venerdì 2 novembre 2012

Folletti

È da tanto che non vi regalo una fiaba. Lo faccio adesso con questo racconto natalizio (ma vista l'ambietazione, mi pare perfetto per oggi) di Charles Dickens.

Folletti

In una vecchia città-abbazia, tanto e tanto tempo fa, un certo Gabriel Grubb esercitava le mansioni di becchino e scavafossi al cimitero. Era un tipo male in arnese, intrattabile e arcigno, che non frequentava nessuno a parte se stesso e una vecchia bottiglia coperta di paglia che portava in una grande e profonda tasca del panciotto.
Una vigilia di Natale, poco prima del crepuscolo, Gabriel prese in spalla il badile, accese la lanterna e si diresse verso il cimitero, perché doveva finire di scavare una tomba per l'indomani mattina. Dal momento che si sentiva piuttosto abbattuto aveva pensato che se fosse andato subito avanti col lavoro il suo umore ne avrebbe tratto giovamento.
Camminò a grandi passi finché non voltò nel buio sentiero che conduceva al cimitero, un posto delizioso, cupo e lugubre che gli abitanti del paese frequentavano soltanto di giorno, perciò non si indignò quando sentì un monello strepitare mentre cantava allegramente a proposito di un Buon Natale. Gabriel attese che il ragazzo gli si avvicinasse, poi lo picchiò in testa con la lanterna cinque o sei volte, per insegnargli a modulare la voce. Quando il ragazzo, portandosi le mani al capo, fuggì via, Gabriel Grubb si congratulò con se stesso, entrò nel cimitero e si chiuse il cancello alle spalle.
Si levò il cappotto, posò la lanterna e, dopo essere entrato in una fossa incompiuta, lavorò di buona lena per circa un'ora. Ma il terreno era indurito dal gelo e non era compito facile spezzarlo e spalarlo fuori dalla buca. In qualunque altro momento questo avrebbe avvilito parecchio Gabriel, ma adesso era così contento per aver impedito al ragazzino di cantare, che si curava poco degli scarsi risultati ottenuti quando finì il lavoro della serata, così guardò nella fossa con torva soddisfazione e mentre raccattava le sue cose mormorò:
"Alloggio elegante, alloggio elegante qualcuno avrà:
Pochi metri di fredda terra quando la vita finirà"
"Oh! Oh!", rise mettendosi a sedere su una pietra tombale piatta, uno dei suoi punti di sosta preferiti, poi estrasse la bottiglia rivestita di paglia, "Una bara per Natale! Una scatola natalizia. Oh! Oh! Oh!"
"Oh! Oh! Oh!", ripeté una voce accanto a lui.
"Era l'eco", si disse portando nuovamente la bottiglia alle labbra.
"No, non lo era!", disse una voce profonda.
Gabriel balzò in piedi e rimase inchiodato al suolo dal terrore, perché il suo sguardo si era posato su una figura che gli aveva raggelato il sangue.
Seduta su una lapide verticale, poco distante da lui, c'era una strana figura ultraterrena. Era immobile e sogghignava a Gabriel Grubb, con quel sogghigno che solo i folletti riescono a fare.
"Che cosa ci fai qui la vigilia di Natale?", disse il folletto, severo.
"Sono venuto a scavare una tomba, signore", balbettò Gabriel.
"Chi è l'uomo che si aggira tra le tombe in una notte del genere?", strillò il folletto.
"Gabriel Grubb! Gabriel Grubb!", urlò un coro selvaggio di voci che sembravano riempire il cimitero.
"Cos'hai in quella bottiglia?", disse il folletto.
"Gin olandese, signore", rispose il becchino, tremando più che mai perché l'aveva acquistato di contrabbando e pensava che chi lo interrogava potesse far parte del dipartimento sulle imposte dirette dei folletti.
"Chi è che beve gin olandese da solo, e pure in un cimitero, in una notte come questa?"
"Gabriel Grubb! Gabriel Grubb!", gridarono di nuovo le voci selvagge.
"E chi, allora, è la nostra preziosa ricompensa?", esclamò il folletto alzando la voce.
Il coro invisibile rispose: "Gabriel Grubb! Gabriel Grubb!"
"Bene, Gabriel, che ne dici di questo?", disse il folletto con un sogghigno ancora più ampio del primo.
Il becchino boccheggiò.
"Che ne pensi, Gabriel?"
"È... è molto strano, signore. Molto strano e molto grazioso", replicò il becchino, mezzo morto per lo spavento, "Ma credo che tornerò a finire il lavoro, signore, se non le dispiace"
"Lavoro!", disse il folletto, "Che lavoro?"
"La tomba, signore"
"Oh! La tomba, eh? Chi scava tombe mentre gli altri sono allegri e si divertono?"
"Ancora una volta le voci risposero: "Gabriel Grubb!" Gabriel Grubb!"
"Temo che i miei amici ti vogliano, Gabriel", disse il folletto.
"Vi prego, signore", rispose il becchino impietrito dal terrore, "Non credo che possano farlo. Non mi conoscono, signore. Non penso neppure che quei signori mi abbiano mai visto"
"Oh, ma certo che ti conoscono. Conosciamo l'uomo che ha colpito il ragazzo a causa della sua invidia maligna, perché il ragazzo era allegro e lui no."
E qui il folletto proruppe in alte, stridule risa che l'eco riportò ventuplicate.
"Te... temo di dovervi lasciare, signori", disse il becchino, sforzandosi di muoversi.
"Lasciarci?", disse il folletto, "Oh! Oh! Oh!"
E mentre rideva, il folletto balzò improvvisamente verso Gabriel, gli mise le mani al collo e sprofondò con lui nella terra. Quando Gabriel riuscì a riprendere fiato si accorse di trovarsi in quella che sembrava una grande caverna, circondato dappertutto da folletti brutti e torvi.
"E ora", disse il re dei folletti, il suo amico del cimitero, assiso su uno scranno elevato al centro della sala, "mostrate a quest'uomo infelice e malinconico qualche immagine dai nostri grandi depositi."
Mentre il folletto parlava, una nuvola si era allontanata gradualmente, tra volute e viluppi, svelando un appartamento piccolo e arredato poveramente, ma pulito. Alcuni bambini erano radunati attorno a un fuoco luminoso, aggrappati alle gonne della mamma o intenti a fare capriole attorno alla sua sedia. Sul tavolo era apparecchiato un pasto frugale e accanto al fuoco c'era sistemata una seggiola coi braccioli. Presto arrivò il padre e i bambini corsero ad accoglierlo. Si mise a mangiare e la madre si sedette accanto a lui, e tutto sembrava sereno e pieno di felicità.
"Che ne pensi?", chiese il folletto.
Gabriel borbottò qualcosa a proposito dell'essere molto grazioso.
"Mostrategliene altre", disse il folletto.
Molte volte la nuvola sparì e tornò, e molte furono le lezioni che insegnò a Gabriel. Vide che gli uomini che lavoravano duro per guadagnarsi umilmente il pane erano allegri e felici. Giunse alla conclusione che, dopotutto, era un mondo in cui valeva la pena vivere. Non appena formulò questo pensiero la nuvola che si stava chiudendo sull'ultima immagine sembrò riversarsi sui suoi sensi e, cullandolo, lo portò alla quiete. Uno alla volta, i folletti svanirono e quando anche l'ultimo fu scomparso, Gabriel si addormentò.
Il sole era già spuntato, quando si svegliò. Era disteso sulla lapide piatta e accanto a lui c'era la bottiglia, vuota. A fatica si mise in piedi, scosse via la brina dal cappotto e si volse a guardare la città.
Ma ormai era un altro uomo e aveva imparato la lezione di gentilezza e bontà in quella strana avventura nella caverna dei folletti.

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