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Il Nano Giallo
C'era una volta una regina che era stata madre di moltissimi bambini, e di tutti questi le era rimasta soltanto una figlia. Ma lei ne valeva almeno altri mille.
La madre, che dalla morte del re suo padre non aveva avuto al mondo nessun altro che amasse quanto questa piccola Principessa, aveva tanta paura di perderla che la viziava, e non cercava mai di correggere alcuno dei suoi difetti. Come conseguenza quella personcina, che era più graziosa che mai e che era destinata a portare un giorno la corona, divenne così orgogliosa e così innamorata della propria bellezza, che disprezzava chiunque altro al mondo.
La regina sua madre, con le sue carezze e le sue lusinghe, la incoraggiava a credere che non esisteva nulla di abbastanza buono per lei. Indossava quasi sempre graziosissimi vestiti, come quelli di una fata, o come quelli di una regina quando va a caccia, e le dame di corte la seguivano vestite da fate dei boschi.
E per renderla più vanitosa che mai, la Regina le fece fare il ritratto dai pittori più bravi, e poi lo inviò a diversi re vicini con cui era in amicizia.
Quando questi videro il ritratto s'innamorarono della Principessa... ciascuno di loro s'innamorò, ma ognuno di loro subì effetti diversi. Uno si ammalò, uno impazzì e pochi tra i più fortunati decisero di incontrarla il prima possibile, ma quei poveri principi divennero suoi schiavi non appena posarono gli occhi su di lei.
Non s'era mai vista una corte più allegra. Venti graziosi re facevano di tutto pur di rendersi graditi, e dopo aver speso moltissimi soldi per organizzare un solo svago si consideravano molto fortunati se la Principessa diceva “Carino”.
Tutta quest'ammirazione compiaceva moltissimo la Regina. Non passava un giorno senza che la Principessa ricevesse sette od ottomila sonetti e altrettante elegie, madrigali e canzoni, che le venivano inviate da poeti di tutto il mondo. Tutta la prosa e la poesia scritta in quel periodo parlava di Bellissima (era questo il nome della Principessa), e tutti i falò furono fatti con quei versi, che scoppiettavano e scintillavano meglio di qualunque tipo di legna.
Bellissima aveva già quindici anni e tutti i principi desideravano sposarla, ma nessuno osava dirlo. E come potevano quando sapevano quando sapevano che ciascuno di loro si sarebbe volentieri tagliato la testa cinque o sei volte al giorno solo per compiacerla, e lei l'avrebbe considerata un'inezia tanto poco le importava di loro? Potete ben immaginare che i suoi innamorati la considerassero dura di cuore. E la regina, che voleva vederla sposata, non sapeva come fare per convincerla a prendere la cosa sul serio.
“Bellissima”, le disse, “vorrei che tu non fossi così orgogliosa. Perché disprezzi tutti quei bravi re? Io vorrei che tu sposassi uno di loro, e tu non fai nulla per accontentarmi.”
“Io sono tanto felice”, rispose Bellissima, “Lasciami in pace, mamma. Io non voglio voler bene a nessuno.”
“Ma tu saresti molto felice con uno di quei principi”, disse la Regina, “e io mi arrabbierei molto se tu ti innamorassi di uno che non è alla tua altezza.”
Ma la Principessa pensava solo a se stessa e non riusciva a considerare nessuno dei suoi innamorati abbastanza in gamba o bello per lei; e sua mamma, che si stava arrabbiando davvero tanto per la sua decisione di non volersi sposare, cominciò a pentirsi di averla sempre lasciata fare a modo suo.
Infine, non sapendo più che fare, decise di consultare una certa strega che tutti chiamavano “La Fata del Deserto”. Questo era molto difficile da fare, perché lei era protetta da terribili leoni; ma per fortuna la Regina tanto tempo prima aveva saputo che chi voleva superare indenne quei leoni doveva gettare loro una torta fatta di farina di miglio, zucchero candito e uova di coccodrillo. Preparò quel dolce con le sue mani, lo mise in un cestino e andò a cercare la Fata. Ma poiché non era abituata a camminare a lungo, ben presto si sentì stanca e si sedette a riposare ai piedi di un albero, e subito si addormentò profondamente. Quando si svegliò fu sbigottita nel constatare che il suo cestino era vuoto. La torta era sparita! E a peggiorare le cose in quell'istante sentì il ruggito dei grossi leoni, che avevano scoperto che era vicina e stavano venendo a cercarla.
“Che posso fare?”, gridò, “Mi mangeranno”, e, troppo spaventata per muovere un solo passo, cominciò a piangere poggiandosi all'albero sotto il quale aveva dormito.
Proprio in quel momento sentì qualcuno dire: “Hmmm! Hmmm!”
Si guardò attorno, poi guardò sull'albero e proprio lì vide un minuscolo ometto che mangiava arance.
“Oh, regina”, disse lui, “Ti conosco bene, e so quanta paura hai dei leoni. E hai pure ragione, perché loro hanno già mangiato un mucchio di gente. E che altro puoi aspettarti, dal momento che non hai una torta da offrir loro?”
“Devo rassegnarmi a morire”, disse la povera Regina, “Ahimè! Non m'importerebbe tanto, se solo la mia cara figliola fosse sposata.”
“Oh, hai una figliola?”, esclamò il Nano Giallo (che si chiamava così perché era un nano, aveva la faccia gialla e viveva su un albero di arance), “Sono molto felice di sentirlo, perché sto cercando una moglie per tutto il mondo. Ora, se tu mi prometti che lei mi sposerà, né leoni, né tigri, né orsi potranno toccarti.”
La Regina lo guardò, e la sua brutta faccia le fece paura quasi quanto i leoni di prima, perciò non riuscì a spiccicare una sola parola.
“Cosa, madame? Esitate?”, esclamò il Nano, “Deve piacervi molto farvi mangiare viva.”
Mentre lui così parlava, la Regina vide i leoni, che stavano correndo giù da una collina verso di lei.
Ciascuno di loro aveva due teste, otto zampe e quattro fila di denti, la loro pelle era dura come la corazza di una tartaruga, ed era d'un rosso intenso.
A quell'orribile visione la povera Regina, che tremava come una colomba quando vede il falco, strillò con quanto fiato aveva: “D'accordo, signor Nano. Bellissima vi sposerà!”
“Ma davvero?”, “disse lui sdegnoso, “Bellissima è graziosa, ma non ho un particolare desiderio di sposarla... potete tenervela.”
“Oh, nobile signore”, disse la Regina con grande angoscia, “Non rifiutatela. È la Principessa più affascinante del mondo.”
“Ah, be'”, rispose lui, “Per pietà la prenderò. Ma state attenta, e non dimenticate che lei è mia.”
Mentre così diceva si aprì una porticina nel tronco dell'arancio, la Regina corse dentro appena in tempo, e la porta si chiuse con un tonfo sui musi dei leoni.
All'inizio la Regina era così confusa che non notò un'altra porticina nell'arancio, ma immediatamente quella si aprì e lei si ritrovò in un campo di cardi e ortiche. Questo era circondato da un fossato fangoso e poco più avanti c'era una piccola capanna di canne, dalla quale il Nano Giallo uscì con aria molto allegra. Portava scarpe di legno e un cappottino giallo, e dal momento che non aveva i capelli ma in compenso aveva lunghissime orecchie, sembrava veramente un cosino spaventoso.
“Sono contento”, disse alla Regina, “che voi, in quanto mia suocera, vediate la casa in cui Bellissima verrà a vivere con me. Con questi cardi e queste ortiche potrà dar da mangiare all'asino che lei potrà cavalcare tutte le volte che vorrà; sotto quest'umile tetto il maltempo non potrà farle male; berrà l'acqua di questo ruscello e mangerà rane, che qui sono molto grasse; e poi avrà sempre me con lei: bello, simpatico e allegro come mi vedete adesso. Perché mi meraviglierebbe se la sua ombra potrà starle più vicino di quanto non farò io.”
L'infelice Regina, vedendo all'improvviso che vita disgraziata sua figlia avrebbe avuto con quel Nano, svenne senza dire una parola.
Quando tornò in sé si ritrovò, con sua grande sorpresa, distesa nel proprio letto a casa e, come se non bastasse, portava il più delizioso berretto da notte di pizzo che avesse mai visto in vita sua. All'inizio pensò che tutte le sue avventure (i terribili leoni e la sua promessa al Nano Giallo di fargli sposare Bellissima) fossero state un sogno, ma c'era quel nuovo berretto con quel bel nastro e il pizzo a ricordarle che era tutto vero, e questo la rese così infelice che a furia di pensarci non riuscì a mangiare, a bere o a dormire.
La Principessa, che nonostante la cocciutaggine voleva davvero bene a sua madre, fu molto addolorata nel vederla tanto triste e spesso le chiedeva quale fosse il problema. Ma la Regina, che non voleva farle scoprire la verità, diceva solo che era malata, o che uno dei suoi vicini minacciava di farle guerra. Bellissima capiva che le stava nascondendo qualcosa, e che nessuno di quelli era il motivo del disagio della Regina. Perciò decise di andare a consultare la Fata del Deserto in proposito, soprattutto perché aveva sentito spesso parlare di quanto fosse saggia, e pensava che allo stesso tempo avrebbe potuto chiederle se fosse meglio sposarsi o no.
Perciò, con grande premura, preparò un po' dei dolci giusti per ingraziarsi i leoni, e una sera salì in camera sua molto presto, fingendo di andarsene a letto; invece si avvolse in un lungo velo bianco, scese per una scala segreta e partì da sola a cercare la strega.
Ma quando arrivò a quel funesto albero d'arance e lo vide coperto di fiori e di frutti si fermò e cominciò a raccogliere un po' di arance. Poi mise in terra il cestino e cominciò a mangiarle. Ma quando fu ora di riprendere il cammino il cestino era scomparso e anche se lo cercò dappertutto non riuscì a ritrovarlo. Più lo cercava, più si spaventava, e infine cominciò a piangere.
Poi, all'improvviso, si vide davanti il Nano Giallo.
“Che problema c'è, tesoruccio?”, le disse lui, “Perché piangi.”
“Ahimè!”, rispose lei, “Certo che piango, visto che ho perso il cestino con le torte che dovevano aiutarmi a raggiungere senza pericoli la caverna della Fata del Deserto.”
“E che cosa vuoi da lei, tesoruccio?”, disse il mostriciattolo, “Io sono un suo amico, e in virtù di questo sono piuttosto in gamba anch'io.”
“La Regina, mia madre”, rispose la Principessa, “da un po' di tempo è talmente tanto triste che temo ne morrà. E temo che forse ne sono io la causa, perché lei desidera tanto che io mi sposi, e io devo confessarvi che in verità non ho ancora trovato nessuno che mi sembri degno di diventare mio marito. Per tutti questi motivi voglio parlare con la Fata.”
“Non darti altri pensieri, Principessa”, rispose il Nano, “Io posso dirti quel che vuoi sapere molto meglio di lei. La Regina, tua madre, ti ha promessa in sposa...”
“Mi ha promessa?”, lo interruppe la Principessa, “Oh, no, sono certa di no. Se l'avesse fatto me l'avrebbe detto. Sono troppo coinvolta nella faccenda perché lei possa fare una cosa del genere senza chiedere il mio consenso. Dovete esservi sbagliato.”
“Bella Principessa”, esclamò all'improvviso il Nano gettandosi in ginocchio davanti a lei, “Sono certo che non sarai troppo dispiaciuta per la sua scelta di tua madre, quando ti dirò che è a me che ha promesso la gioia di sposarti.”
“Voi?”, strillò la Principessa sobbalzando, “Mia madre vuole che io sposi voi? Come potete essere tanto sciocco da pensare una cosa del genere?”
“Oh, non che m'importi poi tanto avere quest'onore”, strillò arrabbiato il Nano, “Ma ecco che arrivano i leoni. Ti mangeranno in tre bocconi, così la faremo finita col tuo orgoglio.”
E infatti in quell'istante la povera Principessa sentì quei tremendi ruggiti che si avvicinavano sempre più.
“Che faccio?”, gridò, “I miei giorni felici devono dunque finire così?”
Il Nano maligno la guardò e cominciò a ridere sprezzante. “Perlomeno”, le disse, “hai la consolazione di morire nubile. Una bella Principessa come te di sicuro preferisce morire piuttosto che sposare un povero, piccolo nano come me.”
“Oh, non siate arrabbiato con me”, strillò la Principessa giungendo le mani, “Preferisco sposare tutti i nani del mondo che morire in questo modo orribile.”
“Prima di darmi la tua parola, Principessa, guardami bene”, disse lui, “Non voglio che tu mi faccia promesse affrettate.”
“Oh!”, gridò lei, “I leoni arrivano! Vi ho guardato a sufficienza. Salvatemi subito, o morirò per il terrore.”
Infatti così dicendo svenne, e quando tornò in sé si ritrovò nel suo lettino a casa; come c'era arrivata, questo non lo sapeva, ma indossava splendidi pizzi e nastri, e al suo dito c'era un anellino fatto con un unico capello rosso, che le stava così stretto che per quanto provasse non riuscì a sfilarlo.
Quando la Principessa vide tutte queste cose e ricordò cos'era accaduto, anche lei cadde in uno stato di profonda tristezza che sorprese e allarmò tutta la corte, la Regina più di chiunque altro. Cento volte chiese a Bellissima che avesse, ma lei rispondeva sempre che non era nulla.
Alla fine i ministri del regno, ansiosi di vedere la loro Principessa sposata, andarono dalla Regina a chiederle di sceglierle un marito al più presto. Lei rispose che nulla l'avrebbe resa più lieta, ma che sua figlia sembrava tanto restia a sposarsi, perciò consigliò loro di andare a parlarne essi stessi con la Principessa, cosa che loro fecero immediatamente. Da quando aveva vissuto l'avventura col Nano Giallo, Bellissima era molto meno orgogliosa e pensava che il modo migliore per sbarazzarsi di quell'orribile mostriciattolo fosse sposare un potente re, perciò accolse la loro richiesta molto più favorevolmente di quanto essi stessi avessero sperato. Disse che anche se era già molto felice nella sua attuale condizione, pure, per accontentarli, avrebbe acconsentito a sposare il Re delle Miniere d'Oro. Questo era un Principe molto bello e potente che era innamorato da anni della Principessa, ma non pensava che a lei importasse qualcosa di lui. Potete immaginarvi quanto fu contento quando seppe la notizia, e quanto si arrabbiarono tutti gli altri re di perdere per sempre la speranza di poter sposare la Principessa. Ma in fin dei conti Bellissima non poteva sposare venti re. Anzi, per lei era stato già decisamente difficile sceglierne uno, perché la sua vanità le faceva credere che al mondo non ci fosse nessuno degno di lei.
Subito cominciarono i preparativi per le nozze più magnifiche che mai si fossero celebrate a palazzo. Il re delle Miniere d'Oro inviò immense somme di denaro, tanto che tutto il mare era ricoperto delle navi che lo trasportavano. Vennero mandati messi a tutte le Corti più allegre e raffinate, specialmente alla Corte di Francia, per cercare qualunque cosa fosse rara e preziosa per adornare la Principessa, anche se la sua bellezza era tanto perfetta che nulla di quello che indossava poteva renderla più carina. Perlomeno, questo era quel che il Re delle Miniere d'Oro pensava: lui era felice solo quando stava con lei.
E la Principessa più spesso vedeva il Re, più questo le piaceva: era così generoso, così bello e così bravo che alla fine lei quasi s'innamorò di lui quanto lui lo era di lei. Com'erano felici quando passeggiavano insieme per quel bel giardino, e ogni tanto ascoltavano della dolce musica. E il re scriveva canzoni per Bellissima. Questa è una che a lei piaceva molto:
Nella foresta tutto è allegro
Quando la mia Principessa cammina così.
Allora tutti i boccioli si vedono
Inchinarsi fino a terra
E sperano che lei li calpesti.
E fiori vivaci su snelli steli
La guardano passare
Sfiorando leggera l'erba.
Oh, mia Principessa, gli uccelli in alto
Fanno eco ai nostri canti d'amore
Mentre questa terra incantata
Felici percorriamo, mano nella mano.
Erano davvero felici tutto il giorno. Tutti i rivali sconfitti del re erano tornati a casa disperati. Dissero addio alla Principessa con tanta tristezza che fu impossibile non dispiacersi per loro.
“Ah, signora”, le disse il Re delle Miniere d'Oro, “Che c'è? Perché sprecate la vostra pietà con loro, che vi amano così tanto che tutti i loro guai sarebbero ben ripagati da un solo vostro sorriso?”
“Mi sarebbe dispiaciuto”, rispose Bellissima, “se voi non aveste notato quanto compativo quei principi che mi lasciavano per sempre. Ma per voi, sire, è molto diverso: voi avete ogni motivo per essere contento di me, ma loro se ne stanno andando tristemente, perciò non dovete lamentarvi se li compatisco.”
Il Re delle Miniere d'Oro fu assai colpito dai modi gentili con cui la Principessa aveva preso la sua ingerenza. Le si gettò ai piedi, le baciò le mani mille volte e le chiese di perdonarlo.
Finalmente giunse il lieto giorno. Tutto era pronto per le nozze di Bellissima. Le trombe suonavano, tutte le vie della città erano imbandierate e cosparse di fiori, e la gente correva a frotte verso la grande piazza davanti al palazzo. La Regina era così piena di gioia che non aveva quasi chiuso occhio, si alzò prima che spuntasse il sole per impartire gli ordini necessari a scegliere i gioielli che la principessa avrebbe indossato. Questi erano nientemeno che diamanti; li avrebbe portati perfino sulle scarpe, che ne erano coperte, e il suo abito di broccato d'argento era intessuto con una dozzina di raggi di sole. Immaginatevi quanto potesse costare. Non c'era nulla di più splendente, a parte la bellezza della Principessa. In testa portava una splendida corona e i suoi splendidi capelli scendevano in onde quasi fino ai piedi, la sua figura maestosa spiccava tra tutte le dame che la servivano.
Il re delle Miniere d'Oro non era meno nobile e splendido; bastava guardarlo in volto per vedere quanto fosse felice e tutti quelli che lo avvicinavano tornavano carichi di doni, perché attorno alla grande sala del banchetto erano stati disposti mille barili pieni d'oro e innumerevoli borse di velluto trapunte di perle e piene di denaro, ognuna conteneva come minimo mille pezzi d'oro, e venivano donate a chiunque volesse tendere semplicemente la mano, cosa che molti si affrettarono a fare, potete starne certi... anzi, secondo alcuni questa era la parte più divertente di tutte le feste nuziali.
La Regina e la Principessa erano pronte a uscire col Re quando videro avanzare verso di loro, dal fondo della lunga galleria, due grandi basilischi che si trascinavano dietro una cassa veramente brutta; dietro di loro c'era una vecchia la cui bruttezza era ancor più sorprendente dell'età. Indossava una gorgiera di taffetà nero, un cappuccio di velluto rosso e un guardinfante tutto a brandelli. Si poggiava pesantemente a una gruccia. Quella strana vecchia, senza dire una sola parola, zoppicò per tre volte attorno alla galleria, seguita dai basilischi, poi si fermò al centro e, brandendo minacciosamente la gruccia, gridò:
“Oh, oh, Regina! Oh, oh, Principessa! Credete di poter infrangere impunemente la promessa che avete fatto al mio amico, il Nano Giallo? Io sono la Fata del Deserto. Senza il Nano Giallo e il suo albero di aranci i miei grossi leoni vi avrebbero già divorato, ve l'assicuro, e nel Paese delle Fate non tolleriamo che ci insultino così. Decidete subito cosa fare, perché faccio voto che sposerete il Nano Giallo. Se non lo fate, che mi si possa bruciare la gruccia!”
“Ah, Principessa!”, pianse la Regina, “Che mi tocca sentire? Cos'hai promesso?”
“Ah, madre mia”, rispose triste Bellissima, “Che cos'hai promesso tu?”
Il Re delle Miniere d'Oro, indignato perché quella perfida vecchia lo allontanava dalla felicità, raggiunse la donna e minacciandola con la spada le disse:
“Allontanatevi dalle mie terre subito e per sempre, miserabile creatura, altrimenti vi ammazzo e mi libero della vostra cattiveria.”
Aveva appena pronunciato quelle parole quando il coperchio della cassa ricadde sul pavimento con un tremendo rumore, e per l'orrore di tutti gli astanti da lì balzò fuori il Nano Giallo in groppa a un grosso gatto spagnolo. “Giovane incauto!”, gridò correndo tra la Fata del Deserto e il Re, “Come osi posare le dite su questa celebre Fata? Il tuo diverbio è solo con me. Io ti sono nemico e rivale. L'infedele Principessa che voleva sposarti è promessa a me. Vedi se non porta al dito un anello fatto con uno dei miei capelli. Prova a levarglielo, e vedrai subito che sono molto più potente di te!”
“Maledetto mostriciattolo!”, disse il Re, “Come osi definirti fidanzato della Principessa e avanzare pretese su tale tesoro? Lo sai che sei un nano? Che sei tanto brutto che non ti si può guardare? Che ti avrei già ammazzato da tempo se tu fossi stato degno di una morte tanto gloriosa?”
Il Nano Giallo, profondamente infuriato per tali parole, spronò il gatto, che strillò orribilmente e saltò qua e là, terrorizzando tutti eccetto il coraggioso Re, che rincorse il Nano finché quello, estraendo un lungo coltello di cui era armato, sfidò il Re a singolar tenzone e corse nel cortile del palazzo con terribili clangori. Il Re, decisamente irritato, lo seguì precipitosamente, ma avevano appena preso posto l'uno di fronte all'altro, e l'intera Corte aveva appena avuto tempo di correre sui balconi per vedere cosa stava capitando, quando improvvisamente il sole divenne rosso come sangue, e fu così buio che la gente non vedeva quasi più nulla. I tuoni si schiantarono e i lampi sembrarono voler bruciare tutto; comparvero i due basilischi di fianco al Nano, erano come giganti, alti come montagne, dalle bocche e dalle orecchie fuoriuscivano fiamme, finché somigliarono a due fornaci infuocate. Nulla di tutto ciò riuscì a spaventare il giovane, nobile Re, e l'audacia del suo sguardo e delle sue azioni rassicurò gli spettatori, forse avrebbe messo in imbarazzo lo stesso Nano Giallo. Ma anche il suo coraggio venne meno quando vide cosa stava capitando alla sua amata Principessa. Perché la Fata del Deserto, più spaventosa che mai, era montata in groppa a un grifone alato e, con lunghi serpenti avvolti al collo, aveva sferrato un tale colpo con la lancia che portava che Bellissima era crollata tre le braccia della Regina, sanguinante e priva di sensi. La sua amorevole madre, soffrendo per quel colpo quanto la Principessa stessa, proruppe in grida e lamenti laceranti e il Re, nel sentirla, perse completamente coraggio e presenza di spirito. Abbandonò il duello e corse verso la Principessa, per salvarla o morire con lei. Ma il Nano Giallo era troppo svelto per lui. Col suo gatto spagnolo balzò sul balcone, strappò Bellissima dalle braccia della madre e prima che le dame di corte potessero fermarlo saltò sul tetto del palazzo e scomparve col suo trofeo.
Il Re, immobile per l'orrore, seguì disperato quel fatto terrificante, che non ebbe il potere d'impedire, e a peggiorare le cose la sua vista venne meno, tutto si fece buio e lui si sentì sollevare in aria da una mano forte.
Questa nuova sventura era opera della perfida Fata del Deserto, che era arrivata col Nano Giallo per aiutarlo a rapire la Principessa e si era innamorata del giovane e bello Re delle Miniere d'Oro non appena l'aveva visto. Pensava che se l'avesse portato in qualche caverna spaventosa e l'avesse incatenato a un masso, allora la paura di morire gli avrebbe fatto dimenticare Bellissima e l'avrebbe reso suo schiavo. Perciò non appena raggiunsero il posto lei gli rese la vista, ma senza liberarlo dalle catene, e grazie ai suoi poteri magici gli comparve davanti con le sembianze di una fata giovane e bella e finse di essere capitata lì per caso.
“Che vedo?”, esclamò, “Siete voi, caro Principe? Quale sventura vi ha portato in questo luogo desolato?”
Il Re, tratto in inganno dal suo aspetto alterato, rispose:
“Ahimè, bella Fata, la fata che mi ha portato qui mi aveva tolto la vista, ma io ho capito dalla voce che era la Fata del Deserto, anche se non so proprio dirvi perché mi abbia portato qui.”
“Ah!”, esclamò la finta Fata, “Se siete caduto nelle sue mani non potrete liberarvi finché non la sposerete. Ha già rapito molti Principi a questo modo. Lei si prende tutto ciò che vuole.”
Mentre lei così fingeva dispiacere per il Re, lui improvvisamente notò i suoi piedi, che erano simili a quelli di un grifone, e si accorse subito che doveva essere la Fata del Deserto, perché i piedi erano l'unica cosa che non poteva cambiare, per quanto rendesse bello il suo volto.
Lui fece finta di non aver notato nulla e le disse, fiducioso:
“Non che non mi piaccia la Fata del Deserto, ma non sopporto davvero il modo in cui protegge il Nano Giallo e mi tiene incatenato qui come un criminale. È vero che amo una bella principessa, ma se la Fata mi liberasse il mio senso di gratitudine mi costringerebbe ad amare soltanto lei.”
“Intendete davvero quel che avete detto, Principe?”, disse la Fata, tratta in inganno.
“Certo”, replicò il Principe, “Come potrei imbrogliarvi? È molto più lusinghiero per la mia vanità essere amato da una fata che da una principessa qualunque. Ma anche se muoio d'amore per lei, fingerò di odiarla se prima non mi libera.”
La Fata del Deserto, affascinata da quelle parole, decise di trasportare subito il Principe in un posto più bello. Perciò lo fece salire sulla sua carrozza, alla quale aveva attaccato cigni invece dei pipistrelli che la trainavano abitualmente, volò via con lui. Ma immaginatevi l'angoscia del Principe quando, dalla vertiginosa altezza alla quale correvano, vide la sua amata Principessa in un castello fatto di lustro acciaio, le cui pareti riflettevano i raggi del solo con tanto calore che nessuno poteva avvicinarsi senza essere ridotto in cenere. Bellissima sedeva in un boschetto, accanto a un ruscello, poggiava la testa su una mano e piangeva lacrime amare, ma mentre loro passavano lei guardò in alto e vide il Re con la Fata del Deserto. La Fata era così brava che riusciva a sembrare bella non soltanto al Re, ma anche la povera Principessa pensò che fosse la creatura più bella che avesse mai visto.
“Oh, no!”, esclamò, “Non ero già abbastanza infelice in questo castello solitario in cui mi ha portato quello spaventoso Nano Giallo? Devo anche venire a sapere che il Re delle Miniere d'Oro ha smesso di amarmi non appena mi ha perso di vista? Ma chi può essere la mia rivale, la cui funesta bellezza è tanto superiore alla mia?”
Mentre lei così diceva il Re, che in realtà l'amava più che mai, era terribilmente triste per essere stato strappato tanto rapidamente dalla sua amata Principessa, ma sapeva fin troppo bene quanto fosse potente la Fata per sperare di poter scappare da lei se non usando grande pazienza ed molta scaltrezza.
Anche la Fata del Deserto aveva visto Bellissima, e cercò di leggere negli occhi del Re l'affetto che aveva avuto su di lui quella visione inattesa.
“Nessuno può dirvi meglio di me quel che desiderate sapere”, disse lui, “Questo incontro occasionale con la sventurata principessa, per la quale ho avuto un'attrazione passeggera prima di avere la fortuna di incontrare voi, mi ha toccato un po', lo ammetto. Ma voi per me siete molto più importante di lei, preferisco morire che lasciarvi.”
“Ah, Principe”, disse lei, “Posso credere che mi amiate veramente così tanto?”
“Il tempo lo dimostrerà, signora”, rispose il Re, “Ma se volete convincermi che voi avete davvero qualche riguardo per me, vi prego di non rifiutarvi di aiutare Bellissima.”
“Lo sapete cosa mi state chiedendo?”, disse la Fata del Deserto accigliandosi e guardandolo con sospetto, “Volete che impieghi le mie arti contro il Nano Giallo, che è il mio miglior amico, e gli porti via l'orgogliosa principessa che io posso solo considerare una rivale?”
Il Re sospirò ma non rispose. Cosa poteva dire a una persona così perspicace? Infine raggiunsero un vasto prato allegro di fiori d'ogni tipo; lo circondava un fiume profondo, e molti ruscelletti mormoravano dolcemente all'ombra degli alberi, dov'era sempre fresco. Un po' più in là c'era uno splendido palazzo, le cui mura erano di smeraldi trasparenti. Non appena i cigni che trainavano la carrozza atterrarono sotto un portico, che aveva il pavimento lastricato di diamanti e le arcate di rubini, vennero accolti da migliaia di bellissime creature che sbucavano da ogni parte e gli vennero incontro allegre cantando queste parole:
“Quando Amore nel cuore regna
È inutile lottarvi contro.
L'orgoglioso non proverà che una pena più grande
E la sua vittoria sarà maggiore.”
La Fata del Deserto fu felice di sentir cantare del suo trionfo. Condusse il Re nella stanza più bella si potesse immaginare e lo lasciò da solo per un po', quel tanto che gli permettesse di non sentirsi prigioniero. Ma lui era sicuro che lei non se ne fosse andata davvero, ma che lo stesse spiando da qualche nascondiglio. Perciò raggiunse un grande specchio e gli disse: “Fidato consigliere, fammi vedere cosa posso fare per rendermi più attraente per l'affascinante Fata del Deserto; perché io non voglio pensare ad altro che a farle piacere.”
E immediatamente si mise ad arricciarsi i capelli poi, vedendo sul tavolo un mantello più grande del suo, lo indossò con molta cura. Quando tornò, la Fata era così contenta che non riusciva a nascondere la propria gioia.
“Sono consapevole della pena che ti sei dato per farmi piacere”, disse, “e debbo dirti che ci sei riuscito perfettamente. Vedi che non è una cosa difficile da fare, se mi ami veramente.”
Il Re, che aveva i suoi buoni motivi per mantenere la Fata di buon umore, non si risparmiò nel fare discorsi graziosi, e dopo un certo tempo gli fu permesso di passeggiare da solo sulla spiaggia. Con un incantesimo, la Fata del Deserto aveva provocato una terribile tempesta che neppure il marinaio più impavido avrebbe osato affrontare, perciò non temeva che il suo prigioniero potesse fuggire; e lui trovò un certo sollievo nel poter riflettere tristemente sulla sua terribile situazione senza essere interrotto dalla sua crudele aguzzina.
Poco dopo, dopo aver camminato su e giù come un pazzo, scrisse sulla sabbia questi versi col suo bastone da passeggio:
“Finalmente posso su questa spiaggia
Alleviare il mio dolore con le lacrime.
Ahimè! Ahimè! Non vedo più
Il mio amore, che pure il mio dolore suscita.
E tu, o mare furente e tempestoso,
Agitato da venti rabbiosi dal profondo alla superficie,
Tu tieni il mio amore lontano da me,
E io sono prigioniero della tua potenza.
Il mio cuore è più furente del tuo,
Poiché il Fato è crudele con me.
Perché in esilio mi tocca struggermi?
Perché la mia Principessa mi è stata portata via?
Oh, graziose Ninfe, dalle caverne oceaniche,
Che sapete quanto dolce può essere il vero amore,
Salite a calmare queste onde furiose
E liberate un povero innamorato!”
Mentre ancora scriveva, sentì una voce che attirò suo malgrado la sua attenzione. Vide che le onde si facevano sempre più alte, si guardò attorno e vide una splendida donna che gli si avvicinava galleggiando dolcemente sulla cresta di un'onda enorme, i lunghi capelli che le sventolavano attorno. In una mano reggeva uno specchio, nell'altra un pettine e al posto dei piedi aveva una bella coda da pesce, con la quale nuotava.
Il Re ammutolì per lo stupore a quella visione inattesa; ma non appena fu giunta a portata d'orecchio, lei gli disse: “So quanto sei triste perché hai perso la tua Principessa e perché sei prigioniero della Fata del Deserto; se vuoi posso aiutarti a fuggire da questo luogo funesto, dove non potrai far altro che trascinare una misera esistenza per trent'anni o più.”
Il Re delle Miniere d'Oro non sapeva quasi che risposta dare a questa proposta. Non perché nn desiderasse moltissimo fuggire, ma perché temeva che questo potesse essere solo un altro trucco della Fata del Deserto che tentava d'ingannarlo. Poiché esitava la Sirena, indovinando i suoi pensieri, gli disse:
“Puoi fidarti di me. Non sto cercando di farti cadere in trappola. Sono così arrabbiata col Nano Giallo e con la Fata del Deserto che è impensabile che io cerchi di aiutarli, soprattutto dal momento che vedo sempre la tua povera Principessa, e la sua bellezza e la sua bontà me la fanno compatire tanto. Se hai fiducia in me io posso aiutarti a scappare.”
“Mi fido di te con tutta l'anima”, gridò il re, “e farò tutto quel che mi dirai di fare. Ma se hai visto la mia Principessa ti prego di dirmi come sta e cosa le sta capitando.”
“Non dobbiamo perdere tempo in chiacchiere”, disse lei, “Vieni con me e ti porterò al Castello d'Acciaio. Lasceremo su questa spiaggia una figura così somigliante a te che perfino la Fata ne verrà tratta in inganno.”
Così dicendo, raccolse in fretta un mucchio di alghe di mare, vi soffiò sopra tre volte e disse:
“Mie amiche alghe, vi ordino di stare qui distese sulla sabbia fin quando la Fata del Deserto non vi porterà via.”
E immediatamente le alghe presero le sembianze del Re, che rimase a guardarle con grande stupore, perché quelle portavano perfino un mantello come il suo, ma giacevano pallide e immobili come avrebbe fatto il Re stesso se una di quelle grosse onde l'avesse travolto abbandonandolo privo di sensi sulla riva. E poi la Sirena afferrò il Re ed entrambi nuotarono allegramente via.
“Ora”, disse lei, “ho tempo di parlarti della Principessa. Nonostante il colpo che la Fata del Deserto le ha inferto, il Nano Giallo l'ha obbligata a montare in groppa al suo terribile gatto spagnolo. Ma lei è subito svenuta per il dolore e la paura, e non s'è più ripresa se non quando era tra le mura di quello spaventoso Castello d'Acciaio. Qui è stata accolta dalle fanciulle più belle che si potessero trovare, che erano state portate lì dal Nano Giallo; loro si sono affrettate a servirla e le hanno mostrato ogni attenzione possibile. L'hanno fatta distendere su un divano rivestito di tessuto d'oro, tempestato di perle grosse come noci.”
“Ah!”, la interruppe il Re delle Miniere d'Oro, “Se Bellissima mi dimentica e acconsente a sposarlo mi si spezzerà il cuore.”
“Non devi temere tanto”, rispose la Sirena, “La Principessa pensa soltanto a te, e quello spaventoso Nano non può convincerla ad amarlo.”
“Per favore, va' avanti con la storia”, disse il Re.
“Che altro ho da dirti?”, rispose la Sirena, “Bellissima sedeva nel bosco quando sei passato e ti ha visto con la Fata del Deserto, che era così abilmente camuffata che la Principessa l'ha creduta più bella di lei. Puoi immaginarti la sua disperazione, perché ha pensato ti fossi innamorato di lei.”
“Crede che io ami la Fata?”, esclamò il Re, “Che disastroso sbaglio! Che si può fare per farle aprire gli occhi?”
“Tu lo sai meglio di chiunque altro”, rispose la Sirena sorridendogli gentile, “Quando le persone si amano, come vi amate voi due, non hanno bisogno di consigli da parte di nessuno.”
Mentre così diceva raggiunsero il Castello d'Acciaio, la parte che dava sul mare era l'unica che il Nano Giallo avesse lasciato non protetta dalle terribili mura ustionanti.
“So per certo”, disse la Sirena, “che la Principessa siede accanto al ruscello, proprio dove l'hai vista quando sei passato, ma visto che potresti trovarti a lottare con dei nemici prima di raggiungerla, prendi questa spada. Con questa potrai affrontare ogni pericolo e superare le più grandi difficoltà, sta' solo attento a una cosa: non lasciartela ma, mai cadere dalle mani. Addio. Ti aspetterò su quella roccia. Se hai bisogno di aiuto nel portar via la Principessa non mancherò di venire in tuo soccorso, poiché la regina sua madre è la mia migliore amica, ed è stato per amor suo che ti ho salvato.”
Così dicendo consegnò al re una spada fatta con un unico diamante, più luminosa del sole. Lui non trovò perole per esprimere la sua gratitudine, ma la pregò di credere che apprezzava di tutto cuore l'importanza di quel dono, e che non avrebbe mai dimenticato il suo aiuto e la sua gentilezza.
E adesso dobbiamo tornare dalla Fata del Deserto. Quando si accorse che il Re non tornava corse fuori a cercarlo e raggiunse la spiaggia, con cento dame della sua scorta cariche di splendidi doni per lui. Alcune portavano ceste colme di diamanti, altre coppe d'oro di meravigliosa fattura, e ambra, corallo e perle, altre, ancora, reggevano in testa involti delle stoffe più ricche e belle, mentre le altre portavano frutti e fiori, perfino uccelli.
Ma quale non fu l'orrore della Fata, seguita da quell'allegra compagnia, quando vide, distesa sulla sabbia, l'immagine del Re che la Sirena aveva fatto con le alghe. Sbalordita e infelice, lanciò un urlo terribile, e si lasciò cadere accanto al finto Re piangendo e ululando, richiamando a sé le sue undici sorelle, che erano fate anche loro e che accorsero in suo aiuto. Ma furono tutte ingannate dall'immagine del Re, perché per quanto scaltre fossero la Sirena era ancor più scaltra, e non poterono far altro che aiutare la Fata del Deserto a costruire un magnifico monumento su quella che pensarono fosse la tomba del Re delle Miniere d'Oro. Ma mentre raccoglievano diaspro e porfido, agata e marmo, oro e bronzo, statue e figure per perpetuare la memoria del Re, lui stava ringraziando la Sirena e le chiedeva di continuare ad aiutarlo, cosa che lei graziosamente promise di fare prima di svanire. E poi lui partì alla volta del Castello d'Acciaio.
Camminava veloce, guardandosi attorno nervosamente, col desiderio di rivedere ancora una volta la sua Bellissima, ma non era andato lontano quando venne circondato da quattro terribili sfingi, che l'avrebbero fatto a pezzi con gli artigli in men che non si dica se non fosse stato per la spada di diamante della Sirena. Non appena lui gliela fece balenare davanti agli occhi loro gli caddero impotenti ai piedi, e lui le uccise con un sol colpo. Ma aveva appena ripreso la sua ricerca che incontrò sei draghi ricoperti di scaglie più dure del ferro. Per quanto quest'incontro fosse spaventoso il coraggio del Re restò inalterato, con l'aiuto della spada meravigliosa li fece a pezzi uno dopo l'altro. Adesso il Re sperava che le difficoltà fossero finite, ma alla curva seguente ne incontrò una che non sapeva come affrontare. Ventiquattro ninfe belle e graziose gli andarono incontro stringendo ghirlande di fiori, con le quali gli sbarrarono la strada.
“Dove vai, Principe?”, gli dissero, “È nostro compito fare la guardia a questo posto, e se ti lasciamo passare ci saranno grandi disgrazie per noi e per te. Ti preghiamo di non insistere a proseguire, vuoi forse uccidere ventiquattro fanciulle che non ti hanno mai fatto nulla di male?”
Il re non sapeva cosa fare o dire. Andava contro le sue idee di cavaliere fare qualcosa che una dama gli chiedeva di non fare; ma mente esitava una voce gli disse all'orecchio:
“Colpisci! Colpisci senza pietà! O la tua Principessa sarà perduta per sempre!”
Perciò, senza rispondere alle ninfe, corse subito avanti, spezzando le ghirlande e sparpagliandole dappertutto. E poi proseguì senza ulteriori esitazioni fino al boschetto dove aveva visto Bellissima. Lei sedeva accanto al ruscello più pallida e affranta che mai, quando la raggiunse, e voleva gettarsi ai suoi piedi, ma lei si ritrasse da lui indignata come se avesse visto il Nano Giallo.
“Ah, Principessa!”, disse lui, “Non siate arrabbiata con me. Lasciatemi spiegare tutto. Non sono stato infedele, né sono da accusare per quanto è capitato. Non sono che un miserabile disgraziato che vi ha procurato un dispiacere senza poter aiutare se stesso.”
“Ah!”, esclamò Bellissima, “Non vi ho forse visto volare assieme alla più bella creatura immaginabile? L'avete forse fatto contro la vostra volontà?”
“In verità sì, Principessa”, rispose lui, “La perfida Fata del Deserto non contenta di incatenarmi a una roccia, mi portò nella sua carrozza all'altro capo della terra, dove ancora adesso sarei prigioniero se non fosse stato per l'inatteso aiuto d'una sirena amica che mi ha condotto qui a salvarvi, mia Principessa, dalle mani indegne che vi trattengono. Non rifiutate l'aiuto del vosto più fedele amante.”
Così dicendo lui le si gettò ai piedi e le si aggrappò alle vesti. Ma ahimè! Nel far così lasciò andare la spada magica e il Nano Giallo. Che stava accovacciato sotto un cespo di lattuga, non appena la vide balzò fuori e l'afferrò, ben conoscendo il suo magnifico potere.
Nel vedere il Nano la Principessa lanciò un grido di terrore, ma questo non fece che irritare quel mostriciattolo. Borbottando certe parole magiche, lui convocò due giganti che legarono il Re con catene di ferro.
“E ora”, disse il Nano, “sono padrone del destino del mio rivale, ma gli renderò la vita e il permesso di andarsene se voi, Principessa, acconsentite a sposarmi.”
“Preferisco morire mille volte”, gridò l'infelice Re.
“Ohimè!, strillò la Principessa, “Dovete morire? Cosa può esserci di più terribile?”
“Se voi sposaste quel piccolo disgraziato sarebbe molto peggio”, rispose il Re.
“Almeno”, continuò lei, “moriamo insieme.”
“Lasciatemi la soddisfazione di morire per voi, mia Principessa”, disse lui.
“Oh, no, no”, pianse lei volgendosi verso il Nano, “Piuttosto che questo farò come voi volete.”
“Crudele Principessa!”, disse il Re, “Volete rendere la mia vita un inferno sposando un altro davanti ai miei occhi?”
“Non andrà così”, rispose il Nano Giallo, “Siete un rivale che temo troppo. Non vedrete le nostre nozze.”
Così dicendo, nonostante i pianti e le lacrime di Bellissima, il Nano colpì al cuore il Re con la spada di diamante.
La povera Principessa, nel vedere che il suo innamorato giaceva morente ai suoi piedi, non poté più vivere senza di lui. Gli crollò accanto e morì di crepacuore.
Così finirono quei due sventurati amanti, che neppure la Sirena poté aiutare perché tutti i poteri magici erano andati perduti con la spada di diamante.
Il perfido nano preferì vedere la Principessa morta, piuttosto che sposa del Re delle Miniere d'Oro. E la Fata del Deserto quando seppe delle avventure del Re, abbatté il grande monumento che aveva costruito, e s'infuriò tanto per il trucco che lui le aveva giocato che lo odiò tanto quanto l'aveva amato prima.
La gentile Sirena, affranta per il triste fato dei due amanti, li mutò in due alte palme, che ora stanno l'una di fianco all'altra e si sussurrano il loro amore, e si carezzano l'un l'altra con i lunghi rami avvinghiati tra loro. (1)
(1) Madame d'Aulnoy
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