lunedì 23 luglio 2012

Non mi piace, proprio no...

Che sono un po' strana me ne sono accorta presto.
Quando ero piccola, per esempio, il fatto che tutti i miei coetanei detestassero mangiare verdura mentre io adoravo la minestra mi dava da pensare.
Mi preoccupava, soprattutto.
Perché io amavo la minestra quando a tutta la mia generazione faceva palesemente schifo?
Ero forse strana? Ero forse anormale?
Questo mi preoccupava a tal punto che quando mi toccava mangiare con i miei coetanei fingevo di disprezzare anch'io la verdura. Fingevo di amare le bibite gassate.
Fingevo di adorare canzoni che in realtà mi facevano sinceramente schifo.
Guardavo e riguardavo film che trovavo orrendi e leggevo libri che mi destavano ripugnanza.
Fingevo di essere come tutti gli altri, perché quando si è ragazzini è dura sapere di essere differenti dalla maggioranza... e la maggioranza te la fa pesare, se non la pensi come lei.
Poi sono cresciuta e ho capito.
Ho capito che non è giusto nascondersi così, che se uno ha dei gusti contrastanti con la maggioranza deve pur avere il diritto di esprimerli.
Presente lo yougurt col bifidus? Quello che funziona con otto donne su dieci? Ecco, io la vedo dal punto di vista delle due sulle quali non funziona.
Esistono anche quelle due e dobbiamo farcene una ragione, che ci piaccia oppure no.
Quindi ho deciso di fare coming out proponendo un elenco di cose che piacciono a tutti, o quasi, ma non a me. E vi invito a seguirmi, perché è assai liberatorio.
Molto molto.
E forse spiega anche perché questo blog ha così pochi lettori rispetto, per esempio, a quelli coi bambini tenerini e le troniste tettone...
Scrivetemi in commento tutto ciò che non vi piace, ma occhio... vale solo per quelle cose che a tutti piacciono meno che a voi. Quelle cose che se siete tra amici e dite “questa cosa qui a me non piace” tutti vi guardano esterrefatti e dicono “Ooooooh! Com'è possibile?” Quindi non valgono cose tipo “Le zanzare”, “I libri di Federico Moccia” (che neppure li avete letti, quindi obbiettivamente non potete dire che non vi piacciono), “I reality show”, “Marco Travaglio” e tutte quelle altre cose che fa figo dire “non mi piace”...invece no, mi riferisco proprio a quelle cose che vi vergognereste, in una cerchia di amici e conoscenti, a dire che non vi piace.
Ci credereste se vi dicessi che io, proprio io, anni fa riuscii a sollevare un putiferio solo ammettendo che una certa crema di nocciole e cacao non era proprio di mio gradimento? Eppure...

PS: non so come sono i regolamenti di google, nel dubbio vi prego di lasciar fuori tematiche politiche/religiose/entrambi, come ho fatto io...

Ed ecco la mia lista (a proposito di liste... non contano neanche Fazio e Saviano, vi avverto) di cose che non mi piacciono, si va dal semplice "non mi fa impazzire" al "proprio non lo sopporto". Ma non vi dico quali. Tanto la lista è in ordine di come mi sono venuti in mente, non di rilevanza. Sicuramente ci sono molte più cose, ma per il momento mi viene in mente solo questo.

A me non piacciono...
Il Piccolo Principe
La Nutella
Questo Piccolo, Grande Amore di Claudio Baglioni
Il sushi
Topo Gigio
I quadri di Raffaello Sanzio
Il Signore degli Anelli
Mila e Shiro
Il Rocky Horror Picture Show
Ascanio Celestini
La french manicure
Love Story (il film)
I Baci Perugina
Pizza e birra
La Coca Cola (qualsiasi cola, per la verità)
La guerra di Piero di De Andrè
Il calcio (partite della nazionale incluse, sì)
Il veglione di Capodanno
I preliminari
Nessun dorma eseguito da Pavarotti
L'abito da sposa
La pallavolo
Lady Oscar
Il cono gelato
Titanic (il film con Leonardo di Caprio)
Margherita di Riccardo Cocciante

Ditemi voi...

sabato 14 luglio 2012

Stress da computer lento? Chiedimi come!

Ormai è un dato di fatto che tutti conoscono: la lentezza dei nostri computer, che si tratti di lentezza della connessione internet o di qualunque altra operazione, è causa di stress.
Io il computer devo usarlo per lavoro, quindi ne so qualcosa.
Apro Google e lui impiega tanto tempo a caricarsi che quando alla fine ci riesce, non mi ricordo più cosa volevo cercare. Avvio un programma e quello si blocca facendomi perdere tempo e pazienza. Cerco di portare a termine un'operazione e il computer non la esegue...
Per questi, e altri inconvenienti informatici, ho contato un certo numero di reazioni:
a) dire al computer: “Perché? Perché mi fai questo?”
b) piangere, sbattere la testa al muro, strapparmi i vestiti.
c) giungere alla conclusione che gli dei dell'informatica mi odiano. Mi par quasi di vederli che sghignazzano alle mie spalle dandosi gomitate d'intesa...
d) chiedermi “Perché capitano tutte a me?”
e) andare a farmi un caffè mentre aspetto che la maledetta pagina lenta si carichi a dovere.
f) picchiare/mordere/pestare il computer.
g) attribuire tutte le proprie disgrazie alla lentezza del computer.

Però lo so che è sbagliato perché
a) posso parlare al computer quanto voglio, tanto lui non mi può capire.
b) questo è altamente controproducente.
c) gli dei dell'informatica non possono odiarmi per il semplice fatto che non esistono.
d) non capitano tutte a me, capitano anche agli altri.
e) rischio di bere troppi caffè e innervosirmi ancora di più.
f) non è che se rompo il computer lui poi diventa più veloce...
g) andiamo, non diciamo sciocchezze. Non può essere sempre colpa sua!

Mi dico tutte queste sagge cose mentre faccio l'unica cosa ragionevole: spegnere tutti i file e i programmi che non mi servono e che lo rallentano.
Provate anche voi.
Funziona?
No, vero? Neanche a me funziona mai...

venerdì 13 luglio 2012

Già che ci sono...

Già che mi capita a passare sul blog, vi consiglio questo bel link (in inglese) The amazing Jazz&Gigi. Fategli pubblicità ^___-

Il mito della superdonna

Laurie Penny: le donne che hanno tutto sono un mito della classe media

Qui l'articolo originale (in inglese).

E di seguito la traduzione (mia):

Signore e signori, ma soprattutto signore: vorrei che mi faceste un favore. Vorrei che tutti noi smettessimo di far finta che l'argomento del mese (“Le donne possono davvero destreggiarsi tra una carriera ad alti livelli di potere e la cura dei figli allo stesso tempo?”) sia una questione di estrema importanza. Il motivo per cui dobbiamo piantarla è che proprio adesso, nel bel mezzo di una enorme reazione sociale, morale e finanziaria contro l'indipendenza delle donne, sono emersi dati che dimostrano come le donne di mezza età siano in assoluto le più duramente colpite dall'aumento della disoccupazione: sono le prime a venir licenziate, le ultime a essere assunte e perdono il posto in una percentuale parecchie volte superiore a quella di qualunque altro gruppo demografico. E tanti saluti al voler “avere tutto”.
Anna-Marie Slaughter, un'accademica di successo e professionista a Washington, ha appena scritto per il The Atlantic un articolo sul mito “dell'equilibrio tra vita e lavoro” rivelando la grave notizia che neppure le donne come lei possono “avere tutto”. Quel che voglio sapere io è: quando siamo diventate così prive di ambizioni? Quando il femminismo ha abbassato tanto i propri orizzonti al punto che il massimo per cui siamo pronte a lottare ora sia il diritto di una minoranza di donne a essere ammesse a un mercato del lavoro sessista accantonando la gestione dell'istruzione? “Io scrivo per il mio gruppo demografico: donne d'istruzione superiore, agiate, che hanno abbastanza privilegi da permettersi di fare le scelte migliori”, dice. È la frase più importante di tutto il pezzo.
Il diritto a un lavoro uguale con paghe uguali, secondo Judith Butler, è secondario al diritto a un lavoro uguale. E per la maggior parte delle donne l'obiettivo è molto lontano. Di fatto, mentre stiamo qui a chiederci se un individuo nato con una vagina possa ancora “avere tutto”, le donne e le ragazze svolgono ancora la maggior parte del lavoro domestico, prevalentemente gratis, mentre nella media la quantità di tempo passato dagli uomini a cucinare, pulire e svolgere altri compiti ingrati, non è praticamente cambiato dagli anni Ottanta a oggi. Di solito sono le donne più povere a essere pagate per fare quei lavori domestici, “lavori da donne”, che quelle con salari alti e carriere   avviate non hanno più tempo di svolgere. Ma nessuno si chiede se per una tata o una cameriera sia possibile “avere tutto”.
Senza voler passare per una teorica del complotto, se volessi sabotare il femminismo in quanto movimento socialmente utile, ecco cosa farei. Costruirei uno standard assurdo di realizzazione personale e professionale, uno standard irraggiungibile per la stragrande maggioranza delle donne che non siano indipendenti, ricche, bianche e altolocate, e lo chiamerei “avere tutto”. Dopo aver istituito questo standard impossibile, farei in modo che le donne si sentano delle fallite se non riescono a raggiungerlo.
Se le donne credono che possiamo, e dobbiamo, “avere tutto”, significa che è colpa nostra se non siamo ancora libere, colpa nostra perché non lavoriamo di più, non amministriamo bene il tempo a disposizione, non scegliamo il partner “giusto” (Sheryl Sandberg, amministratore delegato di Facebook, è la preferita dai laureati a Barnard). È interessante notare che questi sono esattamente gli stessi assunti che un qualunque neo-liberale da salotto usa quanto tenta di convincerti che “libertà” vuol dire lavorare fino a sfinirsi a non argomentare più su nulla. Alle madri, più che a chiunque altro, è stata venduta una falsa idea di libertà, una che dice che se non si sentono liberate grazie a un lavoro massacrante, che sia arrampicarsi sui tacchi a spillo su per la scala sociale o passare l'aspirapolvere in ufficio la notte, la colpa è soltanto loro.
Per molte donne più giovani che hanno visto le nostre madri lottare per “avere tutto”, il problema di fare o non fare lo stesso è stato pietosamente messo da parte. Personalmente, per come va l'economia adesso, io non ho né il tempo, né i soldi, né la stabilità per prendermi cura di un cagnolino, che è la cosa che desidero di più al mondo, figuriamoci quindi di un fidanzato o di un bambino. La maggior parte delle mie amiche è nelle mie stesse condizioni, ma quel che abbiamo adesso è la libertà di porci domande. Domande come: ci è davvero permesso di non desiderare un marito? Domande come: sono una persona valida anche se non guadagnerò mai cinquantamila sterline l'anno? Domande come: progettare di non sposarsi né avere figli, ma riversare tutte le nostre energie in un lavoro egoisticamente creativo o nei viaggi, è ancora un'opzione? Sarà mai un'opzione? Ci sarà mai un'epoca in cui la libertà personale delle donne sarà uguale a quella degli uomini?
Il punto fondamentale dell'articolo di Slaughter è l'ammissione che l'ideale dell'avere “tutto” è sempre stato una finzione, anche per quelle che ci apparivano come superdonne. C'era un tempo, non molto fa, in cui il femminismo aveva più fantasia. A memoria d'uomo, ci sono state vere campagne per gli asili gratuiti per tutti, per gli stipendi alle casalinghe e per un sistema di assistenza che permettesse a tutti, non solo alle donne, di raggiungere l'equilibrio tra lavoro e famiglia. Tutte le nostre ambizioni si sono ridotte, l'abisso di delusione tra le aspettative delle donne e la realtà della vita lavorativa si è fatto più profondo e doloroso.
In questo momento, nella sola Gran Bretagna, l'indice di disoccupazione femminile è al più alto livello fin da quando si è cominciato a registrarlo. Quelle che hanno ancora il lavoro devono affrontare il congelamento dei salari, il congelamento delle pensioni e tagli ai contributi per i bambini che potrebbero fare la differenza tra il potersi permettere di badare ai figli e il dover rinunciare al lavoro. Se il massimo che il femminismo moderno riesce a ottenere è la liberazione personale di una manciata di donne privilegiate all'interno di un mercato del lavoro progettato da e per uomini ricchi, tanto vale tornare tutte in cucina... ma se i diritti delle donne hanno ancora un senso in un mondo post-speranza e post-austerity, allora dovremmo cominciare a chiedere di più, molto di più.