Illustrazione di Kay Nielsen |
Ora, cos'è che fa di un personaggio una Cenerentola? Cosa ci fa dire che la sua storia è “cenerentolosa”, per così dire? La scarpetta? Ma quella mica c'è sempre (nell'opera di Rossini, per esempio, al suo posto c'è un bracciale di diamanti). Le sorellastre cattive? Le umiliazioni subite in casa? La matrigna? La fata amica (che però nei Grimm non compare)? Il principe? Il ballo? Cosa? Cosa non può assolutamente mancare? Qual è quella cosa speciale la cui assenza le farebbe perdere tutta la sua “cenerentolitudine”?
In questa versione siciliana la nostra eroina (che si chiamerebbe Ninetta, ma io preferisco chiamarla Cenerentola altrimenti rischiamo di dimenticarci che è proprio lei) non ha quasi nessuna delle classiche caratteristiche da Cenerentola. Non ci sono le sorellastre cattive, non c'è la matrigna tartassatrice, non c'è la scarpetta e non ci sono neppure le umiliazioni subite. Ecco, è una Cenerentola che non solo non subisce nulla, ma è addirittura la più viziata tra le sorelle (che non sono sorellastre). E non è stucchevolmente buona, anzi, oserei dire che questa è una Cenerentola decisamente scazzata, se mi passate il termine. Una che se le chiedi “Come stai?” è facile che ti risponda “Che te ne frega?”
Eppure è proprio lei, non ci sono dubbi.
PS: non dico che non sia una Cenerentola adatta a un pubblico infantile, ma forse prima di leggerla a un eventuale bambino è meglio se la leggete voi e tagliate dove ritenete di dover tagliare, perché ho usato un linguaggio un po'... ehm... colorito, ecco...
PS: io quando l'ho scritta e riletta, me la sono immaginata recitata dalla voce di Teresa Mannino. Poi fate un po' voi...
Cenerentola al sud: una storia “scialla”
C'era una volta un ricco mercante vedovo che aveva tre figlie, una più bella dell'altra. Ma la più bella di tutte era senza dubbio la più piccola, Cenerentola.
Un giorno il mercante tornò a casa preoccupato.
“Ho in ballo una cosa grossa e devo fare un viaggio d'affari”, disse alle figlie, “ma non me la sento di lasciarvi qui da sole. E se poi viene qui qualcuno e vi rapisce? O, ancor peggio, vi deflora?”
“Ma che problema c'è?”, dissero le figlie, “Lasciaci tante provviste e facci barricare in casa, così non può entrare nessuno. E se proprio ci serve qualcosa, lasciaci una sola finestrella aperta così possiamo ordinare le commissioni al garzone del droghiere e calare il panierino.”
“Buona idea!”, disse il mercante. E così fece.
Prima di partire chiese alle figlie se volessero un regalo particolare dalla terra dove andava.
“Io voglio un vestito color del cielo”, disse una.
“Io ne voglio uno color dei diamanti”, disse la seconda.
“Io voglio una pianta di datteri in un vaso d'argento”, disse Cenerentola, “e se te la scordi devono capitarti tanti guai che non ti facciano più tornare a casa finché non me la prendi.”
“O', Cene, ti sei ammattita?”, la sgridò la sorella maggiore, “Si dicono queste cose a papà, che poi magari veramente gli mandi contro qualcosa di brutto?”
Ma Cenerentola fece un broncio così grazioso che suo papà s'intenerì. “Ma no, ma no”, disse, “Cenerentola nostra è la piccolina di papà e non bisogna sgridarla. È vero?”
“Gni”, rispose la ragazza sbattendo le ciglia. Perché era un po' viziata, ammettiamolo. E anche un po' stronza, ammettiamo pure questo.
E il mercante partì, comprò i vestiti ma si scordò della pianta di datteri. E quando s'imbarcò per tornare scoppiò una tempesta terrificante che minacciò di fare a pezzi la nave su cui stava. Allora si ricordò degli accidenti di Cenerentola, tornò indietro, prese quella cavolo di pianta a si imbarcò di nuovo. E stavolta ci riuscì.
Intanto le tre sorelle erano rimaste a casa a contarsela su, a giocare a palla, a spettegolare e a fare le altre cose che facevano le figlie dei ricchi mercanti in un'epoca in cui non esistevano automobili, telefoni, TV [nella scatola del mondo io e tu, per cui la quale, cicale cicale cicale... NDR] e neppure corrente elettrica.
Un giorno alla sorella maggiore cadde un ditale nel pozzo (perché loro avevano un pozzo in cortile).
“Io sono la più leggera”, disse Cenerentola, “calatemi giù che lo riprendo.”
Cenerentola si calò in fondo al pozzo, prese il ditale che galleggiava sul pelo dell'acqua, ma mentre risaliva si accorse, a metà strada, che dai mattoni trapelava una luce. Tolse qualche mattone e vide che il pozzo affacciava su un giardino meraviglioso, che guarda caso era il giardino del Re. Ora, io non so come fosse fatto quel pozzo per affacciarsi su un giardino. Forse la casa del mercante era in cima a un promontorio che dava sul giardino reale. Forse era un passaggio magico. Fatto sta che così era, anche se è curioso.
Comunque, lei vide questo giardino meraviglioso e ci andò dentro a cogliere fiori e frutti, e quando risalì dal pozzo oltre al ditale aveva il grembiule carico di ciliegie e gelsomini.
“E tutta questa roba dove l'hai trovata?”, domandarono le sorelle furbe. Furbissime. Cioè, che mi significa “dove l'hai trovata?”. Era appena uscita dal pozzo, l'avrà trovata da qualche parte nel pozzo, no?
Forse per questo Cenerentola fece spallucce e rispose amabilmente: “Che ve ne frega? Sono fatti miei, mangiate le ciliegie e non mi scassate i cabasisi con le vostre domande idiote!”
Le cronache non riportano che abbia detto così, ma io sono certa di sì.
Cenerentola pensava che nessuno si sarebbe accorto del suo furto, ma si sbagliava perché se ne accorse il Giardiniere di Corte, il quale andò dritto filato a raccontarlo al Reuzzo. Nelle fiabe dell'Italia del Sud il Principe Azzurro non si chiama Principe ma Reuzzo, o Reuccio, vale a dire Piccolo Re, o il piccolo del Re. Come ci sono il leone e il leoncino, il lupo e il lupetto e il gatto e il gattino, così ci sono il re e il reuzzo. Insomma, il nostro Reuzzo è il figlio del Re.
Capito?
Okay, allora il Reuzzo il giorno dopo alla stessa ora si appostò per vedere chi gli fregava fiori e frutta.
E a quella stessa ora Cenerentola si fece calare di nuovo nel pozzo.
“Ma che devi fare ancora laggiù?”, domandarono le sorelle.
“Miii, quante domande!”, rispose Cenerentola con la dolcezza che le era propria, “Non mi rompete la minchia e calatemi giù, che poi vedrete.”
E di nuovo Cenerentola scostò i mattoni e si mise a zompettare nei Giardini Reali come un fringuello ladro, ma poi si accorse che il Reuzzo l'aveva vista e le stava correndo incontro. Allora scappò rapida come una lepre, si infilò nel buco, lo richiuse e si fece tirar su dalle sorelle col suo bottino.
E il Reuzzo rimase con un palmo di naso. E col cuore trafitto, perché Cenerentola era così bella che lui se n'era già innamorato. Perciò tornò al castello e si mise a letto con la febbre alta, perché era malato d'amore. Il Re e la Regina chiamarono tutti i medici di corte al suo capezzale, ma nessuno capì cos'avesse. Solo il più saggio tra di loro diede la sua diagnosi: “Secondo me il Reuzzo s'è innamorato. I sintomi mi sembrano quelli.”
Il Re domandò al figlio se fosse vero e lui rispose di sì, e poi raccontò la storia della bella ragazza scomparsa in un buco del muro del giardino.
Allora il Re decise di organizzare un gran ballo, in tre serate consecutive, e invitarci tutte le fanciulle del regno, così forse si sarebbe ritrovata la misteriosa ragazza.
Intanto il mercante era tornato, e aveva dato alle figlie i loro regali. Le prime due già si erano messe ad aggiustare i vestiti e non vedevano l'ora che ci fosse un gran ballo per poterseli mettere.
Cenerentola invece prese il suo dattero e se ne andò sul suo balcone a curarlo e accudirlo.
Quando venne l'invito per il ballo, naturalmente tutti furono su di giri. Le sorelle non stavano più nella pelle.
“Vedrai quanto ci divertiremo, Cene”, dicevano, “Sarà uno sballo. Un ballo da sballo! Ah, ah”, e giù a ridere contente.
“Mah”, fece Cenerentola dubbiosa, “Io non lo so mica se ci vengo.”
“Come non ci vieni???”, annasparono le sorelle, “Ma stai male? Sarà l'evento dell'anno. Ci pensi? Un mucchio di gente, un mucchio di roba buona, un mucchio di bei ragazzi.”
“Uff!”, sbuffò Cenerentola, “Ma io non c'ho voglia!”
“Cenerentola”, s'intromise il padre, “Guarda, che qui non è questione di averne voglia. Il Re ha ordinato -ordinato, capisci?- che ci vadano TUTTE le ragazze in età da marito. E tu a quel ballo ci devi venire, sennò son guai.”
“Ma scusa, che vuoi che ne sappia il Re quante figlie c'hai tu? Digli che ne hai due e morta lì.”
“Cenere', tu mi metti nei guai.”
“Eddai! Eddai Eddai!”, gli fecero eco le sorelle, supplici.
“Ho detto di no. E poi devo badare al mio dattero. Non ho tempo per le stupide feste”, tagliò corto Cenerentola.
Il padre e le sorelle sospirarono e andarono al ballo.
Ma non appena se ne furono andati, la ragazza corse alla pianta di datteri e pronunciò questa formula magica:
Pianta, piantina bella,
Fammi risplendere come una stella.
Okay, non è questa la formula vera. Ma il concetto è questo.Comunque la pianta si aprì e ne uscirono fuori innumerevoli fate che cominciarono a pettinarla, truccarla, addobbarla, finché non fu tutta coperta d'oro con un abito da sera sfolgorante, bella come non mai.
Allora Cenerentola andò alle scuderie, prese carrozza e cavalli e andò al ballo.
Capito? Voleva andarci da sola, non con i suoi. Furbastra.
Non appena arrivò, tutti la notarono per la sua bellezza.
“Oh, ma quella non somiglia a Cenerentola nostra?”, disse una delle sorelle.
“Per somigliare, somiglia”, rispose l'altra, “Ma Cenerentola ha detto che restava a casa. E poi nessuna di noi ce l'ha un vestito così.”
La riconobbe anche il Reuzzo, che corse da lei e le disse che finalmente l'aveva ritrovata, e poi i due ragazzi danzarono insieme tutta la notte.
Non parlarono molto, perché Cenerentola era piuttosto evasiva e sgarbata col Reuzzo.
“Come vi chiamate?”, le domandò lui.
“Col mio nome”, rispose lei.
“Dove vivete?”, domandò lui.
“A casa mia”, rispose lei.
“Voi mi fate morire!”, esclamò lui.
“Prego, fate pure!”, sbuffò lei, “Sarebbe un rompipalle in meno”, aggiunse tra sé.
Quando si fu stufata di ballare, Cenerentola prese e se ne andò.
Mi ricordo che quando ero piccola una volta scrissi così in un componimento scolastico. Il mio personaggio “prese e se ne andò”. E la maestra me lo segnò con la penna rossa perché era un'espressione “eccessivamente gergale”. Ma ora sono grande e sono finalmente libera di scriverlo! Ah!
Ma continuiamo con la storia.
Cenerentola prese e se ne andò, senza aver detto né chi era né dove abitasse. Perciò il Re chiamò alcune delle sue guardie a cavallo e ordinò loro di seguire la sua carrozza, per scoprire dove stava di casa.
Ma la ragazza, scaltra, prese una manciata di monete d'oro (rubate al babbo, presumibilmente) e le gettò per terra, così le guardie si fermarono a raccoglierle e la persero di vista. E quando tornarono a Palazzo il Re fece loro una lavata di capo coi fiocchi.
Non appena giunse a casa, Cenerentola corse dal dattero e gli disse:
Piantina, bella piantina,
Fammi tornare com'ero prima.
Le fate uscirono, la struccarono, la spogliarono e insomma, la fecero tornare la Cenerentola di tutti i giorni.Poco dopo rincasarono anche il papà e le due sorelle.
“Che ti sei persa, Cene!”, disse la maggiore, “È stato uno spasso senza precedenti. E poi c'era una gran dama tutta vestita d'oro che ti somigliava un casino. Il Reuzzo non ha fatto che sbavarle dietro tutta la notte. Troppo bello!”
“Vi siete divertite?”, sbadigliò Cenerentola, “Sono contenta per voi.”
“Domani ci vieni anche tu, vero?”, disse l'altra sorella, “Devi troppo vedere quella lì!”
“Bah, vedremo!”, rispose Cenerentola.
Ma l'indomani tirò fuori di nuovo un mucchio di scuse. E non le interessava andarci, e forse le faceva un po' male la testa. E ballare non le piaceva. E la sua pianta aveva bisogno di cure. E alla fine gli altri tre se ne andarono via mestamente, e il papà si preoccupò perché pensava che la figlia fosse un po' troppo fissata con quella stupida pianta.
Ma come la sera prima, non appena fu sola Cenerentola corse a farsi agghindare dalla pianta fatata, e poi scappò al ballo, e di nuovo suscitò scalpore con la sua bellezza e la sua eleganza.
E le sorelle più la guardavano e più avevano la sensazione che fosse proprio Cenerentola, non solo una che le assomigliava.
Di nuovo danzò col Reuzzo, e di nuovo fu assai amabile con lui.
Disse le stesse cose, non sto qui a ripeterle. Le fiabe sono così, ogni cosa va ripetuta per tre volte prima di avere effetto.
Tre è un numero magico, come dice il jingle della compagnia telefonica.
Siccome stavolta le guardie erano state ben strigliate dal Re, sapevano che non dovevano fermarsi a raccogliere le monete mentre inseguivano la misteriosa fanciulla in carrozza.
Ma quella era più furba che mai, e stavolta le monete non le lanciò per terra ma le buttò direttamente in faccia a poveruomini che furono così costretti a fermarsi, perdendola di vista e facendo arrabbiare tanto, ma tanto, il Re.
Quando tornarono, le sorelle erano su di giri.
“Tu sei sicura di non essere venuta al ballo, vero?”, le dissero.
“Io? Al ballo? Mi prendete per il culo? Io non mi sono mossa di qui!”
“Eppure guarda, che quella lì era identica a te, sputata. Uguale-uguale!”
Cenerentola fece spallucce, “Bah! Se lo dite voi!”
“Comunque tu domani vieni! Eddai, è l'ultima sera!”
“Miii, come siete noiose! Non ho voglia di ballare. Voglio starmene a casetta mia con la mia pianta, va bene? È vietato? Non mi pare.”
E così per la terza sera papà e le sorelle furono costretti ad andare al ballo senza la loro Cenerentola, e papà decise che l'indomani stesso avrebbe portato la figliola a far vedere da uno bravo, perché non gli pareva normale che una ragazza bella e in salute come lei preferisse la compagnia di una stupida pianta a un ballo pieno di musica e risate coi suoi coetanei.
E comunque quell'accidente di dattero sarebbe finito in pattumiera!
Come le altre sere, Cenerentola corse a cambiarsi e andò al ballo, di nuovo danzò col Reuzzo e di nuovo non gli diede soddisfazione, e il Reuzzo era così malato d'amore che stava per mettersi a piangere. Solo che proprio mentre ballavano il Re, che aveva visto tutto, aveva pensato bene di non correre il rischio di farla scappare e perderla per sempre. Così le mandò le sue guardie, che le dissero, anzi, le ordinarono di presentarsi al cospetto di Sua Maestà.
“Signorina”, le disse il Re quando se la trovò davanti, “A che gioco state giocando? Volete avere la bontà di dirmelo?”
“Io? Io non sto giocando a niente”, rispose Cenerentola a testa alta.
“Non cercate di fare la furba con me”, si spazientì il Re, “Io ho questo figliolo che è malato d'amore per voi, e voi non fate altro che tenerlo in sospeso, dargli corda e poi scappare. Ora io da voi voglio sapere solo una cosa. Ve lo volete sposare, sì o no?”
“Io, per me, me lo sposerei pure”, rifletté Cenerentola, “Però non posso mica decidere da sola. Ho anche un padre e due sorelle a cui dar conto.”
“E dove sono questo padre e queste sorelle? Su, interroghiamo pure loro e facciamola finita.”
Siccome risultò che erano alla festa pure loro, il Re li convocò subito.
E all'inizio il mercante si preoccupò moltissimo, perché “Quando il Re ti chiama, sono guai”*. Ma poi capì cos'era successo e tirò un sospiro di sollievo. Lui e le altre sue figlie furono felicissimi di sapere che Cenerentola avrebbe sposato il Reuzzo e le diedero la loro benedizione.
E così ci fu gran festa e tutti vissero felici e contenti.
FINE
*Antico proverbio siciliano
Conclusione
Ecco, ora a me pare di aver capito in cosa consiste la Cenerentolitudine. È il mistero di lei. Il suo nucleo è quello. Cenerentola e il principe s'incontrano, s'innamorano, ma lei non si rivela. Non gli fa capire subito chi è. Lo tiene sulla corda fino all'ultimo. E lui deve affannarsi parecchio per scoprire il suo segreto e conquistarla. La parte fondamentale della storia è il Principe che perde la testa per Cenerentola, cerca di scoprire di chi si tratti, ma lei si nasconde, scappa e si nega. E solo quando pensa di conoscerlo tanto da potersi fidare di lui, solo allora si fa infilare la scarpina, o il bracciale, o l'anello, o...
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