venerdì 30 novembre 2012

Sono tutti egoisti... tranne me, ovvio!

Primo episodio: New York, 13 marzo 1964, alle tre del mattino la ventottenne Kitty Genovese sta rincasando dal lavoro (gestisce un bar) quando viene aggredita da uno stupratore e assassino seriale. Viene inseguita, accoltellata ripetutamente, stuprata e uccisa. In trentotto, tra passanti e residenti, assistono all'aggressione o sentono le sue grida d'aiuto. Nessuno fa nulla. Nessuno chiama i soccorsi. Solo dopo mezz'ora dall'inizio dell'aggressione qualcuno chiama la polizia, ma ormai è troppo tardi.

Secondo episodio: Nel giugno del 2008 la quarantanovenne Esmin Green, dopo aver inutilmente atteso per quasi ventiquattr'ore nella sala d'aspetto di un ospedale di Brooklyn, ha un collasso e sviene. Tutti i presenti, incluse due guardie, la ignorano. Solo dopo un'ora che la donna è in terra priva di sensi qualcuno si decide a soccorrerla, ma ormai è troppo tardi.

Terzo episodio: Nel giorno del Memorial Day, del 2011, Raymond Zac di Alameda, California, si avventurò in mare, molto probabilmente con l'intenzione di togliersi la vita. Sul luogo accorsero la Polizia e i Vigili del Fuoco, oltre ad almeno una dozzina di passanti. Nessuno intervenne,  anche se era evidente che il ragazzo stava andando in ipotermia. La Polizia disse che si aspettava fossero i Vigili del Fuoco a intervenire, questi sostennero di non avere le autorizzazioni necessarie a entrare in acqua. Degli altri presenti, ognuno affermò di essere convinto che sarebbe stato qualcun altro a fare qualcosa. Quando alla fine qualcuno si tuffò e riportò Raymond a riva, ormai era troppo tardi.

Quarto episodio: Nell'ottobre del 2011 a Foshan, in Cina, una bimba di due anni, Wang Yue, venne investita da due automezzi consecutivi. Rimase in terra sanguinante per diversi minuti e ben diciotto persone, come documentato dalle telecamere a circuito chiuso, le passarono accanto senza intervenire, addirittura scavalcando il suo corpicino sanguinante e fingendo di non vederla. Alla fine venne soccorsa da una netturbina, ma ormai era troppo tardi: la bimba morì otto giorni dopo per le ferite riportate.


Perché cose del genere accadono? Perché in simili situazioni la gente resta a guardare invece di intervenire? “Perché sono tutti stronzi ed egoisti” è una risposta un po' semplicistica. Anche perché quando la pensiamo intendiamo naturalmente che stronzi ed egoisti sono gli altri, non noi. Se ci fossimo stati noi, in tali frangenti, certamente saremmo intervenuti. Sicuri? Sicuri al 100%?
In realtà questo fenomeno ha un nome, e si chiama “effetto passante”, o “complesso del cattivo samaritano”, o ancora “sindrome Genovese”, perché è stato proprio il primo caso narrato a dare il via agli studi su questo tipo di comportamento, che è molto diffuso e naturale, tutt'altro che un evento raro. E il risultato è sconcertante: più gente c'è ad assistere a una situazione di emergenza, in cui c'è bisogno di aiuto, e meno probabilità ci sono che qualcuno intervenga (per contro, meno gente c'è più è facile che qualcuno arrivi in soccorso). Anche solo per fare una telefonata. Perché ognuno si aspetta che sia qualcun altro a farla.
Per intervenire in una situazione di emergenza, per prima cosa dobbiamo riconoscerla come tale. Per esempio, capire che quella a cui stiamo assistendo è un'aggressione vera e propria e non un litigio un po' chiassoso tra due fidanzatini. Per capire se si tratta davvero di un'emergenza ci rivolgiamo agli altri. Osserviamo il comportamento degli astanti e vediamo che fanno loro. Se nessuno prende l'iniziativa, il pensiero prevalente è che in fondo non stia succedendo nulla di grave. Il punto è che ognuno, non solo noi, si guarda intorno per vedere che fanno gli altri e agire di conseguenza. “Gli altri che fanno? Nulla. E allora non faccio nulla neanch'io. Se fosse urgente”, pensa il passante, “qualcuno farebbe qualcosa, no?”
E quando tutti pensano così, finisce che nessuno fa più nulla.
O ancora: “Ma tra tanta gente che c'è proprio io devo intervenire? Lo farà sicuramente qualcun altro!”
E quando tutti pensano così... idem come sopra.
In questo modo nessuno si sente veramente responsabile, perché la responsabilità viene “spalmata” fra tutti i presenti, e la colpa per il mancato intervento viene attribuita sicuramente agli altri.
Il nostro meccanismo di autostima fa sì che per ognuno di noi ci sia un'enorme differenza tra "me" e tutti gli altri. Avete mai visto quelle frasi che girano su facebook? Quelle un po' misantrope che affermano quanto le persone siano inaffidabili, gli innamorati traditori, la gente menefreghista, gli amici opportunisti e in sostanza gli esseri umani una gran delusione? Chi li posta ovviamente si riferisce agli altri, non a se stesso. Se dico "La gente è egoista" non intendo dire che lo sono anch'io, ma solo che lo sono tutti quelli che incontro. Se dico che i fidanzati sono traditori, infidi e crudeli, intendo implicitamente che la colpa del fallimento delle mie storie d'amore sia loro e solamente loro, mai mia. Semmai la mia colpa può essere stata "d'essere troppo buona", quindi una non-colpa in realtà.
Non è così?
Dei trentotto che assistettero all'aggressione a Kitty Genovese senza intervenire, sicuramente ognuno avrà pensato che la colpa fosse degli altri trentasette.
"Ma guarda che menefreghisti", avrà pensato ciascuno di loro, "Che gli costava fare una telefonata?"
"E a te che costava?", gli si potrebbe dire.
Inoltre quando molta gente è presente, si teme sempre di non essere all'altezza della situazione. Di intervenire con un aiuto intempestivo o non richiesto. Di far più danno che bene a intervenire ("È inutile chiamare l'ambulanza in cinquanta", pensa il passante, "basta che lo faccia uno. E sicuramente qualcuno l'ha già fatto!"), o addirittura di fare una brutta figura in caso di intervento sbagliato.
E poi c'è anche la paura di rimanere coinvolti. Quando si è da soli, o si è in pochi, rimanere coinvolti è inevitabile. Ma quando si è in tanti, perché lasciarci coinvolgere quando questo compito se lo può benissimo assumere qualcun altro? Perché dovremmo farlo proprio noi, che magari abbiamo già i problemi nostri?
Ancora, la situazione anomala potrebbe stupirci al punto da "bloccare" la nostra capacità d'azione, impedendoci di prendere una decisione. Ci coglie di sorpresa, insomma, e noi non sappiamo più cosa è giusto fare.
Invece è più probabile che si intervenga se quelli che ci circondano sono amici e non sconosciuti, oppure se conosciamo la vittima o perlomeno la riconosciamo come appartenente alla nostra cerchia (esempio banale: tifa per la nostra stessa squadra di calcio).
È una cosa che può capitare a chiunque, anche a chi proprio non se l'aspettava da se stesso.
Per questo dico: siamo proprio sicuri che a noi non potrebbe mai capitare?
Una curiosità: i cosiddetti “macho” sono quelli che in questi casi intervengono di meno, perché sono quelli che più di tutti temono una brutta figura in caso di intervento sbagliato o inappropriato. Insomma, un solo Superman salva il mondo, con una folla di Supermen la povera Lois Lane è spacciata!

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