lunedì 5 novembre 2012

La Bella Addormentata nel Bosco: una storia crudele

Illustrazione di Walter Crane
La storia della Bella Addormentata nel Bosco la conoscono tutti. O meglio, credono di conoscerla perché conoscono la versione a cartoni animati. Le versioni a cartoni animati sono sempre rese edulcorate, buoniste, divertenti. Le fiabe vere sono invece spesso crudeli (e la Bella Addormentata non fa eccezione), soprattutto quelle dei Grimm, che non scrivevano per damigelle delicate e cicisbei incipriati come invece faceva Perrault.
Che poi anche questa storia dello scrivere andrebbe spiegata. Le fiabe (con l'eccezione di quelle di Andersen che era un caso a parte) non si scrivono, si tramandano e semmai si trascrivono. Le fiabe raccolgono i miti e le usanze dei popoli, e le paure e le speranze dell'umanità, e si tramandano per via orale da così tanto tempo che le origini si smarriscono nelle nebbie del passato. Le fiabe dei Grimm non le hanno inventate i Grimm, loro le hanno “solo” raccolte ascoltando chi le conosceva.
La Bella Addormentata nel Bosco potrebbe, in parte, derivare dal mito di Danae. Ma forse è più antico ancora. Forse è Danae che deriva dalla Bella Addormentata...
La Bella Addormentata è una storia di donne, come vedremo. L'unico uomo, ovvero il Principe Azzurro, non fa molto a parte sposare la Principessa, ed è pochissimo risolutivo.


La Bella Addormentata nel Bosco

C'erano una volta, tanto tempo fa, un re e una regina che desideravano disperatamente un figlio.
Finalmente la regina si ritrovò incinta e dopo nove mesi diede alla luce una bella bambina.
I regali consorti ne furono talmente felici che diedero una festa senza pari per celebrarne la nascita.
Vennero invitate anche tutte le fate che vivevano nel regno.
Non proprio tutte in verità, perché le fate del regno erano in tutto otto, mentre il re e la regina ne invitarono solo sette. Non lo fecero per cattiveria, ma perché l'ottava fata era così anziana, che nessuno pensava fosse ancora viva, anche perché non la si vedeva più in giro da almeno cinquant'anni. Lo so che tutti hanno pensato: “Ma che cavolo vi ci voleva a mandarle un invito? Non vi costava niente, e al peggio se era morta potevate averne la conferma.”
Eh, già, si fa presto col senno di poi a criticarli. Ma diciamolo: quella era scomparsa da cinquant'anni, da prima che loro nascessero. Probabilmente neanche più si ricordavano di lei!
E anche lei, che diritto aveva di prendersela tanto? Insomma, se vuoi che la gente t'inviti alle feste, ogni tanto ricordale che sei ancora viva, no?
Comunque vennero invitate sette delle otto fate, e per ciascuna di loro ci fu un regalo speciale: un cofanetto contenente piatti, posate e bicchieri d'oro. Una cosuccia graziosa e molto chic, davvero.
Solo che mentre il banchetto stava per cominciare il portone si spalancò ed entrò l'ottava fata, così vecchia che sulla faccia aveva più rughe che pelle.
Tutti rimasero costernati e vergognosi, e lei volse lo sguardo bilioso sui due regali coniugi che impallidirono immediatamente. “Ho saputo che qui si festeggiava”, disse la vecchia fata sputacchiando, un po' per la rabbia e un po' per la dentiera.
“Ehm, s-sì...”, balbettò il re, “Non vi abbiamo invitato perché... perché... pensavamo foste impegnata”, perché certo non le poteva dire che la credevano morta stecchita da decenni.
“Certo che ero impegnata”, disse la vecchiaccia sedendosi al posto che intanto le avevano apparecchiato in tutta fretta accanto alla fata più giovane, “ma per una festa così un po' di tempo lo si trova sempre.”
E così la vecchia fata venne tardivamente invitata alla festa, ma ormai non c'erano più cofanetti omaggio. “Però”, si scusò la regina, “ve ne faremo fare uno e ve lo manderemo al vostro castello al più presto.”
La vecchia fata borbottò: “Bah!”, e poi continuò a borbottare accidenti e imprecazioni per tutta la durata del pranzo, e la fata giovane tese le orecchie perché la vecchia matriarca pareva decisamente contrariata e sicuramente stava meditando vendetta.
Per questo quando il pranzo finì e giunse il momento che le fate offrissero i loro doni alla Principessina, la fata giovane si tenne in disparte e decise di agire per ultima. Anche se avrebbe dovuto essere la prima, perché l'ordine procedeva dalla meno importante alla più importante, ovvero dalla più giovane alla più anziana.
Le altre fate regalarono alla Principessina cose come una gran bellezza, l'abilità nel canto, la bravura nella danza e così via. Quando giunse il turno della fata vecchia lei si schiarì la voce e poi disse, colma di acidità:
“Sì, le mie giovani colleghe hanno ragione. La Principessina crescerà davvero bella come non mai, intonata, intelligente eccetera. Purtroppo, però, quando compirà sedici anni ella si trafiggerà la mano sul fuso di un arcolaio e morirà. E la prossima volta imparate a non invitarmi alle feste.”
Detto questo, se ne andò borbottando insulti e lasciando tutti più sbigottiti e costernati che mai.
“Non temete”, si fece avanti la fata giovane quando la vecchia se ne fu andata, “Io non ho ancora consegnato il mio dono, le speranze non sono tutte perdute.”
“Tu puoi disfare il dono della fata vecchia?”, disse la regina, speranzosa.
“Purtroppo no”, si rammaricò la fata giovane, “ma posso cambiarlo. Vedete, la Principessina si trafiggerà davvero la mano su un fuso. Però non morirà. Invece si addormenterà per cent'anni. Dopo cent'anni giungerà qui un Principe giovane e bello che la bacerà, risvegliandola.”
Meglio che niente, pensò il re. Ma siccome lui preferiva che la sciagurata profezia non si verificasse affatto, fece bruciare tutti i fusi e tutti gli arcolai del regno e sancì gravi pene per chiunque fosse stato scoperto in possesso degli strumenti maledetti.
Il tempo passò e la Principessa crebbe in grazia e bellezza.
Sedici anni dopo capitò che il re e la regina fossero fuori da amici (o da qualche parte, insomma non c'erano). La Principessa si annoiava e decise di mettersi a esplorare il castello. Giunse così in una vecchia torre, forse la più antica di tutto il fabbricato, e vi si arrampicò. In cima alla torre c'era una stanza, e in questa stanza c'era una vecchiarella che filava la lana seduta a un arcolaio.
Lo so che cosa state pensando: “Ma come, dopo tutto il trambusto che il re ha fatto per sbarazzarsi degli arcolai di tutto il regno, ora vien fuori che ce n'è rimasto uno proprio a casa sua?” E so anche che starete sospettando della vecchiarella, e devo smentirvi: la poverina non era la vecchia fata, e non era neppure in combutta con lei, anche perché la vecchia fata probabilmente era poi morta per davvero. E comunque non compare più nella storia. La vecchiarella, invece, era semplicemente molto anziana e un po' dura d'orecchie, aveva sempre lavorato all'arcolaio e non si era mai accorta che gli arcolai erano vietatissimi da sedici anni.
Non sapeva neppure chi fosse quella bella signorina che era appena entrata nella stanza. In fin dei conti era una serva, e le serve non fanno vita di corte. Insomma, era un po' come me: ignorava qualcosa che tutti gli altri sapevano.
A ogni modo, la Principessa quell'aggeggio non l'aveva mai visto prima e la cosa la incuriosiva molto.
“Nonnina, cos'è che stai facendo?”, domandò, stupita e sorridente.
“Filo la lana con l'arcolaio, figliola”, rispose la vecchiarella, a sua volta stupita per tanta ignoranza. Come io rimango stupita quando sento i ragazzini dire che non conoscono i Beatles.
“Sembra divertente, posso provare anch'io?”, disse la Principessa allungando la mano verso il fuso. Ma l'ebbe appena sfiorato che si trafisse la mano con l'estremità puntuta dell'arnese, e crollò in terra.
La povera vecchiarella pensò fosse morta, quindi si mise a strillare e svenne, e accorsero un sacco di damigelle, e tutti capirono che la profezia si era compiuta.
La vecchiarella, saputo quel che era successo, non riusciva a darsi pace. Piangeva e strillava: “Non ne sapevo niente. Non ne sapevo niente. Non è colpa mia.”
Il re e la regina, che intanto erano stati richiamati a casa, non se la sentirono di infierire su di lei: “Non ti preoccupare, nonnina”, le dissero, “lo sappiamo che tu sei innocente. Non si poteva fare nulla contro la maledizione della fata. Così doveva essere e così è stato.”
Ma la Principessa non era morta, era solo addormentata. Respirava regolarmente, il suo incarnato era roseo, le labbra increspate in un sorriso. Forse faceva addirittura bei sogni.
Arrivò anche la fata giovane, che organizzò tutta la faccenda.
La Principessa venne fatta vestire col suo abito più bello e adagiata in una camera da letto comoda e confortevole.
“Quando si sveglierà, fra cent'anni, non è bene che si ritrovi da sola”, disse la fata. E così fece magicamente addormentare dame, cavalieri, servi, cuochi e mezza corte.
Il re e la regina baciarono per l'ultima volta la figlia, se ne andarono in un altro castello e di lì continuarono a governare. Quando tutti i non dormienti se ne furono andati, la fata circondò il castello con una fitta foresta di rovi, affinché nessuno, a parte il prescelto, potesse entrarvi.
Trascorsero cento anni. Il ricordo della Principessa addormentata passò dalla storia alla leggenda. Quasi nessuno ormai sapeva cosa si celasse in quella fitta foresta inaccessibile. Il che mi pare strano, perché cent'anni non è poi così tanto. Poi penso che ora ci sono un mucchio di giovani che non hanno mai sentito nominare i Beatles, che sono più recenti di un secolo, e non mi pare più tanto strano.
La foresta celava tutto, e solo da molto lontano era possibile intravedere le cime delle torri più alte svettare tra gli alberi.
Cent'anni dopo, appunto, capitò che un Principe di un regno vicino si trovò a girellare da quelle parti, impegnato in una battuta di caccia. E da lontano vide proprio le cime di quelle torri. Ma una volta avvicinatosi vide solo foresta e, incuriosito, cominciò a chiedere lumi. Nessuno seppe dirgli nulla.
C'era chi diceva che nella foresta vivesse un gigante, chi pensava ci fosse un castello infestato da fantasmi e vampiri, chi riteneva ci fosse un drago a guardia di un tesoro e così via.
Solo un guardacaccia molto anziano disse che suo nonno gli aveva raccontato che lì c'era un palazzo in cui dormiva una bella principessa. Però questo non poteva affermarlo nessuno con certezza, perché nessuno era mai riuscito a penetrare la foresta di rovi, e chi ci aveva provato non era mai più tornato indietro per raccontarlo.
La minaccia non spaventò il Principe che, anzi, si sentiva assai sicuro di sé.
Ma quale non fu il suo stupore quando, mentre si apprestava a combattere con la forza per farsi strada tra la selva, vide i rovi farsi da parte e lasciarlo passare.
Perché lui era il prescelto.
Stupito, il Principe s'incamminò per quell'improvviso sentiero, e dopo un po' si voltò per chiamare il suo seguito, ma si accorse che la foresta gli si era richiusa alle spalle lasciando passare solo lui.
Andò avanti e arrivò a un magnifico castello. Le guardie addormentate davanti al portone lo lasciarono passare. Dentro il castello le sale erano piene di gente addormentata, dappertutto: per terra, sulle sedie, appoggiata ai muri. Era una visione spettrale, sarebbero sembrati tutti morti se non fosse stato per il fatto che respiravano. Anzi, qualcuno addirittura russava, e anche sonoramente.
Il Principe giunse in una stanza da letto e qui, distesa sotto un baldacchino, dormiva una bellissima Principessa. Il Principe sorrise, perché aveva la netta sensazione di conoscerla già, quella fanciulla. Ecco perché si chinò verso di lei e la baciò.
E a quel bacio la Principessa si svegliò.
Illustrazione di Walter Crane
“Nooo, ancora cinque minuti”, disse voltandosi sull'altro fianco.
...non è vero, non disse così, anche se sarebbe stato bello.
Invece salutò il Principe, riconoscendolo. Perché dovete sapere che la fata giovane aveva fatto sì che da almeno un paio d'anni il Principe e la Principessa si sognassero vicendevolmente. Perciò adesso non fu come se s'incontrassero per la prima volta. Insomma, loro un po' già si conoscevano, e sicuramente già erano innamorati tra di loro.
E perciò quando la Principessa si svegliò i due giovani cominciarono a parlarsi, e baciarsi, e baciarsi e parlarsi, e parevano non finirla più.
Ma intanto s'era svegliato anche il resto della corte, che aveva ripreso a lavorare come nulla fosse. Così poco dopo giunsero dei servi a chiamare i Principi perché la cena era pronta.
La Principessa si alzò dal letto, e il Principe non poté fare a meno di notare che portava abiti veramente fuori moda. “È vestita come mia nonna”, pensò. Ma poiché la Principessa era giovane e bella, e vestiti di quella foggia stavano meglio a lei che alla sua nonnina, decise di non dirle nulla.
Quella sera ci fu gran festa e ben presto il Principe e la Principessa convolarono a giuste nozze.
E a questo punto voi penserete che vissero per sempre felici e contenti.
Invece no, perché la storia non finisce qui.
Il Principe si fermò qualche giorno con la Principessa, poi fece armi e bagagli e se ne tornò al castello. Quando mamma e papà gli chiesero dove fosse stato tutto quel tempo, lui rispose che si era perso ed era stato un po' ospite di un guardacaccia.
Almeno una volta al mese, però, il Principe tornava dalla Principessa e si fermava con lei per qualche giorno. E tutte le volte in casa raccontava la stessa storia. Il re suo padre gli credeva, e perché non avrebbe dovuto? Ma la sua mamma era sospettosa e tutte le volte gli faceva un vero e proprio terzo grado per scoprire dove andasse.
Insomma, era ormai due anni che ogni mese il Principe spariva per giornate e nottate di fila, con la scusa della caccia. Era evidente che stava nascondendo qualcosa. Il suo cuore di mamma glielo diceva.
Ma vedete, il Principe aveva i suoi buoni motivi per non volerle dire nulla. Il punto è che in quei due anni lui e la Principessa avevano avuto due bambini: un maschietto di nome Giorno e una femminuccia di nome Mattina. E purtroppo la mamma del Principe era un'orchessa, e si sa che gli orchi hanno un debole per la carne umana, soprattutto per quella dei bambini. Ora, la mamma del Principe diceva di essersi ravveduta e di aver smesso con questa dieta, per così dire, e sicuramente stava facendo grossi sforzi per contenersi. Però era anche vero che un conto è resistere a una tentazione lontana, un conto è resisterle quando ce l'hai sotto il naso tutto il giorno.
Insomma, era da un paio d'anni che le cose andavano così, quando il re padre del Principe morì e il Principe divenne Re. Quindi alla fine decise di raccontare tutto alla Regina Madre, anche perché era tempo ormai che portasse in casa, ovvero al castello, la moglie e i figlioletti.
Lo fece, e per un po' tutto parve andare per il meglio.
Trascorsero così quattro o cinque anni (il numero preciso non lo so). Ma un brutto giorno scoppiò la guerra e il re fu costretto a partire.
I giorni passavano, e la Regina Madre vedeva i nipotini giocarle attorno, sempre più allettanti, sempre più simili, nella sua mente, a squisite pietanze che a umanini sangue del suo sangue.
Un giorno che vide la piccola Mattina che correva e rideva con quei braccini cicciottelli con le fossette, non resistette più. Chiamò il capocuoco e gli disse:
“Senti un po', ho deciso che stasera per cena mi mangio la mia nipotina in umido con quelle belle salsine che fai tu. Vedi un po' di macellarla e cucinarmela per bene.”
“Ma... maestà”, protestò il pover'uomo, “Non si può cucinare una bambina!”
“Come osi protestare?”, s'infuriò la Regina Madre, “Fai come ti dico o ti faccio ammazzare.”
Il capocuoco era veramente angosciato, ma alla fine prese una decisione. Andò a prendere la piccola Mattina e la portò dalla moglie, con la quale viveva in un cottage fuori dal castello. La moglie vestì la piccola da contadinella e la nascose, e il capocuoco cucinò invece un agnellino in umido, servendolo in modo tale che la Regina Madre non si accorse che non era un bambino. Anzi, lo gustò con gioia e alla fine si disse molto soddisfatta.
Passò un po' di tempo, ma alla fine alla Regina Madre tornò voglia di carne di bambino. E nel vedere il piccolo Giorno così roseo e cicciottello non resistette più e mandò a chiamare il capocuoco e gli disse:
“Senti un po', ho deciso che stasera per cena mi mangio il mio nipotino in umido con quelle belle salsine che fai tu. Vedi un po' di macellarlo e cucinarmelo per bene.”
“Ma... maestà”, protestò il pover'uomo, “Non si può cucinare un bambino!”
“Come osi protestare?”, s'infuriò la Regina Madre, “Fai come ti dico o ti faccio ammazzare.”
Il capocuoco era nuovamente angosciato, ma alla fine prese una decisione, la stessa di prima. Andò a prendere il piccolo Giorno e lo portò dalla moglie, che vestì il bambino da contadino e lo nascose, e il capocuoco cucinò invece un capretto in umido, servendolo in modo tale che la Regina Madre non si accorse che non era un bambino. Anzi, lo gustò con gioia e alla fine si disse molto soddisfatta. Insomma, come prima.
Passò altro tempo, e la povera Bella Addormentata non faceva che piangere perché era sicura che i suoi bimbi fossero morti.
A forza di vederla così affranta, indifesa e appetitosa, alla Regina Madre tornò l'acquolina in bocca, e alla fine chiamò il capocuoco:
“Senti un po', bel tomo”, gli disse, “M'è venuta tanta voglia di mangiarmi mia nuora a cena. Vedi un po' di macellarla e cucinarmela a puntino come sai fare tu.”
Il povero capocuoco neanche ebbe più forza di protestare. Invece sospirò e andò dalla Giovane Regina a dirle quali erano gli ordini dell'Orchessa Madre.
“Ah, è dunque questa la fine che hanno fatto i miei bambini!”, disse la Bella Addormentata nel Bosco, che ormai era tanto affranta che non aveva neppure più lacrime da versare, “Allora forza, esegui i tuoi ordini e fa' alla svelta. Perlomeno se muoio, potrò rivedere i miei figlioletti.”
“No, maestà”, protestò il capocuoco, “non avete capito. Qui nessuno finirà in pentola. Piuttosto, prendete le vostre cose, indossate il mantello e seguitemi.”
E il capocuoco portò la Bella Addormentata nel cottage da sua moglie, e gli mostrò i suoi figli sani e salvi, e le raccontò come li avesse nascosti servendo, al loro posto, un agnello e un capretto.
La Bella Addormentata era sopraffatta dalla gioia, non faceva che abbracciare e baciare i suoi bambini e ringraziare il capocuoco e sua moglie. Poi si vestì anche lei da contadina, e rimase nel cottage. Il capocuoco stavolta non sapeva come ingannare la Regina Orchessa, perché serviva una bestia piuttosto grossa per sostituire la Bella Addormentata. Alla fine le cucinò una giovane vacca in spezzatino, e tanto fece, tanto la preparò, che la Regina Madre non s'accorse che non era una donna, ma se la mangiò tutta con grande soddisfazione.
Non si preoccupava di che avrebbe pensato il Re suo figlio al suo ritorno, perché aveva già deciso che gli avrebbe raccontato che la moglie e i figli erano stati divorati dai lupi.
E qui guai a chi fa battutine per la similitudine tra la Bella Addormentata e una giovane vacca!
Passò dell'altro tempo, e un giorno la Regina Orchessa fece una passeggiata fuori dal castello e, per caso, passò di fianco al cottage del capocuoco.
“Che strano”, si disse annusando l'aria, “mi par di sentire profumo di bambino. Eppure il capocuoco non ha figli.”
Ma non c'erano dubbi, nell'aria c'era proprio un invitante aroma di bimbo. E non solo, si sentivano anche certe vocine appetitose...
L'Orchessa Madre si affacciò e vide... orrore orrore! Nel cottage del capocuoco c'erano la nuora e i nipotini, vivi e vegeti e in salute. Quindi il capocuoco le aveva mentito.
“Tradimento!”, gridò la Regina Madre, “Sono stata ingannata! Vendetta, vendetta!”
Infuriata, condannò a morte tutti i traditori. La nuora e i nipoti, e anche il capocuoco e sua moglie.
Il mattino dopo al centro del cortile del castello venne sistemata una grande vasca piena di rospi, aspidi, vipere e altre bestie velenose. Poi vennero condotti i cinque condannati, legati e in lacrime.
Ma proprio quando gli sventurati stavano per essere gettati nella vasca, arrivò il Re, perché intanto la guerra era finita.
“Che succede qui?”, domandò il Re, infuriato, “Cos'è questa storia? Cos'è quest'orrore?”
La Regina Orchessa fu tanto contrariata per l'interruzione, e per la figura che faceva davanti al figlio, che per la disperazione si gettò a capofitto nella vasca e le bestie velenose se la mangiarono.
Il Re ne fu affranto, perché in fondo la Regina Orchessa era pur sempre sua mamma.
Ma alla fine se ne fece una ragione e visse per sempre con la Bella Addormentata e coi figlioli felice e contento.
Ora sì che è finita!

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