lunedì 21 novembre 2011

Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere

Premessa: si tratta di un libro (quello del titolo, NDR) che non ho mai letto e che non ho in programma di leggere nei prossimi, imminenti centocinquant'anni. Ma m'ispirava, e poi spero, con questo subdolo trucco, di accalappiare attirare un gran mucchio di lettori in più.

In realtà l'intenzione è quella di parlare delle classiche incomprensioni tra uomini e donne... no, Maria De Filippi non c'entra (tu che cercavi tronisti e pretendenti qui, hai sbagliato blog). Insomma, di queste mitiche incomprensioni ne parlano riviste, comici, cani e porci. Quindi perché non anch'io? È il trionfo del luogo comune, perciò mi ci butto a pesce perché ormai l'avrete capito che io davanti al luogo comune divento come un cane idrofobo davanti alle Cascate del Niagara.
Già che ho menzioniamo i cani, restiamo sulla metafora cinofila.
Immaginiamo quindi che uomini e donne siano come cani e gatti: possono amarsi alla follia, ma spesso non vanno d'accordo. Perché cani e gatti non vanno, notoriamente, d'accordo? Per molti motivi, uno dei quali è il fatto che “parlano” (in senso metaforico, beninteso) due lingue diverse. Il cane abbaia e il gatto miagola? No, non questo, spiritosoni.
Parlavo di linguaggio del corpo, che per cani e gatti è assai più importante di quello fonetico. Semplificando all'osso, e facendo un esempio: quando un cane agita la coda tendenzialmente esprime uno stato d'animo positivo. Gioia, allegria, eccetera. Quando un gatto agita la coda tendenzialmente esprime uno stato d'animo negativo. Irritazione, nervosismo, eccetera.
È come se il cane dicesse al gatto: “Ehi, amico, vuoi giocare con me?”, ma alle orecchie (metaforiche) del gatto giunge il messaggio: “Brutto bastardo, ti faccio a fette!”, e dunque reagisce con un paio di sberle. O scappa. E via di fraintendimento in fraintendimento.
Riportiamo questo paragone su uomini e donne (noooo! Non ci sono i tronisti! Come devo dirtelo???) con un esempio classico:
Lui dice “no” e intende dire “no”.
Lei dice “no” e intende dire “sì”. Oppure “forse”. Oppure anche “no”, perché tutto può essere.
O ancora, alla domanda “Che hai?”, se lui risponde “Niente” forse intende dire davvero “Niente”. Se lei risponde “Niente” forse intende dire davvero “Niente”, ma più probabilmente vorrà dire altro, da “Tutto” a “Brutta carogna, tutta colpa tua se sto da schifo”, da “Ti amo alla follia, tu no?” a “Non ti sopporto più, mi hai rovinato la vita.”
Come vediamo, si tratta di un problema di linguaggio.
Ma io sono convinta che si tratti solo di una questione dovuta all'educazione, non alla natura.
Perché uomini e donne, da piccoli, vengono educati in maniera diversa, certe volte perfino inconsapevolmente. Spesso genitori, nonni, baby sitter, insegnanti (e così via, ci siamo capiti) si aspettano cose diverse da maschi e femmine e si comportano di conseguenza. Senza neppure accorgersene, ma in base a stereotipi che hanno appreso a loro volta da piccoli e che ormai gli si sono installati nel cervello come un virus informatico.
Mettiamo il caso di due bambini coetanei che vengono cresciuti ed educati dalle stesse persone. Li chiameremo Ciccetto e Ciccetta (nomi di fantasia).
A Ciccetto si insegna che i maschietti non devono frignare (=non devono manifestare le proprie emozioni) ma che quando vogliono una cosa la devono chiedere e pretendere apertamente. C'è una torta. Ciccetto ne vuole una fetta e dice “Voglio la torta!”. Ciccetto ottiene la sua torta e pensa “Ehi, ma funziona!” perciò, visto il successo, proseguirà su questa linea anche da grande, perlomeno finché il trucco riesce. Poi forse verrà il giorno in cui il gioco non funziona più e Ciccetto andrà in analisi, ma questo è un altro discorso.
A Ciccetta invece insegnano che le femminucce devono essere educate, gentili e dolci. Chiedere non sta bene, bisogna aspettare che siano i grandi a darti retta. C'è sempre 'sta torta e Ciccetta ne vuole un po'. Ma le hanno detto che chiederla (magari è la seconda fetta) non sta bene, per cui aspetta che qualcuno gliela offra. Nessuno gliela offre. Ciccetta cerca di ipnotizzare la mamma/i nonni/la baby sitter/la torta stessa... niente ancora. Qualcuno nota infine il rivolo di bava di Ciccetta e i suoi occhi fissi sulla torta (si stava muovendo? Un po'? L'ipnosi è riuscita?) e le chiede: “Ciccetta, vuoi la torta?”. Ciccetta pensa “Oh, no! Mi hanno scoperta!” e si affretta a rispondere “Nooo!” quando in cuor suo vorrebbe dire “Ma certo che voglio la torta! Non vedi come sbavo?” Ed ecco il suo primo caso in cui dice “No” quando intende dire “Sì”. Chiedere non sta bene e pretendere neanche. Ma ha sempre la segreta speranza che il suo interlocutore capisca che lei vuole la torta anche se ha detto di no e gliela conceda. Questo potrebbe succedere, ma anche no. La cosa si trascinerà a lungo, in una sequenza sconcertante di “No” che vogliono dire “Sì”, o “Forse” o “Però...”. Certe volte perfino Ciccetta potrebbe chiedersi perché ha detto “No” quando in realtà voleva dire “Sì”. Ma è più forte di lei, l'abitudine le si è installata nel cervello come un programma fastidioso, e non c'è neppure l'antivirus per debellarlo. Ciccetta in cuor suo è convinta che solo chi la conosce bene e la ama davvero può comprendere il vero significato del suo “No”, e ci resta male se questo non avviene. Quindi va in analisi.
A pensarci bene, in questa storia gli analisti sono quelli che ci guadagnano di più...

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