadri o altri oggetti... e nessuno ci trova mai niente di strano. “Complimenti, signora”, mi fa l'ostetrica, “ha partorito un bellissimo Picasso! Lo tiene o lo mette all'asta?” “Mah, non so... in salotto non ci starebbe male.”
Sono strana io, però. Vero?
Ancora: torno nel passato e incontro me stessa da ragazzina. Allora cerco di darmi consigli per evitarmi certi errori, ma finisce sempre che mi risulto antipatica e mi mando al diavolo da sola. Cosa che certe volte faccio anche nella realtà, allo specchio.
Un altro: sono in una situazione di pericolo e le persone a me care non muovono un dito per aiutarmi, lasciano fare tutto a me. Guardano, ma non ritengono necessario intervenire. Anche se per salvarmi gli basterebbe alzare una mano o grattarsi la testa, non lo fanno. Caparbiamente e ostinatamente.
E quell'altro, di ritrovarmi improvvisamente fidanzata o sposata con un perfetto sconosciuto o, peggio ancora, con qualcuno che non sopporto? Pare che sia un sogno abbastanza diffuso: a voi è mai capitato? A me sì, spesso. Mi lascia sempre sconvolta, perché per tutto il sogno continuo a chiedermi quando, come e soprattutto perché mai ho fatto una cosa del genere.
C'è il sogno della moltiplicazione dei gatti. Nella realtà io ho tre gatti. Nel sogno parto dai tre veri ma poi, un po' per volta, cominciano ad aumentare. Fino a che mi trovo con la casa brulicante di gatti che corrono dappertutto, si lanciano dai balconi, si azzuffano sui letti e insomma ne combinano di cotte e di crude pur di ficcarsi nei guai.
Sui gatti ho anche un altro incubo ricorrente: io che sono in vacanza da un tot e all'improvviso mi viene in mente che ho abbandonato i gatti a casa da soli. Mi scapicollo per tornare a casa più in fretta possibile, anche se so che intanto i mici saranno già morti di fame e di sete, e non mi do pace finché non mi sveglio e li vedo lì, sul letto, che mi ronfano addosso.
La settimana scorsa ho sognato che mia mamma faceva scappare i miei gatti ma me lo diceva solo due giorni dopo. Io dovevo perlustrare palmo a palmo una fitta boscaglia per ritrovarli, pur sapendo che sarebbe stato tutto inutile. Tremendo!
I sogni sul sesso sono quasi tragicomici. Ora, io nonostante sia una giovane (ehm...) donna intelligente che vive il suo tempo eccetera eccetera (seee, come no...) di base sono sessualmente assai repressa (o Depressa?). Sarà perché fin dalla più tenera età ho sempre avuto modelli femminili che non riuscivo a raggiungere, o concorrenze con le quali non mi sentivo all'altezza di gareggiare. Sarà perché non ho un incantevole rapporto col mio corpo (diciamo che tendiamo a pensarla in modo diverso su parecchie questioni, va'). Sarà per l'educazione cattolica di base. Sarà quel che sarà (sarà perché ti amo?), ma se nella vita non brillo nei sogni riesco addirittura a peggiorare. Comunque il sogno ricorrente è questo: sto per fare l'amore con un uomo meraviglioso ma sul più bello arriva sempre, costantemente e puntualmente, come solo le tasse sanno fare, e inevitabilmente qualcuno della mia famiglia a interrompermi. S-E-M-P-R-E! Una volta è la mamma che mi chiede dove stanno le cipolle (come se fosse quello il momento giusto per certe richieste), un'altra è papà che ha perso gli occhiali, oppure la Vale (sorella maggiore) che cerca le scarpe (e cercando cercando, già che c'è cerca pure di accalappiarsi il mio partner), oppure zia Ramona che vuole convincermi a smetterla con quell'attività poco sana per aiutarla nel decoupage, hobby che io notoriamente detesto (tra parentesi, zia Ramona è un mito, prima o poi dovrò parlarvi anche di lei). Insomma, cose così. Immancabilmente il sogno finisce col mio affascinante partner che si stufa e se ne va, certe volte con la Vale e certe altre da solo, oppure mi svanisce letteralmente tra le braccia. E a me non rimane da far altro che rivestirmi mestamente e lanciare insulti ai miei familiari. Quand'ero più giovane per un certo periodo sono stata addirittura convinta che lo facessero apposta a insinuarsi nel mio subconscio per il puro gusto di rovinarmi il divertimento anche in sogno oltre che nella vita reale. Li conosco, ne sarebbero capaci!
Un sogno non ansiogeno ma irritante, è quando sogno scenari strabilianti (tramonti, eruzioni vulcaniche, il mostro di Loch Ness...) e la macchina fotografica s'inceppa facendomi perdere scatti potenzialmente unici. Che nervi, poi, al mattino...
Faccio anche sogni piacevoli, però. Uno dei miei preferiti è quello della casa telescopica. Nel senso che si allunga. Nella realtà vivo in un appartamento di una sessantina di metri quadri. Io, il mio compagno e tre gatti. Se calcolate che il mio compagno e uno dei gatti, per conformazione corporea, occupano più spazio del dovuto vi renderete conto che certe volte stiamo un po' strettini. Nel sogno a un tratto scopro, con gioia e somma delizia, delle porte misteriose che si aprono su stanze nuove, ampie, ariose, e man mano la casa diventa sempre più grande. Mi piace talmente tanto ritrovarmi con quello spazio in più che quando mi sveglio mi rammarico sempre che nella realtà questo non sia possibile. Perché queste stanze in più non vanno a intaccare i confini della casa. Da fuori resta uguale, è solo dentro che s'ingrandisce a dismisura. Non so se mi spiego.
Ah, poi c'è quello dei superpoteri. Ci sono volte in cui sogno di averne di ogni tipo, di essere praticamente invincibile, e vivo fantastiche avventure salvando il mondo, i gatti e il mio compagno. Forse vuol solo dire che leggo troppi fumetti, però. Oppure sogno di saper parlare tutte le lingue del mondo e di saper suonare tutti gli strumenti possibili. Grandioso! Nella realtà ho provato a imparare a suonare la batteria, ma con scarsi risultati. In sogno sono così brava che farei crepare d'invidia Buddy Rich in persona (tranne che Buddy Rich è già morto di suo, ma era solo per farvi capire).
Ma fino a qualche anno fa il mio sogno preferito in assoluto era... di trovarmi al supermercato! Alt, prima di dire che sono fissata con la spesa, aspettate a leggere. Nel sogno c'era questo supermercato ai margini della città, non facile da raggiungere o da trovare. Diciamo che bisognava sapere dove cercare, trovarlo aveva un che di mistico, quasi. Io però sapevo come fare. E dentro questo supermercato, che era in apparenza identico a un qualunque altro supermercato, era tutto gratis. Potevo prendere a piene mani qualunque cosa e non pagarla. Tutto in omaggio, tutto facile da raggiungere, non come nella realtà, dove mi pare di dover sudare quattro camicie per raggiungere ogni minimo risultato. Di solito arrivavo lì dopo una serie di vicissitudini faticose ed era veramente una goduria girare per le corsie e poter prendere tutto quello che mi stuzzicava. E sapere che era facile e semplice. Ora però questo supermercato non lo sogno più da un sacco di tempo. Chissà, vuoi vedere che la crisi economica ha raggiunto anche il mondo dei sogni?

PS: stanotte ho sognato che Madonna (la cantante) mi prestava il rossetto e che mi perdevo, di notte, per i canali di Venezia a bordo di un materassino a forma di foglia. Che vorrà dire???

Nella foto: Cenerentola sogna di lavare i piatti in abito da sera. Contenta lei...

Due ebooks per uno

SETTIMANA DELLA CULTURA: Fino al domenica 17 aprile 2011, per la settimana della cultura, per ogni ebook acquistato Il Gatto e la Luna Editrice ne regala un altro (in formato pdf) a vostra scelta. Basta indicare la scelta nel form dell'acquisto o, se acquistate l'ebook in un altro negozio, basta inviare copia della ricevuta a info@ilgattoelaluna.it indicando la scelta.
Per saperne di più andare su http://www.ilgattoelaluna.it/libri.html

domenica 3 aprile 2011

Cinque cose che...

Cinque cose che mi seccano quando navigo in rete.

1)    Il linguaggio da sms, con tutte quelle abbreviazioni, le k al posto delle c e via andare. Tt le vlt ke leggo frasi scrt ksì mi vn l'ortikaria.
2)    L'eccesso di frasi melense, del genere “la vita è in una goccia d'acqua” (o il contrario), “un sorriso asciuga le lacrime” (o viceversa).
3)    Le chat. Detesto chattare!
4)    I messaggi da inoltrare a catena, del genere “la puzzola rosa porta fortuna, se la invii ad altri dieci amici entro cinque secondo avrai una grande giornata”. Ma farai arrabbiare dieci persone, aggiungo io.
5)    I messaggi allarmistici inoltrati senza controllare se sono bufale o no. E il 90% delle volte lo sono.

sabato 2 aprile 2011

Pollice verde bis

Come ho già detto il 20 marzo, io non ho il pollice verde. Anzi, oserei dire che ce l'ho nero.
E come ho già detto, invidio da matti quelli che se la cavano con le piante.
Davvero, certe volte che me ne vado in giro per Milano e, alzando il naso, vedo quei bei balconi straripanti di piante e fiori mi sento letteralmente rodere il fegato dall'invidia.
Ma come ci riescono?
A me piacerebbe tanto avere anch'io un terrazzino così. M'immagino sempre di avere un bel balcone verdeggiante come un'oasi nel deserto, e io che me lo godo sorseggiando il tè, di prima mattina, in attesa di cominciare una giornata di lavoro.
Tranne che io non bevo il tè, la mattina, ma trangugio un caffè in tutta fretta, e quando comincia la giornata lavorativa sono già nevrotica.
E ovviamente manca anche il balcone verdeggiante.
Per ora.
Sì, perché come ogni primavera ho deciso di riprovarci. Partendo dalle quattro aromatiche sopravvissute, sto cominciando a ripopolarlo.
Adesso ci sono anche le rose, le margherite, la ginestra, il gelsomino... e un mucchio di immondizia in terra, perché non avendo ancora finito mi pare inutile pulire.
Ci sogno anche un pinetto, qualche altra pianta aromatica (dell'alloro, per esempio) e una bella edera che s'inerpichi sul muro a incorniciare la porta-finestra. E una dalia bianca col polline giallo come l'oro. Perché da piccola ero fissata con le dalie ed ero convinta che dentro ci vivessero le fate.
Gerani no, i gerani mi stanno antipatici.
Quand'ero piccola avevamo un bel terrazzo, e io avrei voluto riempirlo di iris, margherite e rose.
Invece la mamma ci faceva mettere sempre i gerani, perché dice che sono più eleganti.
Io dicevo che i gerani puzzavano e non erano a forma di fiore. Mi piacciono da lontano, sui balconi degli altri, come macchie di colore. Ma non da tenere.
Quindi gerani niente.
E poi magari proverò anche a piantare quei semi di fiori di campo che ho comprato l'anno scorso. Se mi ricordo dove li ho messi...