Laurie Penny: le donne che hanno tutto sono un mito della classe media
Qui l'articolo originale (in inglese).
E di seguito la traduzione (mia):
Signore e signori, ma soprattutto signore: vorrei che mi faceste un favore. Vorrei che tutti noi smettessimo di far finta che l'argomento del mese (“Le donne possono davvero destreggiarsi tra una carriera ad alti livelli di potere e la cura dei figli allo stesso tempo?”) sia una questione di estrema importanza. Il motivo per cui dobbiamo piantarla è che proprio adesso, nel bel mezzo di una enorme reazione sociale, morale e finanziaria contro l'indipendenza delle donne, sono emersi dati che dimostrano come le donne di mezza età siano in assoluto le più duramente colpite dall'aumento della disoccupazione: sono le prime a venir licenziate, le ultime a essere assunte e perdono il posto in una percentuale parecchie volte superiore a quella di qualunque altro gruppo demografico. E tanti saluti al voler “avere tutto”.
Anna-Marie Slaughter, un'accademica di successo e professionista a Washington, ha appena scritto per il The Atlantic un articolo sul mito “dell'equilibrio tra vita e lavoro” rivelando la grave notizia che neppure le donne come lei possono “avere tutto”. Quel che voglio sapere io è: quando siamo diventate così prive di ambizioni? Quando il femminismo ha abbassato tanto i propri orizzonti al punto che il massimo per cui siamo pronte a lottare ora sia il diritto di una minoranza di donne a essere ammesse a un mercato del lavoro sessista accantonando la gestione dell'istruzione? “Io scrivo per il mio gruppo demografico: donne d'istruzione superiore, agiate, che hanno abbastanza privilegi da permettersi di fare le scelte migliori”, dice. È la frase più importante di tutto il pezzo.
Il diritto a un lavoro uguale con paghe uguali, secondo Judith Butler, è secondario al diritto a un lavoro uguale. E per la maggior parte delle donne l'obiettivo è molto lontano. Di fatto, mentre stiamo qui a chiederci se un individuo nato con una vagina possa ancora “avere tutto”, le donne e le ragazze svolgono ancora la maggior parte del lavoro domestico, prevalentemente gratis, mentre nella media la quantità di tempo passato dagli uomini a cucinare, pulire e svolgere altri compiti ingrati, non è praticamente cambiato dagli anni Ottanta a oggi. Di solito sono le donne più povere a essere pagate per fare quei lavori domestici, “lavori da donne”, che quelle con salari alti e carriere avviate non hanno più tempo di svolgere. Ma nessuno si chiede se per una tata o una cameriera sia possibile “avere tutto”.
Senza voler passare per una teorica del complotto, se volessi sabotare il femminismo in quanto movimento socialmente utile, ecco cosa farei. Costruirei uno standard assurdo di realizzazione personale e professionale, uno standard irraggiungibile per la stragrande maggioranza delle donne che non siano indipendenti, ricche, bianche e altolocate, e lo chiamerei “avere tutto”. Dopo aver istituito questo standard impossibile, farei in modo che le donne si sentano delle fallite se non riescono a raggiungerlo.
Se le donne credono che possiamo, e dobbiamo, “avere tutto”, significa che è colpa nostra se non siamo ancora libere, colpa nostra perché non lavoriamo di più, non amministriamo bene il tempo a disposizione, non scegliamo il partner “giusto” (Sheryl Sandberg, amministratore delegato di Facebook, è la preferita dai laureati a Barnard). È interessante notare che questi sono esattamente gli stessi assunti che un qualunque neo-liberale da salotto usa quanto tenta di convincerti che “libertà” vuol dire lavorare fino a sfinirsi a non argomentare più su nulla. Alle madri, più che a chiunque altro, è stata venduta una falsa idea di libertà, una che dice che se non si sentono liberate grazie a un lavoro massacrante, che sia arrampicarsi sui tacchi a spillo su per la scala sociale o passare l'aspirapolvere in ufficio la notte, la colpa è soltanto loro.
Per molte donne più giovani che hanno visto le nostre madri lottare per “avere tutto”, il problema di fare o non fare lo stesso è stato pietosamente messo da parte. Personalmente, per come va l'economia adesso, io non ho né il tempo, né i soldi, né la stabilità per prendermi cura di un cagnolino, che è la cosa che desidero di più al mondo, figuriamoci quindi di un fidanzato o di un bambino. La maggior parte delle mie amiche è nelle mie stesse condizioni, ma quel che abbiamo adesso è la libertà di porci domande. Domande come: ci è davvero permesso di non desiderare un marito? Domande come: sono una persona valida anche se non guadagnerò mai cinquantamila sterline l'anno? Domande come: progettare di non sposarsi né avere figli, ma riversare tutte le nostre energie in un lavoro egoisticamente creativo o nei viaggi, è ancora un'opzione? Sarà mai un'opzione? Ci sarà mai un'epoca in cui la libertà personale delle donne sarà uguale a quella degli uomini?
Il punto fondamentale dell'articolo di Slaughter è l'ammissione che l'ideale dell'avere “tutto” è sempre stato una finzione, anche per quelle che ci apparivano come superdonne. C'era un tempo, non molto fa, in cui il femminismo aveva più fantasia. A memoria d'uomo, ci sono state vere campagne per gli asili gratuiti per tutti, per gli stipendi alle casalinghe e per un sistema di assistenza che permettesse a tutti, non solo alle donne, di raggiungere l'equilibrio tra lavoro e famiglia. Tutte le nostre ambizioni si sono ridotte, l'abisso di delusione tra le aspettative delle donne e la realtà della vita lavorativa si è fatto più profondo e doloroso.
In questo momento, nella sola Gran Bretagna, l'indice di disoccupazione femminile è al più alto livello fin da quando si è cominciato a registrarlo. Quelle che hanno ancora il lavoro devono affrontare il congelamento dei salari, il congelamento delle pensioni e tagli ai contributi per i bambini che potrebbero fare la differenza tra il potersi permettere di badare ai figli e il dover rinunciare al lavoro. Se il massimo che il femminismo moderno riesce a ottenere è la liberazione personale di una manciata di donne privilegiate all'interno di un mercato del lavoro progettato da e per uomini ricchi, tanto vale tornare tutte in cucina... ma se i diritti delle donne hanno ancora un senso in un mondo post-speranza e post-austerity, allora dovremmo cominciare a chiedere di più, molto di più.
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