giovedì 2 febbraio 2012

Arsenio Lupin - il primo capitolo

Oggi sono generosa e vi regalo il primo capitolo di Arsenio Lupin, ladro gentiluomo, di Maurice Leblanc. Il seguito, ovvero il romanzo intero, lo trovate qui su Kindle. Buona lettura!

Capitolo 1 - L'arresto di Arsenio Lupin

Che strano viaggio fu! Ed era cominciato così bene. Dal canto mio, non ne avevo mai fatti altri  cominciati sotto migliori auspici. Il Provenza è un transatlantico veloce, comodo, capitanato da un uomo estremamente affabile. Il meglio della società era lì riunito. Si formavano amicizie, si organizzavano divertimenti. Avevamo la gradevole sensazione di essere separati dal resto del mondo. Eravamo solo noi, come su un'isola deserta, costretti pertanto ad avvicinarci gli uni agli altri.
Quindi ci avvicinammo...
Vi siete mai soffermati a riflettere su quanto ci sia di originale e inatteso in un gruppo di persone che solo il giorno prima non si conoscevano e che per qualche giorno, tra il cielo infinito e il mare immenso, sono condannate a un'estrema vicinanza e si trovano a sfidare l'ira dell'oceano, l'assalto terrificante delle onde, la minaccia delle tempeste e la subdola calma delle acque addormentate?
Si tratta, dopotutto, di una sorta di esistenza tragica, la vita stessa con le sue tempeste e le sue grandezze, la sua monotonia e le sue diversità; ed è per questo, forse, che gustiamo con fretta febbrile e piacere ancora più intenso questo breve viaggio di cui attendiamo la fine nel momento stesso in cui comincia.
Ma negli ultimi anni qualcosa si è aggiunto alle emozioni della traversata. La piccola isola galleggiante dipende ancora dal mondo dal quale si crede affrancata. Esiste ancora un legame, che si dipana poco a poco in pieno oceano e pian piano, in pieno oceano, si rinnova. Il telegrafo senza fili! Chiamate da un altro universo grazie alle quali riceviamo notizie in modo quanto mai misterioso. La fantasia non ha risorse per evocare quel fil di ferro cavo attraverso il quale scorre il messaggio invisibile. Il mistero si fa ancora più insondabile, ancora più romantico, ed è alle ali del vento che bisogna ricorrere per spiegare questo nuovo miracolo.
Perciò durante le prime ore di viaggio ci sentivamo seguiti, scortati, perfino preceduti da voci lontane che di tanto in tanto ci sussurravano poche parole da laggiù. Due amici mi avevano parlato. Dieci amici, venti amici avevano inviato, oltre lo spazio, addii lieti o tristi.
Tuttavia il secondo giorno, a cinquecento miglia dalla costa francese, nel mezzo di un temporale pomeridiano, il telegrafo senza fili ci trasmise un telegramma che recitava:
“Avete a bordo Arsenio Lupin, prima classe, capelli biondi, ferite all'avambraccio destro, viaggia da solo sotto il nome di R...”
In quel preciso istante un tuono esplose con violenza nel cielo scuro. Le onde magnetiche vennero interrotte. Il resto del dispaccio non ci arrivò. Del nome sotto il quale si nascondeva Arsenio Lupin non ci giunse che l'iniziale.
Si fosse trattata di una qualunque altra notizia, non ho dubbi che il segreto sarebbe stato scrupolosamente serbato dagli impiegati dell'ufficio telegrafico, dal commissario di bordo e dal capitano. Ma quello era uno di quegli eventi che sembrano infrangere la discrezione più rigorosa. Quel giorno stesso, e nessuno capì come fosse stato possibile divulgare la notizia, tutti sapemmo che Arsenio Lupin si nascondeva tra di noi.
Arsenio Lupin fra noi! L'inafferrabile ladro le cui imprese si raccontavano da mesi su tutti i giornali! Il personaggio enigmatico con cui il vecchio Ganimard, il nostro miglior poliziotto, aveva ingaggiato un duello mortale le cui peripezie si erano svolte in modo tanto pittoresco! Arsenio Lupin, il signore eccentrico che operava in saloni e castelli e che una notte, dopo essere penetrato nel palazzo del barone Schormann, se n'era andato a mani vuote lasciando un biglietto con su scritto: “Arsenio Lupin, ladro gentiluomo, tornerà quando l'arredamento sarà autentico”. Arsenio Lupin, l'uomo dai mille travestimenti: di volta in volta fuochista, tenore, bookmaker, ragazzo di buona famiglia, adolescente, vecchio, commesso viaggiatore di Marsiglia, medico russo o torero spagnolo!
Cercate di rendervene conto: Arsenio Lupin che se ne andava su e giù per il nostro transatlantico relativamente piccolo! Avremmo potuto ritrovarcelo davanti in qualunque angolo della prima classe: nella sala da pranzo, nel salone, nella stanza da fumo... Arsenio Lupin poteva essere quel signore... o quell'altro... il mio vicino a tavola... il mio compagno di cabina...
“E durerà ancora cinque giorni”, esclamò l'indomani miss Nelly Underdown, “È intollerabile! Voglio sperare che lo arrestino.”
E poi si rivolse a me:
“Voi, monsieur d'Andrézy, che siete più in confidenza col capitano, ne sapete qualcosa?”
Avrei voluto sapere qualcosa solo per far piacere a miss Nelly. Era una di quelle magnifiche creature che, ovunque si trovino, attirano l'attenzione. La loro bellezza è abbagliante quanto la loro ricchezza. Hanno corteggiatori appassionati ed entusiasti.
Cresciuta a Parigi con una madre francese, stava raggiungendo suo padre, il ricchissimo Underdown. Era accompagnata da lady Jerland, una sua amica.
Dal primo istante mi ero candidato come suo spasimante. Ma in quella rapida intimità creata dal viaggio tutto il suo fascino mi aveva sconvolto, e quando i suoi grandi occhi neri incontravano i miei mi sentivo troppo emozionato per corteggiarla. Ma lei accettò i miei omaggi con una certa benevolenza. Accondiscese a ridere delle mie battute e ad ascoltare con attenzione i miei aneddoti. Sembrava rispondere con una certa simpatia allo zelo che le dimostravo.
Un solo rivale mi preoccupava, un ragazzo piuttosto bello, elegante, riservato, e lei certe volte sembrava preferire il suo umore taciturno ai miei modi più “estroversi” da Parigino.
Costui era proprio nel mezzo del gruppo di ammiratori che circondavano miss Nelly, quando lei m'interrogò. Eravamo sul ponte, comodamente fornito di sedie a dondolo. La tempesta del giorno prima aveva pulito il cielo. C'era un tempo splendido.
“Non so nulla di preciso, mademoiselle”, le risposi, “Ma non potremmo condurre noi un'inchiesta bene quanto il vecchio Ganimard, il nemico personale di Arsenio Lupin?”
“Oh! Voi esagerate!”
“Perché? La faccenda è così complicata?”
“Estremamente complicata.”
“Dimenticate gli elementi che abbiamo a disposizione per risolverla.”
“Che elementi?”
“Primo, Lupin si fa chiamare signor R.”
“Un indizio un po' vago.”
“Secondo, viaggia da solo.”
“Se trovate utile quest'indizio...”
“Terzo, è biondo.”
“E allora?”
“E allora non ci occorre che una lista dei passeggeri per procedere con le eliminazioni.”
Avevo quella lista in tasca. La presi e la scorsi.
“Osservo che a bordo ci sono solo tredici persone la cui iniziale attira la nostra attenzione.”
“Soltanto tredici?”
“In prima classe sì. Di questi tredici signor R, come potrete constatare, nove sono accompagnati da mogli, figli o servitori. Rimangono altre quattro persone sole: il marchese di Raverdan...”
“Segretario d'ambasciata”, interruppe miss Nelly, “lo conosco.”
“Il maggiore Rawson...”
“È mio zio”, disse qualcuno.
“Il signor Rivolta...”
“Eccomi”, esclamò uno di noi, un italiano il cui volto era coperto da una magnifica barba nera.
Miss Nelly scoppiò a ridere.
“Il signore non è esattamente biondo.”
“Allora”, conclusi, “siamo costretti a concludere che il colpevole sia l'ultimo della lista.”
“Vale a dire?”
“Vale a dire il signor Rozaine. Qualcuno conosce il signor Rozaine?”
Silenzio. Ma miss Nelly, rivolgendosi al giovane taciturno le cui attenzioni nei suoi confronti mi tormentavano, disse:
“Che c'è, signor Rozaine? Non rispondete?”
Ci voltammo tutti a guardarlo. Era biondo.
A dire il vero, provai una breve scossa al cuore. E il silenzio imbarazzato che pesava su di noi mi disse che anche gli altri spettatori provavano quell'improvviso senso di soffocamento. Era assurdo, perché nulla in quell'uomo destava sospetti.
“Perché non rispondo?”, disse lui, “Ma perché considerando il mio nome, il fatto che viaggio da solo e il colore dei miei capelli, avevo già condotto un'inchiesta analoga, e avevo ottenuto il medesimo risultato. E perciò penso che adesso verrò arrestato.”
Mentre parlava aveva uno sguardo strano. Le sue labbra sottili come due linee dritte si fecero ancor più sottili e pallide. Aveva gli occhi iniettati di sangue.
Certo, aveva scherzato. Eppure il suo volto e il suo atteggiamento c'impressionarono. Ingenuamente, miss Nelly domandò:
“Ma non avete ferite?”
“È vero. Le ferite mi mancano.”
Con gesto nervoso alzò una manica e si scoprì un braccio. Ma mi colpì un pensiero. Il mio sguardo incrociò quello di miss Nelly: aveva mostrato il braccio sinistro.
Stavo per farglielo notare, quando un fatto distolse la nostra attenzione. Lady Jerland, l'amica di miss Nelly, arrivò di corsa.
Era sconvolta. Noi, solleciti, ci accalcammo attorno a lei, e fu solo dopo molti sforzi che lei riuscì a balbettare:
“I miei gioielli, le mie perle... li hanno presi tutti!”
No, non li avevano presi tutti. Come scoprimmo in seguito, ne avevano presa solo una parte. Fatto molto curioso.
Dalle spille di diamanti, dai pendenti con i rubini cabochon, dai bracciali e dalle collane avevano preso non le pietre più grandi, ma le migliori, le più preziose, quelle, per così dire, che avevano il valore maggiore e occupavano il minor spazio. Le montature giacevano sul tavolo. Io le vidi, tutti le vedemmo, spogliate dei loro gioielli come fiori a cui avessero strappato i petali più vivaci e colorati.
Quel lavoro dovevano averlo fatto mentre lady Jerland prendeva il tè; l'avevano fatto in pieno giorno in una cabina che dava su un corridoio affollato, avevano scassinato la porta, avevano trovato il sacchetto dei gioielli nascosto sul fondo di una cappelliera, l'avevano aperto e avevano selezionato le pietre.
Non ci fu che un'esclamazione tra noi. Non ci fu che un'opinione tra i passeggeri, una volta che la voce del furto si fu diffusa: era stato Arsenio Lupin! E in effetti era proprio nel suo stile complicato, misterioso, incomprensibile... eppure logico, perché sarebbe stato difficile nascondere la massa intera dei gioielli, sarebbe stato molto meno complesso farlo con piccole cose diverse tra loro: perle, smeraldi e zaffiri.
E a cena capitò questo: i due posti a destra e a sinistra di Rozaine rimasero vuoti. E quella sera venimmo a sapere che era stato convocato dal comandante.
Il suo arresto, di cui nessuno dubitava, suscitò un vero sollievo. Finalmente tiravamo il fiato. Quella sera riprendemmo a giocare. E a danzare. Soprattutto miss Nelly, la cui allegria mi dimostrò che se prima aveva accettato le attenzioni di Rozaine, ormai non se ne ricordava più. La sua leggiadria mi conquistò completamente. Verso mezzanotte, al tranquillo chiarore della luna, le dichiarai la mia devozione con un sentimento che non parve dispiacerle.
Ma il giorno dopo, tra lo stupore generale, apprendemmo che poiché le accuse a suo carico non erano sufficienti Rozaine era stato liberato.
Figlio di un ricco mercante di Bordeaux, aveva esibito documenti perfettamente in regola. E inoltre le sue braccia non avevano il minimo segno di ferite.
“Documenti? Certificati di nascita?”, proruppero i nemici di Rozaine, “Ma Arsenio Lupin può fornirvene quanti ne volete! E la ferita non l'ha mai avuta... oppure l'ha tolta.”
Venne obiettato che all'ora del furto Rozain passeggiava sul ponte, ed era dimostrato. Al che loro risposero:
“Un uomo della tempra di Arsenio Lupin ha davvero bisogno di essere presente al furto che commette?”
Inoltre, a parte tutte le altre considerazioni, c'era un punto che neppure il più scettico poteva negare: chi, se non Rozaine, viaggiava da solo, era biondo e aveva un nome che cominciava con la R? A chi si riferiva il telegramma se non a Rozaine?
E quando, qualche minuto prima di pranzo, Rozaine si unì spavaldamente al nostro gruppo, miss Nelly e lady Jerland si alzarono e se ne andarono.
Tanta era la paura.
Un'ora dopo gli ufficiali di bordo, i marinai e i passeggeri di tutte le classi fecero girare una circolare manoscritta: il signor Louis Rozaine offriva diecimila franchi a chi avesse smascherato Arsenio Lupin, o avesse ritrovato le pietre rubate.
“E se nessuno mi aiuta contro quel bandito”, dichiarò Rozaine al comandante, “sarò io a smascherarlo.”
Rozaine contro Arsenio Lupin, o meglio, stando all'opinione di tutti, Arsenio Lupin contro Arsenio Lupin. Il duello non era privo d'interesse.
La cosa durò due giorni. Vedemmo Rozaine andare su e giù per la nave mescolandosi al personale, cercando, interrogando, investigando. Vedevamo la sua ombra aggirarsi anche di notte.
Il comandante, a sua volta, fece sfoggio di grande energia. Il Provenza venne frugato da cima a fondo, in ogni angolo. Perquisirono tutte le cabine, senza eccezioni, col giustificato pretesto che la refurtiva poteva essere nascosta ovunque, tranne che nella cabina del colpevole.
“Prima o poi scopriremo qualcosa, no?”, mi domandò miss Nelly, “Per quanto sia un mago, non può rendere invisibili perle e diamanti.”
“Certo che no”, le risposi, “Ma dovrebbero perquisirci anche il fondo dei cappelli, le fodere degli abiti e tutto quello che portiamo addosso.”
E le mostrai la mia kodak, una 9 x 12, con la quale la fotografavo nelle pose più disparate.
“Non pensate che in un apparecchio non più grande di questo potrebbe nascondere tutte le pietre di lady Jerland? E non dovrebbe far altro che fingere di scattare foto tutto il giorno.”
“Ma ho sentito dire che tutti i ladri si lasciano dietro qualche indizio.”
“Ce n'è uno che non lo fa: Arsenio Lupin.”
“Perché?”
“Perché? Perché lui non pensa soltanto al furto, ma anche a tutte le circostanze che potrebbero smascherarlo.”
“Giorni fa eravate più ottimista.”
“Ma poi l'ho visto all'opera.”
“Quindi, che ne pensate?”
“Penso che stiano solo perdendo tempo.”
Infatti le indagini non diedero alcun risultato, o meglio, il risultato non corrispose alle fatiche fatte: venne rubato l'orologio del comandante. Il quale, furioso, raddoppiò la sorveglianza su Rozaine ed ebbe con lui numerosi incontri. Il giorno dopo, ironia affascinante, ritrovarono l'orologio tra i colletti del comandante in seconda.
L'incidente aveva l'aria del prodigio e dimostrava il senso dell'umorismo di Arsenio Lupin: ladro sì, ma anche appassionato. Lavorava per gusto e per inclinazione, certo, ma anche per divertimento. Dava l'impressione di un uomo che si divertisse alla rappresentazione della propria commedia e che, dietro le quinte, ridesse a crepapelle del proprio spirito e delle situazioni create.
Era decisamente un artista nel suo genere, e quando vedevo Rozaine, cupo e riservato, e pensavo al doppio ruolo di quello strano personaggio, non potevo fare a meno di esprimere una certa dose di ammirazione.
La sera seguente l'ufficiale di guardia in coperta sentì gemere dal punto più buio del ponte. Si avvicinò. Trovò un uomo che giaceva in terra con la testa avvolta da una sciarpa spessa e grigia, i polsi legati da una corda sottile.
Lo slegammo. Lo sollevammo e ci prodigammo in cure.
Quell'uomo era Rozaine.
Era Rozaine, che era stato aggredito, picchiato e derubato nel corso di una delle sue spedizioni. Ai sui vestiti era stato fissato un biglietto che recava queste parole: “Arsenio Lupin accetta con gratitudine i diecimila franchi di monsieur Rozaine.”
Ma in realtà il portafogli rubato conteneva venti biglietti da mille.
Naturalmente accusammo il poveretto di aver simulato un'aggressione ai propri danni. Ma oltre al fatto che era impossibile legarsi da soli a quel modo, venne dimostrato che la calligrafia del biglietto era completamente diversa da quella di monsieur Rozaine e che, al contrario, somigliava a quella di Arsenio Lupin, uguale alla riproduzione stampata su un vecchio giornale trovato a bordo.
Perciò Rozaine non fu più Arsenio Lupin. Rozaine era solo Rozaine, il figlio di un commerciante di Bordeaux. E la presenza di Arsenio Lupin venne confermata una volta di più, e in maniera quanto mai allarmante.
Fu il panico. Nessuno osava restare da solo in cabina, né avventurarsi da solo in punti troppo distanti. Ci riunivamo prudentemente in gruppi, al riparo l'uno dell'altro. E inoltre provavamo una diffidenza istintiva verso chi ci era più vicino. La minaccia non veniva più da un singolo individuo controllato, e quindi meno pericoloso. Tutti erano Arsenio Lupin. La nostra fantasia sovreccitata gli attribuiva poteri miracolosi e illimitati. Immaginavamo che potesse assumere le sembianze più inaspettate, poteva diventare di volta in volta il rispettabile maggiore Rawson, o il nobile marchese di Raverdan, o anche non attenersi più all'iniziale accusatrice, o perfino essere quella tal persona nota a tutti, con moglie, figli e servitù.
I primi dispacci telegrafici non portarono novità. Perlomeno, il comandante non ce ne comunicò alcuna. Il silenzio non era rassicurante.
L'ultimo giorno sembrò interminabile. Vivevamo aspettandoci ansiosamente un disastro. Stavolta non sarebbe stato un furto, non una semplice aggressione, ma un delitto. Un omicidio. Non ammettevamo che Arsenio Lupin potesse limitarsi a quei furti insignificanti. Padrone assoluto della nave, con le autorità ridotte all'impotenza, tutto gli era concesso, i nostri averi e le nostre vite erano alla sua mercé.
Per me furono momenti deliziosi, lo confesso, perché mi assicurarono la fiducia di miss Nelly. Di natura inquieta, impressionata da tanti avvenimenti, cercava spontaneamente la mia presenza per avere protezione, una protezione che ero ben lieto di accordarle.
In fondo benedicevo Arsenio Lupin. Non era stato forse lui ad avvicinarci? Non era grazie a lui che potevo abbandonarmi a sogni incantevoli? Sogni d'amore e sogni non più chimerici, perché non ammetterlo? Gli Andrezy sono una buona famiglia di Poitiers, ma il loro blasone s'è un po' appannato, e non mi pare indegno d'un gentiluomo cercare di rendere al proprio nome il lustro perduto.
E quei sogni, lo capivo, non dispiacevano a Nelly. I suoi occhi sorridenti mi autorizzavano a farli. La dolcezza della sua voce m'incoraggiava a sperare.
In quel momento, appoggiati al parapetto, eravamo seduti l'uno di fianco all'altra mentre la costa americana ci veniva incontro.
Avevamo interrotto le perquisizioni. Aspettavamo. Dal primo momento, fino a quando il ponte non cominciò a brulicare di emigranti, attendevamo il momento supremo in cui l'enigma insolubile sarebbe finalmente stato risolto. Chi era Arsenio Lupin? Sotto che nome, sotto che maschera si celava il famoso Arsenio Lupin?
E quel momento supremo arrivò. Se anche vivessi cent'anni non ne dimenticherei mai alcun minimo dettaglio.
“Come siete pallida, miss Nelly”, dissi alla mia compagna appoggiata al mio braccio, quasi svenuta.
“E voi”, mi rispose, “come siete cambiato.”
“Pensate! Che momento emozionante, miss Nelly, e sono felice di viverlo con voi. Certe volte la memoria...”
Lei non mi ascoltava, era senza fiato e febbricitante. Calarono la passerella. Ma prima che ci fosse permesso di attraversarla alcuni uomini, ufficiali in uniforme, salirono a bordo.
Miss Nelly balbettò:
“Non mi sorprenderebbe venire a sapere che Arsenio Lupin è fuggito durante la traversata.”
“Potrebbe aver preferito la morte al disonore ed essersi tuffato nell'Atlantico piuttosto che lasciarsi arrestare.”
“Non ridete”, rispose lei, irritata.
Improvvisamente trasalii, e quando lei m'interrogò le dissi:
“Vedete quel vecchietto in fondo alla passerella?”
“Quello con l'ombrello e il cappotto verde oliva?”
“Quello è Ganimard.”
“Ganimard?”
“Sì, il celebre poliziotto, quello che ha giurato di arrestare Arsenio Lupin con le proprie mani. Ah, ora capisco perché non avevamo notizie da questa parte dell'oceano. C'era Ganimard, e lui non ama che la gente s'intrometta nei suoi affari.”
“Allora è certo che Arsenio Lupin verrà acciuffato?”
“E chi lo sa? Ganimard non l'ha mai visto, se non sotto qualche travestimento. E nessuno conosce il suo vero nome...”
“Ah!”, disse lei con quella curiosità crudele tipica delle donne, “Se solo potessi assistere all'arresto!”
“Abbiate pazienza. Sicuramente Arsenio Lupin avrà notato la presenza del suo nemico. È probabile che decida di uscire per ultimo, quando gli occhi del vecchio saranno più stanchi.”
Lo sbarco cominciò. Appoggiato al suo ombrello, l'aria indifferente, Ganimard sembrava non prestare attenzione alla folla che premeva tra le due balaustre. Notai che un ufficiale di bordo, dietro di lui, gli dava informazioni di tanto in tanto.
Passarono avanti il marchese di Raverdan, il maggiore Rawson, l'italiano Rivalta e molti altri... poi vidi Rozaine avvicinarsi.
Povero Rozaine! Non sembrava essersi ripreso dalle sue disavventure.
“Potrebbe comunque essere lui”, disse miss Nelly, “Voi che ne pensate?”
“Penso che sarebbe comunque molto interessante avere una fotografia di Ganimard e Rozaine insieme. Prendete il mio apparecchio, io sono troppo nervoso.”
Le passai l'apparecchio, ma lo feci troppo tardi. Rozaine passò. L'ufficiale si chinò a mormorare qualcosa all'orecchio di Ganimard, che si strinse nelle spalle. E Rozaine si allontanò.
Mio Dio, ma allora che ne era stato di Arsenio Lupin?
“Sì”, disse lei ad alta voce, “Dove può essere?”
Non c'erano più di venti persone. Lei li osservò uno per uno, con la paura che potesse essere uno di loro. Uno tra venti.
“Non possiamo aspettare oltre”, le dissi.
Lei andò avanti. Io la seguii. Ma avevamo fatto non più di dieci passi che Ganimard ci sbarrò la strada.
“Che succede?”, esclamai.
“Un istante, monsieur. Avete fretta?”
“Sto accompagnando mademoiselle.”
“Un istante”, ripeté con voce imperiosa.
Poi fissò i suoi occhi nei miei.
“Siete Arsenio Lupin, non è vero?”
Scoppiai a ridere.
“No. Sono solo Bernard d'Andrezy.”
“Bernard d'Andrezy è morto tre anni fa in Macedonia.”
“Se Bernard d'Andrezy fosse morto, allora sarei morto anch'io, e non è questo il caso. Eccovi i miei documenti.”
“Sono i suoi, sì. Capiremo anche come avete fatto a procurarveli.”
“Ma siete pazzo! Arsenio Lupin s'è imbarcato sotto il nome di R.!”
“Sì, un altro vostro trucco, una falsa pista sulla quale vi siete lanciato. Ah, siete stato in gamba, ragazzo mio. Ma per voi il vento è cambiato. Venite, Lupin, prendetela sportivamente.”
Esitai un istante. Poi, con un colpo secco, lui mi colpì sul braccio destro. Lanciai un urlo di dolore. Aveva colpito la ferita non ancora rimarginata, come riportato dal telegramma.
E allora fui costretto ad arrendermi.
Mi voltai verso miss Nelly. Lei ascoltava pallida e tremante.
I suoi occhi incontrarono i miei, poi si abbassarono sulla kodak che le avevo affidato. Fece un gesto brusco, ed ebbi la certezza improvvisa che aveva capito. Sì, era lì tra le pareti strette di zigrino nero, al sicuro in quel piccolo obiettivo che avevo avuto cura di mettere tra le sue mani prima che Ganimard m'arrestasse, che c'erano i ventimila franchi di Rozaine e le perle e i diamanti di lady Jerland.
Ah, posso giurare che in quel momento solenne, quando Ganimard e due dei suoi accoliti mi circondarono, tutto mi era indifferente: il mio arresto, l'ostilità della gente, tutto tranne una cosa: che avrebbe fatto miss Nelly di quel che le avevo confidato?
Non c'erano prove concrete contro di me, non avevo nulla da temere. Ma miss Nelly avrebbe deciso di fornire quell'unica prova? Mi avrebbe tradito? Mi avrebbe fatto prendere? Avrebbe agito come un nemico che non perdona oppure come una donna il cui disprezzo è attenuato da un po' d'indulgenza, un po' d'involontaria compassione?
Mi oltrepassò, io abbassai la testa senza dire una parola. Lei si mescolò agli altri passeggeri e si diresse verso la passerella, la mia kodak tra le mani.
“Senza dubbio”, pensai, “non oserà farlo in pubblico. Ma nel giro di un'ora, di un istante, la consegnerà.”
Ma giunta a metà della passerella, simulando un movimento goffo, la lasciò cadere in acqua, tra il molo e la fiancata della nave.
Poi la vidi incamminarsi.
La sua silhouette si perse nella folla, riapparve e scomparve di nuovo. Era finita, finita per sempre.
Per un istante rimasi immobile, allo stesso tempo triste e pieno d'una dolce tenerezza, poi sospirai, per lo stupore di Ganimard:
“È un peccato che io non sia un uomo onesto!”

Questa è la storia dell'arresto di Arsenio Lupin, così come me la raccontò lui stesso una sera d'inverno. Una serie d'incidenti, di cui forse scriverò un giorno, aveva creato tra noi un legame... posso chiamarlo d'amicizia? Sì, credo che Arsenio Lupin mi onori della sua amicizia, ed è in virtù di questa amicizia che talvolta giunge a casa mia senza preavviso, portando nel silenzio del mio studio  la sua allegria giovanile, lo splendore della sua vita ardente, il buon umore di un uomo a cui il destino ha riservato solo favori e sorrisi.
Il suo ritratto? Come potrei farlo? Venti volte l'ho visto e venti volte m'è apparso come una persona diversa... o meglio, la stessa persona della quale venti specchi mi mandavano altrettante immagini deformate, ognuna coi propri occhi particolari, una speciale forma del viso, una sua gestualità, una sua silhouette, un suo carattere.
“Non so chi sono”, mi disse, “Allo specchio non mi riconosco.”
Uno scherzo, certo, un paradosso, ma è la verità per tutti quelli che lo incontrano e ignorano le sue infinite risorse, la sua pazienza, la sua abilità nel trucco, la sua prodigiosa capacità di trasformare i tratti stessi del suo viso e di alterare i rapporti esistenti tra loro.
“Perché”, disse ancora, “dovrei mantenere un aspetto definito? Perché non evitare il pericolo d'una personalità sempre identica a se stessa? Le mie azioni dovrebbero bastare.”
E poi precisò, con una punta d'orgoglio:
“Tanto meglio se non si potrà mai dire con certezza: quello è Arsenio Lupin. L'essenziale è che si possa dire senza tema di errore: quello l'ha fatto Arsenio Lupin.”
Ed è qualcuna di quelle azioni, qualcuna di quelle avventure che cercherò di ricostruire grazie alle confidenze che ha avuto la bontà di farmi certe sere d'inverno, nel silenzio del mio studio...