Sì, sì, lo so sono polemica. Sono una schifosissima polemica a cui non va mai bene niente.
Lo so già, grazie, me lo dice sempre mia mamma.
Stavolta ho puntato lo spot della vodafone dedicato alla giornata delle donne. Quello coi papà che leggono “Bianconeve” e i sette nani, il “Sirenetto” e “Alicio” nel paese delle meraviglie, e conclude con lo slogan “Se il mondo è una favola, è grazie alle donne.”
Intanto cominciamo subito con un errore, molto tipico: Biancaneve, la Sirenetta e company sono fiabe, non favole. Le favole sono quelle storielle con la morale alla fine e che hanno quasi sempre animali come protagonisti, tipo la volpe e l'uva, il corvo col formaggio, la cicala e la formica eccetera. E no, non è per niente la stessa cosa.
E poi nelle fiabe ci sono un mucchio di personaggi: uomini, donne, animali, creature fatate... ci sono persino “Cenerentoli” maschi, e questo da secoli.
Ma poi che mi sta a significare questo concetto di “che mondo sarebbe senza le donne”? Non significa niente. Vorrebbe dire semplicemente che gli animali si sono evoluti in maniera da riprodursi con sistemi diversi. Per partenogenesi, per esempio. O per scissione, come i batteri.
Ma tant'è, vedo che in questa giornata di messaggi così è pieno il mondo. Il mondo dei mass media, intendo. Internet, radio, TV e così via. E che faremmo senza di voi?, e grazie donne!!!, e le donne salveranno il mondo!, e giù di lodi, del tipo “siete forti, pazienti, gentili, coraggiose” e allisciamenti vari.
Be', non abituiamoci.
Da domani si torna alla realtà.
Ah, comunque a me l'odore delle mimose piace. A quanto pare piace solo a me...
domenica 8 marzo 2015
venerdì 20 febbraio 2015
La parola del giorno è... abbiocco
Abbiocco, s.m., ovvero l'atto di abbioccarsi, deriva dal romanesco “biocca”, vale a dire “chioccia”. E infatti il significato primario è quello proprio della chioccia che cova. E poi quello dell'assumere una posizione rannicchiata, a chioccia, quindi “abbioccata”.
E da qui si passa a quel colpo di sonnolenza che ci coglie all'improvviso, e che di solito si cerca di scacciare con abbondanti dosi di caffè.
C'è chi ne soffre dopo pranzo. E chi ne soffre sempre. A me l'abbiocco comincia a venire esattamente due secondi e mezzo dopo che ha suonato la sveglia al mattino (il tempo di metterla a tacere, insomma) e mi passa qualche istante prima di spegnere la luce la sera.
Non è per niente comod... ZZZ!!!
Nell'immagine, Venere e Marte, di Sandro Botticelli (1482-83), dove Marte è evidentemente preda di un potente abbiocco... no, non post prandiale, proprio no...
E da qui si passa a quel colpo di sonnolenza che ci coglie all'improvviso, e che di solito si cerca di scacciare con abbondanti dosi di caffè.
C'è chi ne soffre dopo pranzo. E chi ne soffre sempre. A me l'abbiocco comincia a venire esattamente due secondi e mezzo dopo che ha suonato la sveglia al mattino (il tempo di metterla a tacere, insomma) e mi passa qualche istante prima di spegnere la luce la sera.
Non è per niente comod... ZZZ!!!
Nell'immagine, Venere e Marte, di Sandro Botticelli (1482-83), dove Marte è evidentemente preda di un potente abbiocco... no, non post prandiale, proprio no...
La parola chiave è...
Ehilà! Da quanto tempo non ci si vede, eh?
Qualcuno ieri mi ha ricordato che io un tempo avevo un blog, così sono tornata a darci un'occhiata.
Una cosa tira l'altra, sapete come va...
Comunque m'è venuta la curiosità di vedere come erano arrivati i lettori nell'ultima settimana. Quali misteriose parole chiave li aveva portati qui? Insomma, che accipicchia si aspettavano di trovare da me?
Come al solito ho trovato risposte bizzarre. Per non dire totalmente bislacche.
Intanto noto con piacere che la racchia tira sempre (infatti è la parola più cercata di sempre), seguita a ruota da i pro e i contro della moda e da scomodissimo. Che non so se si riferisca al blog in particolare o a qualche capo di abbigliamento di cui ho parlato.
Ma quella che mi piace di più è alle contesse del castello piace fare l'arrosto. Sì, certo, amano fare l'arrosto. Nei castelli c'erano camini molto grandi, dovete sapere, e questi camini servivano non solo a scaldare gli ambienti ma anche a cuocervi le carni. Le contesse erano bravissime con gli arrosti, che condivano con speciali salsette a base di prezzemolo, aglio e salsapariglia e tagliavano con speciali spadoni a due lame, affilatissimi, che a seconda della bisogna potevano anche servire a mozzare le teste nemiche.
Vi aspettavate che dicessi altro, vero?
Qualcuno ieri mi ha ricordato che io un tempo avevo un blog, così sono tornata a darci un'occhiata.
Una cosa tira l'altra, sapete come va...
Comunque m'è venuta la curiosità di vedere come erano arrivati i lettori nell'ultima settimana. Quali misteriose parole chiave li aveva portati qui? Insomma, che accipicchia si aspettavano di trovare da me?
Come al solito ho trovato risposte bizzarre. Per non dire totalmente bislacche.
Intanto noto con piacere che la racchia tira sempre (infatti è la parola più cercata di sempre), seguita a ruota da i pro e i contro della moda e da scomodissimo. Che non so se si riferisca al blog in particolare o a qualche capo di abbigliamento di cui ho parlato.
Ma quella che mi piace di più è alle contesse del castello piace fare l'arrosto. Sì, certo, amano fare l'arrosto. Nei castelli c'erano camini molto grandi, dovete sapere, e questi camini servivano non solo a scaldare gli ambienti ma anche a cuocervi le carni. Le contesse erano bravissime con gli arrosti, che condivano con speciali salsette a base di prezzemolo, aglio e salsapariglia e tagliavano con speciali spadoni a due lame, affilatissimi, che a seconda della bisogna potevano anche servire a mozzare le teste nemiche.
Vi aspettavate che dicessi altro, vero?
martedì 31 dicembre 2013
Il gatto e la luna editrice: Vita e avventure di Babbo Natale
Il gatto e la luna editrice: Vita e avventure di Babbo Natale: Titolo: Vita e avventure di Babbo Natale Di: Lyman Frank Baum Prezzo: 2 euro Nell'antichissima e misteriosa Foresta dei Burzi vivono...
giovedì 26 dicembre 2013
Il Dodecamerone. Ovvero, Buon Natale a tutti!
Natale: c'è chi lo odia e c'è chi lo ama. Quest'anno va di moda odiarlo. Su facebook si leggono più commenti di fastidio e irritazione che di gioia e felicità verso questa festa. Il che è naturale. È un errore pensare che il Natale debba essere per forza una festa di sola positività. È una festa che segna un momento di transizione, la fine di un periodo e l'inizio di un altro. Per cui c'è la speranza verso il futuro, ma pure la paura verso il medesimo, il rimpianto verso il passato, verso ciò che sarebbe potuto essere ma non è stato, verso ciò che non avremmo voluto capitasse ma è capitato, il timore che le cose possano peggiorare ma anche il desiderio che possano migliorare. È un sottile mix di questi sentimenti opposti e contrastanti e quindi è normale sentirsi confusi, spaesati, irritati, desiderare che finisca al più presto e che si torni alla normalità. Se aggiungiamo anche che le buone creanze ci impongono spesso di trascorrere il Natale con gente che altrimenti non frequenteremmo neppure pagati... abbiamo aggiunto la ciliegina sulla torta.
Io invece sono una di quelle persone irritanti che il Natale l'hanno sempre amato, anche per le contraddizioni che porta con sé, anche per i suoi lati d'ombra. È un tempo fuori dal tempo, che spezza i ritmi del quotidiano, e a me piacciono le cose che escono fuori dall'ordinario.
Mi piace tutto del Natale. Mi piace l'albero, mi piace il presepe, mi piacciono le lucine e i pacchetti infiocchettati, mi piacciono le canzoni, mi piacciono le abbondanti libagioni (la rima è involontaria), mi piacciono le fiabe, mi piace il suo eccesso, mi piace quando è esagerato. Penso che il Natale debba essere esagerato. Le tradizioni più antiche lo vogliono così, l'esagerazione dev'essere propiziatoria per l'anno nuovo. La semplicità non è una sua caratteristica, è qualcosa che è apparsa solo di recente e che fatica a prendere piede. Il Natale è materiale e spirituale assieme, non gli si può chiedere di essere solo una delle due cose. Non sarebbe più Natale.
Anche l'ipocrisia natalizia ci sta. Si tratta di una festa che ha due risvolti, uno intimo e uno pubblico. Quello intimo ce lo possiamo vivere come ci pare, ma quello pubblico ci impone una certa facciata. Insomma, non è bello andare in giro a mandare a quel paese tutti quelli che ci sono antipatici o non ci piacciono. È così tutti i giorni, ma a Natale lo sentiamo di più perché crediamo di dover essere più sinceri che in altri periodi dell'anno. E invece no, non è possibile esserlo, sarebbe assurdo pretenderlo. Vorrebbe davvero dire mettersi a litigare con un mucchio di gente, vi pare? Perché per qual motivo mai uno che mi è stato cordialmente antipatico per tutto l'anno dovrebbe diventarmi improvvisamente simpatico solo a Natale, anche se mi fa gli auguri? E viceversa, naturalmente: non pensiamo che siano solo gli altri a essere antipatici, anche noi potremmo essere per alcuni quelli “insopportabili e ipocriti”. Per cui vedete che non è proprio il caso di dare il via libera alla sincerità spinta, perché potrebbe venirne fuori un mucchio di guai.
Io sono sempre stata decisa a godermi il Natale a tutti i costi, anche trovandomi tra gente che il Natale lo detesta con tutta l'anima.
Anche a costo di risultare irritante e detestabile quanto il Natale stesso.
Infatti sto per scrivere qualcosa che irriterà molto chi detesta il Natale (ma forse anche chi lo ama, perché non mi faccio mancare mai niente).
E così dicendo, mi tocca spiegare perché ho scelto il titolo di cui sopra. Dodecamerone è una parola che deriva dal greco e che significa “dodici giorni”. Facile: se “Decamerone” (di Boccaccio) indica un periodo di dieci giorni e “Pentamerone” (di Giambattista Basile) ne indica uno di cinque, “Dodecamerone” vorrà giustamente indicarne uno di dodici.
Che dodici giorni?, direte voi. Ma quelli del Natale, ovvio. Il periodo che va dal 25 dicembre al 6 gennaio: i famosi dodici giorni di Natale. Avete presente quella commedia di Shakespeare che s'intitola “La dodicesima notte”? Be', quell'opera si chiama così proprio perché venne rappresentata per la prima volta il 6 gennaio, ovvero la dodicesima notte di Natale.
Ma che c'entra?, incalzerete voi, Natale c'è stato il 25, poi il 6 c'è l'Epifania e al massimo nel mezzo c'è Capodanno. Eh, no. Anche se da calendario sembrano tre festività distinte, in realtà sono esattamente la stessa. Ovvero una serie ininterrotta di dodici giorni natalizi. Una vera pacchia per quelli come me... però... ecco, se siete già lì a tirare un sospiro di sollievo solo perché è il 26 dicembre e a pensare “per fortuna Natale è ormai passato!” devo proprio darvi una delusione: in realtà è appena cominciato.
Questa è la brutta (o bella) notizia. Quella buona (o buona, perché neutrale) è che non siete in ritardo per fare gli auguri di buon natale. Avete ancora parecchi giorni di tempo.
Ma no, dai, non prendetela male. Certo, se speri che una cosa duri un giorno soltanto e invece scopri che ne dura dodici è seccante. Ma anche dodici giorni passano in fretta, no?
Perciò coraggio e sangue freddo: ce la potete fare!
Dimenticavo... BUON NATALE!!! :-)
Io invece sono una di quelle persone irritanti che il Natale l'hanno sempre amato, anche per le contraddizioni che porta con sé, anche per i suoi lati d'ombra. È un tempo fuori dal tempo, che spezza i ritmi del quotidiano, e a me piacciono le cose che escono fuori dall'ordinario.
Mi piace tutto del Natale. Mi piace l'albero, mi piace il presepe, mi piacciono le lucine e i pacchetti infiocchettati, mi piacciono le canzoni, mi piacciono le abbondanti libagioni (la rima è involontaria), mi piacciono le fiabe, mi piace il suo eccesso, mi piace quando è esagerato. Penso che il Natale debba essere esagerato. Le tradizioni più antiche lo vogliono così, l'esagerazione dev'essere propiziatoria per l'anno nuovo. La semplicità non è una sua caratteristica, è qualcosa che è apparsa solo di recente e che fatica a prendere piede. Il Natale è materiale e spirituale assieme, non gli si può chiedere di essere solo una delle due cose. Non sarebbe più Natale.
Anche l'ipocrisia natalizia ci sta. Si tratta di una festa che ha due risvolti, uno intimo e uno pubblico. Quello intimo ce lo possiamo vivere come ci pare, ma quello pubblico ci impone una certa facciata. Insomma, non è bello andare in giro a mandare a quel paese tutti quelli che ci sono antipatici o non ci piacciono. È così tutti i giorni, ma a Natale lo sentiamo di più perché crediamo di dover essere più sinceri che in altri periodi dell'anno. E invece no, non è possibile esserlo, sarebbe assurdo pretenderlo. Vorrebbe davvero dire mettersi a litigare con un mucchio di gente, vi pare? Perché per qual motivo mai uno che mi è stato cordialmente antipatico per tutto l'anno dovrebbe diventarmi improvvisamente simpatico solo a Natale, anche se mi fa gli auguri? E viceversa, naturalmente: non pensiamo che siano solo gli altri a essere antipatici, anche noi potremmo essere per alcuni quelli “insopportabili e ipocriti”. Per cui vedete che non è proprio il caso di dare il via libera alla sincerità spinta, perché potrebbe venirne fuori un mucchio di guai.
Io sono sempre stata decisa a godermi il Natale a tutti i costi, anche trovandomi tra gente che il Natale lo detesta con tutta l'anima.
Anche a costo di risultare irritante e detestabile quanto il Natale stesso.
Infatti sto per scrivere qualcosa che irriterà molto chi detesta il Natale (ma forse anche chi lo ama, perché non mi faccio mancare mai niente).
E così dicendo, mi tocca spiegare perché ho scelto il titolo di cui sopra. Dodecamerone è una parola che deriva dal greco e che significa “dodici giorni”. Facile: se “Decamerone” (di Boccaccio) indica un periodo di dieci giorni e “Pentamerone” (di Giambattista Basile) ne indica uno di cinque, “Dodecamerone” vorrà giustamente indicarne uno di dodici.
Che dodici giorni?, direte voi. Ma quelli del Natale, ovvio. Il periodo che va dal 25 dicembre al 6 gennaio: i famosi dodici giorni di Natale. Avete presente quella commedia di Shakespeare che s'intitola “La dodicesima notte”? Be', quell'opera si chiama così proprio perché venne rappresentata per la prima volta il 6 gennaio, ovvero la dodicesima notte di Natale.
Ma che c'entra?, incalzerete voi, Natale c'è stato il 25, poi il 6 c'è l'Epifania e al massimo nel mezzo c'è Capodanno. Eh, no. Anche se da calendario sembrano tre festività distinte, in realtà sono esattamente la stessa. Ovvero una serie ininterrotta di dodici giorni natalizi. Una vera pacchia per quelli come me... però... ecco, se siete già lì a tirare un sospiro di sollievo solo perché è il 26 dicembre e a pensare “per fortuna Natale è ormai passato!” devo proprio darvi una delusione: in realtà è appena cominciato.
Questa è la brutta (o bella) notizia. Quella buona (o buona, perché neutrale) è che non siete in ritardo per fare gli auguri di buon natale. Avete ancora parecchi giorni di tempo.
Ma no, dai, non prendetela male. Certo, se speri che una cosa duri un giorno soltanto e invece scopri che ne dura dodici è seccante. Ma anche dodici giorni passano in fretta, no?
Perciò coraggio e sangue freddo: ce la potete fare!
Dimenticavo... BUON NATALE!!! :-)
martedì 24 dicembre 2013
E un posto al sole ancora ci sarà...
Fino a oggi Palazzo Palladini l'ho visto solo così: da lontano. |
Dovrei vergognarmene.
Ma visto che son fatta come son fatta, non me ne vergogno e vado avanti.
E visto anche che Natale è epoca di buoni propositi e sincerità, tanto vale fare una pubblica confessione: io seguo un Posto al Sole. La soap di Rai 3 ambientata a Napoli, sì, proprio quella.
È da anni che la seguo, e vi spiego come ho cominciato. Ovvero, come sono caduta nel tunnel di UPAS.
Una sera stavo girellando tra i canali quando, passando su Rai 3, noto una scena che mi fa bloccare lì. C'è Viola Bruni (se non sapete chi è mi spiace per voi, non posso mettermi qui a farvi il sunto della soap sennò stiamo fino a Natale... del 2014) che, come suo solito, fa jogging. E correndo correndo passa davanti a casa mia! No, non casa mia di adesso perché quella, come tutti ben sapete (ehm...) è a Milano. Casa mia di un tempo, dove ho vissuto fino ai (ehm ehm) anni. Insomma, su, gli anni d'oro della prima giovinezza. Potete quindi immaginare la piena emotiva che mi ha travolto in quel momento. Perciò lei passa davanti casa mia e io mi fermo lì e comincio a guardare. Poi sapete come succede, uno dice all'inizio “solo dieci minuti” e invece sono passati dieci anni e ancora non ho smesso di guardare UPAS.
Quando guardo UPAS assieme a G tendo a essere un pochetto... come dire?... rompiscatole? Ma sì, diciamolo. Lo sono perché quando i personaggi se ne vanno in giro per la città noto certe incongruenze. Lo so, è una soap e a una soap non si richiede aderenza alla realtà. Ma certe cose potrebbero evitarle. Per esempio: Ornella dice di poter raggiungere l'ospedale in cui lavora in dieci minuti. Bene. Lei lavora al Cardarelli (lo si vede dalle riprese) e vive a Palazzo Palladini, che è in fondo a via Posillipo. È scientificamente impossibile che riesca a fare quel tragitto in dieci minuti, neppure se (per assurdo) trovasse tutti i semafori verdi e neanche un pochino di traffico. Per metterci così poco tempo vuol dire che o ha un teletrasporto o viaggia con un elicottero privato. Dev'essere questa. Probabilmente Ornella è ricca di famiglia. Del resto non si spiega come farebbe altrimenti ad avere casa lì.
Poi c'è il grande paradosso del Caffè Vulcano, il famoso bar appartenente a Silvia Graziani. Anzi, lo enuncio meglio a parte, ecco qua:
Il Grande Paradosso di Caffè Vulcano
Nella soap Un Posto al Sole (per brevità, UPAS), il Caffè Vulcano è praticamente l'unico bar di Napoli. Sappiamo che ce ne sono anche altri, ma sicuramente di minor conto, dal momento che tutti, ovunque vivano, si ritrovano sempre lì per bere un caffè, comprare la sfogliatelle, alzare il gomito e giocare a biliardo. È il punto dove persone che vivono in quartieri lontanissimi si incontrano sempre per caso, quindi vedete che gli altri bar non devono essere particolarmente invitanti.
Il paradosso consiste nell'ubicazione del locale. Da quel che vediamo nella soap sappiamo che:
a) è vicino Palazzo Palladini. Perché Silvia dice sempre cose come “faccio un attimo un salto al Vulcano”, o perché se qualcuno resta senza latte “va un secondo al Vulcano a prenderlo”. Insomma, dev'essere un posto raggiungibile in pochi minuti, però...
b) dalla finestra del Caffè Vulcano si vede Nisida. Ora, questo non è possibile. Nisida è dall'altra parte della collina di Posillipo. Per godere di quel panorama, il Caffè Vulcano dovrebbe essere in cima alla collina, quindi ad almeno tre quarti d'ora di cammino (quasi tutto in salita) dal Palazzo. Ma come se non bastasse...
c) vediamo sempre che quando qualcuno esce da Caffè Vulcano si trova immediatamente alla Villa Comunale, che è a non meno di cinque chilometri di distanza da Palazzo Palladini.
Per fare un esempio comprensibile per i milanesi (purtroppo sulle altre città non sono ferrata, e poi andiamo... potrò mica fare un esempio diverso per ogni città italiana), sarebbe come dire che c'è un bar in Piazza Duomo. Ma che le finestre di questo bar affacciano su Porta Venezia, però quando esci ti trovi in Stazione Centrale. Strano, vero? Come si spiega? Non si spiega, ovviamente: è una soap ed è chiaro che il Caffè Vulcano è un luogo inventato. Ma inventato per inventato, non potevano inventare un'ubicazione un pelino più realistica?
Altro mio cruccio: Viola che fa jogging. Sappiamo che Viola fa jogging al Parco Virgiliano (gran bel posto per fare jogging, ma anche una banale passeggiata). In effetti il parco è vicino Palazzo Palladini. Ciò non toglie che farsi tutta quella strada, per di più in salita, sia una bella faticaccia. Io l'ho fatta oggi. Non di corsa, naturalmente, che ci tengo a rimanere viva. Procedendo a passo svelto e costante, ho impiegato circa quaranta minuti per coprire il tragitto. Quando sono arrivata, però, ero piuttosto stanca. Neanche sotto minaccia mi avrebbero convinto a mettermi a correre. Forse Viola arriva fin lì in auto. O forse, banalmente, è solo molto più giovane e allenata di me (STRASOB!!!).
Comunque, come vi dicevo, trovandomi a Napoli per le feste oggi sono stata a Palazzo Palladini. Per la prima volta (perlomeno da che sono cosciente) l'ho visto da vicino. È stata dura, perché ho deciso di fare tutto il tragitto a piedi ignorando i consigli di mia mamma: “Ma che ci vai a fare? Lo vedi benissimo dalla finestra col binocolo!” eccetera eccetera. Ma io niente, di coccio. Ho deciso di andarci finalmente, e a piedi perché volevo controllare anche il tragitto di Viola la sportiva. E vedere se potevo farcela anch'io nonostante la mia veneranda età. In tutto, tra andata e ritorno, ho percorso circa dieci chilometri in tre ore e mezza di tempo (inclusa la mezz'ora di sosta davanti al palazzo, e la ventina di minuti che ho perso perché ho sbagliato strada... ehm...). È una di quelle cose, mi son detta, che si fanno una volta sola nella vita. Perché anche mentre la stai facendo continui a dirti: “Ma perché ho deciso di farla?” e ti riprometti di non ripetere più l'esperienza. Mi ricordo che mi dissi proprio questo la prima volta che feci la discesa, e relativa salita, fino ai Faraglioni di Capri. “Mai più!”, mi dissi. E invece mi costrinsero a farla almeno altre tre-quattro volte. L'ultima è stata una decina d'anni fa con G. Io lo avvertii: “Guarda che la salita è dura. Durissima. Tu non sai a cosa vai incontro. Ripensaci prima che sia troppo tardi!”, ma lui, più di coccio di me, decise che dopotutto non era ammissibile essere arrivati da Milano a Capri e poi non andare ad ammirare i Faraglioni da vicino. E così ci ritrovammo ad arrancare per quell'impervia stradina in salita e sotto il sole a picco. Perché era estate. Invece il tragitto di oggi (Mai più!!!) per fortuna l'ho fatto in inverno. Fosse stato agosto pieno, probabilmente ora non sarei qui a raccontarvela, ma nella migliore delle ipotesi sarei ricoverata in terapia intensiva. Invece così me la sono cavata solo sudando come una capra, perché oggi qui a Napoli c'era un sole così.
Che altro dirvi? Niente, direi di passare pure alle foto.
Girando per Napoli capita di vedere tante cose già scorte a UPAS. Per esempio...
...Piazzetta Nilo. Da queste parti c'è il centro d'ascolto di Giulia Poggi. |
E qui sicuramente è attraccato anche lo yacht di Giorgio Sartori. |
Piazza Plebiscito: dove Greta incontrò e si scontrò con il bel Ferdinando. |
E agli scavi di San Lorenzo Andrea girò il video di "Tre metri sottoterra" per Mimmo Calore. |
Piazza San Domenico Maggiore. Ripresa decine di volte. |
Pare che davanti a questo monumento di Mergellina partano i bus per Berlino... |
Palazzo Donn'Anna, storico e ricco di fosche leggende. Non c'entra con la soap, ma è bello lo stesso. |
Ah, di qui dev'essere passato Tommaso... |
"Mi scusi, vado bene per Palazzo Palladini?" |
Messaggio d'amore sul muro. L'avrà scritto Genny per Rossella? |
Eccolo! È lui! Quanta emozione! |
Questa scena ci è ben nota, vero? ;-) |
A view from Palazzo Palladini. |
Eccolo qua, in tutto il suo Palladiniano fulgore. |
Quante volte i nostri eroi si sono affacciati da quei merli? |
L'unico bar vicino al PP è questo. Niente Vulcano :-( |
Piccione Palladino... |
Le torri. |
WOW! Sto toccando Palazzo Palladini! |
Ho cercato di farmi un autoscatto ma non ci sono riuscita: accontentatevi di questo schizzo... |
La scogliera davanti al PP. Io mi sono arresa dopo tre massi. E pensare che Marina riesce a percorrerla sui tacchi a spillo! |
La Terrazza! Yuppi! |
Un comodo ingresso secondario per il fratello di Genny? |
Gli scogli sui quali Franco getta i nemici. Li vedete gli schizzi di sangue? |
Quel che avanza dall'ultimo spaghetto a vongole di Raffaele... |
I flutti che si frangono sulla spiaggetta del PP. |
Finalmente anch'io coi piedi in spiaggia... |
Ancora uno scorcio. |
Ciao, PP, ci si rivede stasera. In TV!!! |
Brusco ritorno alla realtà: il VERO ingresso di Palazzo Palladini... |
...che in realtà si chiama così. Triste, vero? |
...e comunque Rossella ha ragionissima a volere il motorino! Pant pant!... |
E siccome in un mio post non possono mancare i gatti, ecco un simpaticissimo e dolcissimo miciotto di Posillipo. Miao! :-) |
venerdì 30 agosto 2013
Chi ha paura di Carla Gozzi?
Per motivi che ancora non mi spiego, noto che tante persone arrivano sul mio blog seguendo il filone “moda”. E del resto i blog di maggior successo sono quelli a tema fashionista, per così dire.
E chi sono io per sottrarmi a questo trend (visto come parlo fashion?)?
Parliamo di moda, dunque, anche se vi ho già confessato più d'una volta che di moda non ne capisco una beata cippa.
L'argomento di moda del giorno è “dagli addosso a Carla Gozzi”. Così pare guardando in giro.
Come forse saprete, o forse no (in questo caso ve lo dico io), la nostra Carla tornerà in TV il prossimo 9 settembre con un programma nuovo (cliccate qui per vedere l'anteprima) dal titolo “Armadio perfetto – kids and teens”. Come dice il sito stesso di Real Time TV: “Le protagoniste dei primi 15 episodi della serie infatti, sono ragazze dai 6 ai 15 anni che verranno coinvolte ne “Il gioco della moda” in cui Carla creerà un accessorio usando oggetti contenuti nella “valigia delle meraviglie”. Un modo divertente e colorato per insegnare i primi segreti di stile a queste fashion-victim in erba.”
In effetti letta così dà un po' fastidio anche a me. L'idea della mini-fashion-victim è raccapricciante anche più della fashion-victim adulta. Lo stesso termine “fashion-victim” sa di patologico, di rapporto malsano, di qualcosa che andrebbe curato piuttosto che incoraggiato.
Una “vittima della moda” sembra una persona che subisce la moda, più che esserne semplicemente appassionata, che ne viene danneggiata, che riporta dei danni. Una vittima è un essere vivente che viene “sacrificato, immolato, ucciso” (vedere "vittima" sul vocabolario Treccani) e non penso che chi segue la moda si veda bene in questi panni (per rimanere in ambito fashion).
Perciò posso comprendere come mai tante persone siano balzate sulla sedia quando hanno letto di un tale termine applicato a ragazzine e bambine, che appaiono inermi e perciò ancor più vittime, potenzialmente.
Infatti si è scatenato di tutto contro questa trasmissione, e c'è anche una petizione per impedirne la messa in onda.
Ma termini infelici a parte, è davvero così diabolica la trasmissione di Carla? La mia risposta è: non lo so. Non lo so, semplicemente perché non l'ho ancora vista, dal momento che non è ancora andata in onda. E non avendola ancora vista, non posso dire come sarà. Certo, quando si mandano in onda bambini bisogna sempre pensarci non due, ma duemila volte. Per evitare di abusarne, per evitare di spingerli verso un sistema di pensiero che punti all'apparire piuttosto che all'essere, per evitare di strumentalizzarli in qualunque modo. Ma questo dovrebbe valere per tutto, non solo per questa trasmissione. Ci sono parecchi spot che usano i bambini per intenerire il pubblico, che sono semplicemente riprovevoli. O dedicati proprio ai bambini e che sono veramente sessisti, ai limiti (e oltre) dell'indecenza. Per non parlare di tutte le patetiche/tenere/accattivanti/melense foto di bambini che tante pagine facebook utilizzano con il non proprio nobile scopo di ottenere più like, e quindi più popolarità. Perché non protestiamo anche per quelli?
Io lo confesso: anche se vivo in un mondo sostanzialmente agli antipodi del fashionismo, il programma di Enzo e Carla lo seguo. Semplicemente perché mi diverte. È buffo, ed è un gioco. Basta non prenderlo troppo sul serio.
Questo lo possono capire gli adulti, ma i bambini? Perché in tanti hanno paura che questo programma in particolare sia pericoloso, una molla che spinga le bambine a idee sessiste e consumistiche? Ma perfino sui giornalini per bambini si parla anche di moda. E lo so perché ci ho lavorato su quei giornalini. Ai ragazzini (anche ai maschi) la moda interessa, i vestiti sono anche un modo di esprimere ciò che sono “dentro”, e anche per affermare se stessi e i propri gusti indipendentemente da quelli dei genitori. Chi di noi da piccolo non ha mai desiderato una particolare maglietta, un particolare vestito, un determinato paio di scarpe? L'importante è che non diventi un'ossessione. Bisogna andarci cauti, ecco. Io da piccola detestavo i vestiti che mi facevano indossare, perché erano anni Settanta (io sono stata bambina negli anni Settanta, sì, sono veeeeecchia) e quella moda non mi piaceva. Questo non voleva dire che non ne desiderassi altri. Desiderare anche (ma non solo) vestiti diversi, voleva per me dire che ero una persona diversa da mia mamma, da mia sorella e da tutti quelli che mi circondavano.
E tutti i vari magazine “femminili”, poi, dove li mettiamo? Dai vari Cioè, via via a salire di età e tipologia di lettrici fino a Io Donna, che dovrebbe essere un settimanale un po' più impegnato, perché la moda rimane tra gli argomenti più gettonati? Perché non è possibile immaginare un giornale “femminile” (che già il concetto mi dà l'orticaria) dove moda, consigli di bellezza eccetera lascino posto ad argomenti più profondi? La Barbie fashionista esiste da anni, e penso pure che abbia un seguito ben più vasto di quello di Carla Gozzi. Perché non si sono scatenate campagne contro di lei?
Comunque, fin qui non mi pronuncio: senza aver visto il programma non posso dir nulla, solo per principio. Ma ne riparleremo, oh, se ne riparleremo!
Mi rimane un unico, ultimo dubbio: c'è chi ama tanto la moda da farsene vittima, e chi la detesta talmente tanto da vedere del marcio ovunque se ne accenni. Ma non sono entrambe le categorie ossessionate dalla moda?
E chi sono io per sottrarmi a questo trend (visto come parlo fashion?)?
Parliamo di moda, dunque, anche se vi ho già confessato più d'una volta che di moda non ne capisco una beata cippa.
L'argomento di moda del giorno è “dagli addosso a Carla Gozzi”. Così pare guardando in giro.
Come forse saprete, o forse no (in questo caso ve lo dico io), la nostra Carla tornerà in TV il prossimo 9 settembre con un programma nuovo (cliccate qui per vedere l'anteprima) dal titolo “Armadio perfetto – kids and teens”. Come dice il sito stesso di Real Time TV: “Le protagoniste dei primi 15 episodi della serie infatti, sono ragazze dai 6 ai 15 anni che verranno coinvolte ne “Il gioco della moda” in cui Carla creerà un accessorio usando oggetti contenuti nella “valigia delle meraviglie”. Un modo divertente e colorato per insegnare i primi segreti di stile a queste fashion-victim in erba.”
In effetti letta così dà un po' fastidio anche a me. L'idea della mini-fashion-victim è raccapricciante anche più della fashion-victim adulta. Lo stesso termine “fashion-victim” sa di patologico, di rapporto malsano, di qualcosa che andrebbe curato piuttosto che incoraggiato.
Una “vittima della moda” sembra una persona che subisce la moda, più che esserne semplicemente appassionata, che ne viene danneggiata, che riporta dei danni. Una vittima è un essere vivente che viene “sacrificato, immolato, ucciso” (vedere "vittima" sul vocabolario Treccani) e non penso che chi segue la moda si veda bene in questi panni (per rimanere in ambito fashion).
Perciò posso comprendere come mai tante persone siano balzate sulla sedia quando hanno letto di un tale termine applicato a ragazzine e bambine, che appaiono inermi e perciò ancor più vittime, potenzialmente.
Infatti si è scatenato di tutto contro questa trasmissione, e c'è anche una petizione per impedirne la messa in onda.
Ma termini infelici a parte, è davvero così diabolica la trasmissione di Carla? La mia risposta è: non lo so. Non lo so, semplicemente perché non l'ho ancora vista, dal momento che non è ancora andata in onda. E non avendola ancora vista, non posso dire come sarà. Certo, quando si mandano in onda bambini bisogna sempre pensarci non due, ma duemila volte. Per evitare di abusarne, per evitare di spingerli verso un sistema di pensiero che punti all'apparire piuttosto che all'essere, per evitare di strumentalizzarli in qualunque modo. Ma questo dovrebbe valere per tutto, non solo per questa trasmissione. Ci sono parecchi spot che usano i bambini per intenerire il pubblico, che sono semplicemente riprovevoli. O dedicati proprio ai bambini e che sono veramente sessisti, ai limiti (e oltre) dell'indecenza. Per non parlare di tutte le patetiche/tenere/accattivanti/melense foto di bambini che tante pagine facebook utilizzano con il non proprio nobile scopo di ottenere più like, e quindi più popolarità. Perché non protestiamo anche per quelli?
Io lo confesso: anche se vivo in un mondo sostanzialmente agli antipodi del fashionismo, il programma di Enzo e Carla lo seguo. Semplicemente perché mi diverte. È buffo, ed è un gioco. Basta non prenderlo troppo sul serio.
Questo lo possono capire gli adulti, ma i bambini? Perché in tanti hanno paura che questo programma in particolare sia pericoloso, una molla che spinga le bambine a idee sessiste e consumistiche? Ma perfino sui giornalini per bambini si parla anche di moda. E lo so perché ci ho lavorato su quei giornalini. Ai ragazzini (anche ai maschi) la moda interessa, i vestiti sono anche un modo di esprimere ciò che sono “dentro”, e anche per affermare se stessi e i propri gusti indipendentemente da quelli dei genitori. Chi di noi da piccolo non ha mai desiderato una particolare maglietta, un particolare vestito, un determinato paio di scarpe? L'importante è che non diventi un'ossessione. Bisogna andarci cauti, ecco. Io da piccola detestavo i vestiti che mi facevano indossare, perché erano anni Settanta (io sono stata bambina negli anni Settanta, sì, sono veeeeecchia) e quella moda non mi piaceva. Questo non voleva dire che non ne desiderassi altri. Desiderare anche (ma non solo) vestiti diversi, voleva per me dire che ero una persona diversa da mia mamma, da mia sorella e da tutti quelli che mi circondavano.
E tutti i vari magazine “femminili”, poi, dove li mettiamo? Dai vari Cioè, via via a salire di età e tipologia di lettrici fino a Io Donna, che dovrebbe essere un settimanale un po' più impegnato, perché la moda rimane tra gli argomenti più gettonati? Perché non è possibile immaginare un giornale “femminile” (che già il concetto mi dà l'orticaria) dove moda, consigli di bellezza eccetera lascino posto ad argomenti più profondi? La Barbie fashionista esiste da anni, e penso pure che abbia un seguito ben più vasto di quello di Carla Gozzi. Perché non si sono scatenate campagne contro di lei?
Comunque, fin qui non mi pronuncio: senza aver visto il programma non posso dir nulla, solo per principio. Ma ne riparleremo, oh, se ne riparleremo!
Mi rimane un unico, ultimo dubbio: c'è chi ama tanto la moda da farsene vittima, e chi la detesta talmente tanto da vedere del marcio ovunque se ne accenni. Ma non sono entrambe le categorie ossessionate dalla moda?
Tipi da treno (o treni d'un certo tipo?)
Ebbene sì, lo confesso: io sono una terribile compagna di viaggio in treno. Sono una di quelle persone-orso, che in treno si mettono in un angolo e si chiudono (o cercano di chiudersi) in una bolla che le isoli dal mondo esterno.
E che non vedono l'ora che il viaggio sia finito.
Quand'ero piccola viaggiare in treno mi piaceva. Mi piaceva soprattutto guardare fuori dal finestrino. E poi fantasticavo sui paesaggi che vedevo scorrere e cambiare quando si passava da una regione all'altra, immaginavo di percorrerli in groppa a un cavallo velocissimo, oppure di entrare nelle case più belle che vedevo. Mi piace farlo anche adesso. A dirla tutta, guardare fuori dal finestrino è la mia attività preferita quando viaggio in treno, anche se non indulgo più in certe fantasticherie.
Però non è che non mi accorga di quel che mi succede attorno. Anche se vorrei evitarlo, mi è capitato spesso di vedere chi sono gli altri viaggiatori.
Ci sono quelli orsi come me, e sono i miei preferiti. Si fanno i fatti loro e generalmente non mi accorgo neppure quando scendono a una fermata prima della mia (a meno che non vengano sostituiti da gente più chiassosa).
Quelli che mi davano più fastidio, quand'ero piccola, erano quelli che per dormire abbassavano le tendine del finestrino, impedendomi di ammirare il paesaggio. Se ci riuscivo, non appena si addormentavano le rialzavo.
Poi ci sono quelli che si siedono di fronte e allungano le gambe in modo da costringermi a tenere i piedi rannicchiati sotto la sedia. Siccome sono un tipo schivo e gentile, non ho mai il coraggio di dir loro quanto mi dia fastidio. A meno che non mi vengano i crampi alle ginocchia, e allora cerco di riprendermi i miei spazi.
Quelli che non capisco sono quelli che, sui treni come le frecce (dove la prenotazione del posto è obbligatoria), si siedono sempre al posto di qualcun altro. Sempre. Hai il tuo posto, accidenti, perché ti devi mettere al mio? Non so neppure da quanto tempo non riesco più a viaggiare nel posto che mi ero pazientemente scelta e prenotata in partenza.
I simpaticoni a tutti i costi mi irritano anche altrove, ma sul treno di più perché non posso scappare. So benissimo che sono io quella acida e musona, ma proprio non sopporto l'invadenza. Per questo davanti a elementi del genere mi chiudo ancora più a riccio, più loro fanno i simpatici più io divento scontrosa, sprofondo in un libro e fingo di non vederli e non sentirli, o rispondo a monosillabi alle loro pressanti domande, finché i simpaticoni di turno non si arrendono.
E ancora, ci sono gli amanti della musica. Non quelli che si ascoltano l'iPod per conto loro, no. Dico quelli che cantano. Anni fa feci un viaggio in treno accanto a due tizi che ebbero la forza di cantare la stessa canzone per otto ore di fila! Otto ore, vi rendete conto? Sempre la stessa canzone! Roba da mettersi a gridare “Basta, pietà! Almeno cambiate brano!”
Poi ci sono i maniaci del cellulare, che passano tutto il tempo a parlare al telefono mettendo tutto il compartimento a conoscenza dei loro affari lavorativi e/o privati.
E quelli che mettono i piedi sulla poltroncina di fronte.
E ancora i bambini invadenti. Una volta mi capitò di viaggiare con uno di questi. Se ne andava in giro per il compartimento in cerca di consensi e apprezzamenti, con la mamma che affermava gongolante che il suo piccino “amava stare al centro dell'attenzione”. Siccome io, da brava musona, me ne rimasi col naso immerso nel mio libro (me lo ricordo ancora, era “Il giuoco delle perle di vetro” di Hermann Hesse), la sua attenzione si concentrò in particolare su di me. Come mai io ero l'unica a non dargli retta? Perché solo io non gli facevo neppure una moina, anzi, parevo proprio non vederlo neppure? Fece di tutto per attirare la mia attenzione, ma non ci riuscì. O meglio, ci riuscì ma io non glielo diedi a vedere. Sicuramente da grande sarebbe diventato un adulto invadente, c'era pur bisogno di qualcuno che lo rimettesse in riga.
Eppure nonostante la mia conclamata acidità, la proposta di Deutsche Bahn e Obb, di creare compartimenti per sole donne (vedete qui l'articolo), mi lascia perplessa. Se non fosse per il fatto che lei non viaggerebbe mai su un mezzo plebeo come il treno, penso che zia Ramona apprezzerebbe l'idea, se non altro per l'opportunità di avere a disposizione un bagno “per sole donne” anche sul treno. Zia Ramona detesta l'idea di adoperare un bagno che sia stato usato anche da un uomo: non divide la toilette neppure col marito, figuriamoci con un estraneo. Può farlo perché lei in casa ha due bagni. Quando viene da me per lei è un dramma, perché io ho un solo bagno e lo usa anche G. E lei piuttosto che andare nello stesso bagno di G preferirebbe farsi esplodere la vescica.
Però veramente è un'iniziativa di cui non capisco il senso. A che pro?
Nell'articolo dicono che in parte è una misura di sicurezza, in epoca di femminicidi. Ma che c'entra? I femminicidi avvengono generalmente a opera di persone che conoscevano bene la vittima, visto che di solito si tratta degli ex. O forse intendete dire che così evitate che due si conoscano e che la relazione possa quindi sfociare in qualcosa di drammatico? Eh, però a questo punto bisognerebbe tener d'occhio tutti i possibili luoghi d'incontro. Bar, palestre, supermercati, ristoranti e chi più ne ha più ne metta. Tutto separato, via.
La questione della sicurezza, in generale, è un po' irritante, a mio avviso. È un passo indietro verso i luoghi comuni più beceri: gli uomini sono tutti possibili aggressori e le donne tutte possibili vittime. Che si fa? Si tengono separati, così i primi non cadono in tentazione e le seconde sono al sicuro. Un po' come dire che tu, donna e quindi vittima, se non vuoi fastidi è meglio se non ti fai vedere. Non indossare vestiti provocanti. Non uscire da sola. Anzi, stattene proprio a casa così fai prima. Altrimenti “te la sei cercata”.
Che brutta cosa, no?
E comunque non mi sembra il modo migliore per prevenire le violenze, anzi, mi pare quasi un voler giustificare la mentalità che le genera.
L'idea della maggior riservatezza per le studentesse mi sembra campata in aria. E gli studenti, allora? E chi vi dice che altre compagne di viaggio donne non facciano confusione pure loro, chiacchierando, parlando a telefono, cantando a squarciagola o semplicemente portandosi dietro figli pestiferi? Piuttosto fate un compartimento per studenti. Anzi, meglio, un compartimento per lettori che vogliono essere lasciati in pace nelle loro letture. Non sarebbe male neppure un vagone-biblioteca per i viaggi lunghi.
Insomma, io non capisco l'iniziativa, ma forse è solo un problema mio. Riuscite a spiegarmela voi in qualche modo?
E che non vedono l'ora che il viaggio sia finito.
Quand'ero piccola viaggiare in treno mi piaceva. Mi piaceva soprattutto guardare fuori dal finestrino. E poi fantasticavo sui paesaggi che vedevo scorrere e cambiare quando si passava da una regione all'altra, immaginavo di percorrerli in groppa a un cavallo velocissimo, oppure di entrare nelle case più belle che vedevo. Mi piace farlo anche adesso. A dirla tutta, guardare fuori dal finestrino è la mia attività preferita quando viaggio in treno, anche se non indulgo più in certe fantasticherie.
Però non è che non mi accorga di quel che mi succede attorno. Anche se vorrei evitarlo, mi è capitato spesso di vedere chi sono gli altri viaggiatori.
Ci sono quelli orsi come me, e sono i miei preferiti. Si fanno i fatti loro e generalmente non mi accorgo neppure quando scendono a una fermata prima della mia (a meno che non vengano sostituiti da gente più chiassosa).
Quelli che mi davano più fastidio, quand'ero piccola, erano quelli che per dormire abbassavano le tendine del finestrino, impedendomi di ammirare il paesaggio. Se ci riuscivo, non appena si addormentavano le rialzavo.
Poi ci sono quelli che si siedono di fronte e allungano le gambe in modo da costringermi a tenere i piedi rannicchiati sotto la sedia. Siccome sono un tipo schivo e gentile, non ho mai il coraggio di dir loro quanto mi dia fastidio. A meno che non mi vengano i crampi alle ginocchia, e allora cerco di riprendermi i miei spazi.
Quelli che non capisco sono quelli che, sui treni come le frecce (dove la prenotazione del posto è obbligatoria), si siedono sempre al posto di qualcun altro. Sempre. Hai il tuo posto, accidenti, perché ti devi mettere al mio? Non so neppure da quanto tempo non riesco più a viaggiare nel posto che mi ero pazientemente scelta e prenotata in partenza.
I simpaticoni a tutti i costi mi irritano anche altrove, ma sul treno di più perché non posso scappare. So benissimo che sono io quella acida e musona, ma proprio non sopporto l'invadenza. Per questo davanti a elementi del genere mi chiudo ancora più a riccio, più loro fanno i simpatici più io divento scontrosa, sprofondo in un libro e fingo di non vederli e non sentirli, o rispondo a monosillabi alle loro pressanti domande, finché i simpaticoni di turno non si arrendono.
E ancora, ci sono gli amanti della musica. Non quelli che si ascoltano l'iPod per conto loro, no. Dico quelli che cantano. Anni fa feci un viaggio in treno accanto a due tizi che ebbero la forza di cantare la stessa canzone per otto ore di fila! Otto ore, vi rendete conto? Sempre la stessa canzone! Roba da mettersi a gridare “Basta, pietà! Almeno cambiate brano!”
Poi ci sono i maniaci del cellulare, che passano tutto il tempo a parlare al telefono mettendo tutto il compartimento a conoscenza dei loro affari lavorativi e/o privati.
E quelli che mettono i piedi sulla poltroncina di fronte.
E ancora i bambini invadenti. Una volta mi capitò di viaggiare con uno di questi. Se ne andava in giro per il compartimento in cerca di consensi e apprezzamenti, con la mamma che affermava gongolante che il suo piccino “amava stare al centro dell'attenzione”. Siccome io, da brava musona, me ne rimasi col naso immerso nel mio libro (me lo ricordo ancora, era “Il giuoco delle perle di vetro” di Hermann Hesse), la sua attenzione si concentrò in particolare su di me. Come mai io ero l'unica a non dargli retta? Perché solo io non gli facevo neppure una moina, anzi, parevo proprio non vederlo neppure? Fece di tutto per attirare la mia attenzione, ma non ci riuscì. O meglio, ci riuscì ma io non glielo diedi a vedere. Sicuramente da grande sarebbe diventato un adulto invadente, c'era pur bisogno di qualcuno che lo rimettesse in riga.
Eppure nonostante la mia conclamata acidità, la proposta di Deutsche Bahn e Obb, di creare compartimenti per sole donne (vedete qui l'articolo), mi lascia perplessa. Se non fosse per il fatto che lei non viaggerebbe mai su un mezzo plebeo come il treno, penso che zia Ramona apprezzerebbe l'idea, se non altro per l'opportunità di avere a disposizione un bagno “per sole donne” anche sul treno. Zia Ramona detesta l'idea di adoperare un bagno che sia stato usato anche da un uomo: non divide la toilette neppure col marito, figuriamoci con un estraneo. Può farlo perché lei in casa ha due bagni. Quando viene da me per lei è un dramma, perché io ho un solo bagno e lo usa anche G. E lei piuttosto che andare nello stesso bagno di G preferirebbe farsi esplodere la vescica.
Però veramente è un'iniziativa di cui non capisco il senso. A che pro?
Nell'articolo dicono che in parte è una misura di sicurezza, in epoca di femminicidi. Ma che c'entra? I femminicidi avvengono generalmente a opera di persone che conoscevano bene la vittima, visto che di solito si tratta degli ex. O forse intendete dire che così evitate che due si conoscano e che la relazione possa quindi sfociare in qualcosa di drammatico? Eh, però a questo punto bisognerebbe tener d'occhio tutti i possibili luoghi d'incontro. Bar, palestre, supermercati, ristoranti e chi più ne ha più ne metta. Tutto separato, via.
La questione della sicurezza, in generale, è un po' irritante, a mio avviso. È un passo indietro verso i luoghi comuni più beceri: gli uomini sono tutti possibili aggressori e le donne tutte possibili vittime. Che si fa? Si tengono separati, così i primi non cadono in tentazione e le seconde sono al sicuro. Un po' come dire che tu, donna e quindi vittima, se non vuoi fastidi è meglio se non ti fai vedere. Non indossare vestiti provocanti. Non uscire da sola. Anzi, stattene proprio a casa così fai prima. Altrimenti “te la sei cercata”.
Che brutta cosa, no?
E comunque non mi sembra il modo migliore per prevenire le violenze, anzi, mi pare quasi un voler giustificare la mentalità che le genera.
L'idea della maggior riservatezza per le studentesse mi sembra campata in aria. E gli studenti, allora? E chi vi dice che altre compagne di viaggio donne non facciano confusione pure loro, chiacchierando, parlando a telefono, cantando a squarciagola o semplicemente portandosi dietro figli pestiferi? Piuttosto fate un compartimento per studenti. Anzi, meglio, un compartimento per lettori che vogliono essere lasciati in pace nelle loro letture. Non sarebbe male neppure un vagone-biblioteca per i viaggi lunghi.
Insomma, io non capisco l'iniziativa, ma forse è solo un problema mio. Riuscite a spiegarmela voi in qualche modo?
lunedì 26 agosto 2013
Foto brutte dalle vacanze
Tutti sono capaci di postare foto belle delle vacanze. Ma quelle brutte o insignificanti? Provateci voi a fare un articolo tutto di immagini del genere. Almeno concedetemelo: ho avuto coraggio a pensare di farlo. E anche a farlo davvero, sì :-P
PS: dimenticavo di dirvi dove sono andata in vacanza. Sono stata in montagna ^___^
PS: dimenticavo di dirvi dove sono andata in vacanza. Sono stata in montagna ^___^
Op-art nei treni regionali. E se il treno fa ritardo ci si consola ammirando questi capolavori... |
La camminata nordica in 7, facili passi... |
Questo cartello è decisamente ambiguo |
Un gufo intagliato |
I troll affollano le nostre montagne |
...e anche i gufi violoncellisti non scarseggiano |
Non sai il tuo nome? Chiedilo al Gufo Saggio. |
Mai più senza: la ballerina di cristallo |
Mai più senza 2: la giraffa-palla, ovvero la giralla... |
E le palline con dentro i peluche? Che vacanze sono senza di loro? |
I resort di montagna sono pensati per gli sciatori. Anche in estate si pensa a loro. Vi ho mai detto che odio lo sci? |
Uno splendido sombrero multicolore in cima alla malga. |
Impianto di risalita d'ispirazione navale |
Un gatto delle nevi rosa-chewing gum |
Scie chimiche ad alta quota. È un GOMBLOTTO!!!1!!1!! |
Questo è il massimo della libreria che si trova nella zona degli alberghi. Tristissimo! |
La bambola montanara assassina |
E il cucù di Heidi vogliamo farcelo mancare? |
La foto è brutta ma l'idea è bella: distributore di sacchetti per raccogliere le deiezioni canine. Per chi se le dimentica sempre. |
Cabina del telefono austriaca. |
L'ABC del Tirolo... |
Un po' di mazzafrusti e simili... |
Innsbruk: deposito dei tram |
Un mimo argentato a Innsbruck |
Divieto di transito per i carri di fieno |
Un'enorme mosca Swarovski. Calcolando su cosa si posano di solito le mosche... |
Mi preparo il caffè. Foto scattata col preciso scopo di infastidire quelli a cui danno fastidio le foto delle vacanze (altrui). |
Macchinetta mangiasoldi tirolese |
Quanto costerà, al giorno, noleggiare una sigaretta? |
Distributore di caramelle. Vuoto! |
Calciobalilla con omini decapitati. Ahimè! |
Lo scomodissimo asciugacapelli del residence |
"In camera c'è un posacenere. Vuol dire che si può fumare?" "Non lo so. Nel dubbio, si metta fuori dalla finestra." |
Panorama dalla nostra stanza. Cabinovia inclusa. Ricordarsi di chiudere le tende prima di mettersi in mutande. |
Strangolapreti immersi nel burro. Altra foto fatta per irritare gli irritabili. |
Street art ad alta quota... |
Se andate sulle Alpi non perdetevi le tipiche feste hawaiiane... |
Un bel focherello in pieno agosto è quel che ci vuole... |
Che maleducati i gitanti che gettano l'immondizia ovunque, anche in mezzo ai boschi |
Ma come, i piedi al mare sì e i piedi in montagna no? |
Altra veduta dalla nostra stanza (ma sporgendosi molto)... |
G: "Ti ho mai raccontato di come è avvenuta la prima tragedia del Cermis?" Io: "Ma certo, è proprio quel che voglio sentire quando viaggio in cabinovia." |
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