Ecco la terza parte: l'incontro.
La prima, la storia di Giulietta, la trovate qui.
La seconda, la storia di Romeo, la trovate qui.
Buona lettura
Un ballo in maschera
“Che razza d'idea, organizzare un ballo in maschera a tema horror per la festa di Natale della scuola”, disse la Vecchia Zia Giulietta uscendo dall'auto.
I suoi scarpini neri affondarono nella neve.
Candidi fiocchi le si posarono sul mantello e sui capelli.
“Speriamo bene”, disse, “Il mio macinino è vecchio, non so se sopporterà questa nevicata.”
“Non è ora di cambiare, zia?”, disse Jessica rabbrividendo, “Quella macchina è più vecchia di te.”
“Appunto per questo, porta rispetto”, rispose Giulietta, “E poi si chiama Giulietta come me. Con che cuore potrei farla rottamare?”
Le due ragazze, la più giovane e la meno giovane, si avviarono verso la scuola, dove si sarebbe tenuta la festa.
“L'horror si porta, zi'”, sbuffò Jessica a mo' di spiegazione, “Un sacco di gente adesso va dietro ai vampiri, anche se non ha la più pallida idea di cosa siano.”
“E tu invece lo sai?”
“Certo che lo so”, rispose Jessica, scandalizzata, “Che razza di domande!”
“Ammazza, si sono messi d'impegno”, esclamò Lorenzo entrando nella grande sala della scuola, che era stata trasformata in un castello di vampiri.
“Già, già, hanno fatto un bel lavoretto”.
Romeo si guardò intorno. Le feste gli piacevano. Non quelle scolastiche, in particolare, ma anche queste erano meglio di niente.
“La musica è strana, però.”
“Già. È una quadriglia. Roba vecchia.”
“Roba dei tuoi tempi?”
Romeo scoppiò a ridere. “D'accordo che sono tuo nonno, ma quanto pensi sia vecchio? Questa è roba di centinaia d'anni fa.”
“Ma tu la sai ballare, però, vero?”
“Un po'. L'ho imparato da bambino.”
“Fammi vedere, allora.”
Romeo rise ancora, poi sì buttò in pista.
Come ballerino di danze antiche se la cavava decisamente meglio di chiunque altro, perché i balli di gruppo erano da sempre una delle sue passioni, anche se ora i balli di gruppo non li pratica più nessuno: è già tanto quando si balla in due!
Ma non era l'unico che sapeva muoversi discretamente.
Una signora, con un lungo strascico vampiresco e gli occhi artisticamente cerchiati di un viola tenue, si muoveva con rara maestria.
Si ritrovarono perciò ben presto a danzare insieme, occhi negli occhi, palmo contro palmo.
Giulietta, poiché era lei la misteriosa danzatrice, si sentì improvvisamente, e immotivatamente, emozionata per l'intimità di quel contatto con uno sconosciuto.
Le scappò un sorriso, e l'uomo le sorrise a sua volta. Un sorriso aperto, che gli illuminava tutto il volto e non solo le labbra.
“Danzate molto bene, madame.”
“Anche voi, monsieur”, rispose lei adattandosi a quel linguaggio un po' antiquato, “Non credevo qualcuno sapesse ancora fare queste danze.”
“Bisogna aver passione, per imparare le cose. Perfino quelle che non si usano più.”
“Io la imparai perché la vidi in un vecchio film, da ragazzina. Quanto mi fece sognare quel film.”
“Quando si è tanto giovani è facile sognare.”
“Ma anche svegliarsi, certe volte, non è male.”
Romeo sorrise ancora. Chi sa chi era quella signora con quel bel sorriso e quel passo elegante?
Poco distante Lorenzo vide Jessica e la salutò. I due erano stati insieme tre mesi prima, una cosa breve, ormai avevano già fatto in tempo a pentirsene.
“Oh, vedo che sei ancora emo.”
“Non sono emo, sono dark”, sibilò Jessica, risentita, masticando un chewing gum, “Che ignorante!”
Lorenzo la squadrò, dubbioso. “A me sembra la stessa cosa. Sei tutta vestita di nero e ti metti quel trucco lugubre, no?”
“Perché sei un ignorante, te l'ho detto”, disse Jessica con disprezzo.
Lorenzo fece spallucce e pensò fosse meglio cambiare argomento. “Ehi, hai visto? Mio nonno s'è fatto la ragazza.”
Jessica parve più che scandalizzata. Era addirittura offesa. “Ma che ragazza e ragazza? Quella è mia zia Giulietta!”
“Embè?”, Lorenzo si mise sulla difensiva, “E allora? Siccome è tua zia, mio nonno non ci può provare con lei?”
“Ma sei un porco!”, si ribellò Jessica, “Come ti permetti di dire queste cose di mia zia? E poi all'età loro che vuoi che abbiano da provarci?”
“Guarda, che non sono così vecchi da essere usciti dai giochi”, Lorenzo sorrise, ambiguo, “Non lo vedi come si guardano? Quei due si piacciono, credi a me. E per mio nonno, mille volte meglio se si mettesse con tua zia che con quella specie di”, e qui disse una parolaccia che non mi va di ripetere, “di Rosalina.”
Anche Rosalina era al ballo. Indossava un abito nero attillato e scollato, aveva labbra rosso sangue ed era decisamente sexy. Forse un po' troppo, per una festa scolastica. Aveva cercato di far ingelosire Romeo facendo la carina con altri uomini, ma poi lui aveva cominciato a danzare e lei l'aveva perso di vista. Ora si era messa a cercarlo, perché che senso ha civettare in giro se quello che vuoi fare ingelosire non è lì per vederti, e per struggersi dalla gelosia?
Poi lo vide che danzava con una donna decisamente più anziana di lei. Si guardavano negli occhi, si sorridevano come due ragazzini alla prima cotta, ogni tanto ridacchiavano, e spesso danzavano tenendosi per mano, palmo contro palmo, in un gesto che trasudava intimità.
“Ma che ridicoli!”, disse Rosalina con disprezzo. Poi si accorse che le cose le stavano sfuggendo di mano. Si presupponeva che fosse Romeo a soffrire di gelosia per lei, non il contrario. Quei due le stavano rovinando il gioco.
“Che caldo”, disse a un certo punto Giulietta, quando le danze vecchio stile terminarono.
“Andiamo in terrazza a prendere una boccata d'aria?”, propose Romeo.
“Ma fuori si gela. Nevica.”
“Anche meglio. Vedrai che bel panorama.”
Uscirono.
Romeo aveva ragione.
Tutta la città si stendeva ai loro piedi, candida di neve, e i fiocchi che scendevano lentamente sembravano trasformare tutto in uno scenario da fiaba.
Romeo guardò Giulietta, vide i suoi occhi luminosi, il suo sorriso aperto.
Qualche fiocco di neve le si era posato sui capelli.
Lui allungò una mano per spazzolarli via e le sfiorò le tempie con le dita.
Prima ancora di poterci pensare, si chinò verso di lei e la baciò sulle labbra.
CRASH!
Il rumore improvviso li fece staccare bruscamente.
Entrambi arrossirono, imbarazzati. Alla loro età, pensarono, mettersi a pomiciare di nascosto come due ragazzini...
“Be'”, disse Giulietta, “Forse è il caso di rientrare.”
“Già”, concordò Romeo, senza osare guardarla negli occhi, e dalla bocca gli sfuggì una nuvoletta di vapore, “comincia a far freddo.”
Non si erano accorti che il rumore che li aveva interrotti era stato provocato da un bicchiere. Un bicchiere che era caduto in terra e si era infranto. Un bicchiere che era caduto dalle mani di Rosalina, che aveva visto Romeo baciare Giulietta e aveva deciso che l'uomo gliel'avrebbe pagata. Oh, se gliel'avrebbe pagata!
“Be', vedo che ti sei divertita”, disse Jessica, ironica, quando zia Giulietta la raggiunse.
“Sì”, rispose Giulietta con un piccolo moto d'orgoglio, “Non me l'aspettavo. Ero venuta solo per accompagnare te e invece...”
“E invece io ho fatto da tappezzeria e tu hai ballato tutta la notte, come le principesse delle fiabe. E brava zia Giù!”
“Be', ma potevi ballare anche tu. Chi te lo vietava?”
Jessica sospirò, come faceva sempre quando qualcuno diceva qualcosa di assurdo del genere, “Zietta, io sono dark. I dark non ballano.”
“Ah, già”, Giulietta fece finta di ricordare, “potreste pestare i piedi al partner, con quegli anfibi che portate.”
Jessica scosse la testa, sconsolata.
“Comunque”, riprese la zia, “Sai chi era quel signore con cui ho ballato? Pare assurdo, ma anche se abbiamo... ehm... chiacchierato tanto, non ci siamo presentati.”
“Quello? È Romeo Montecchi, il mio profio di lettere.”
“Lettere, eh? È simpatico.”
“E come no? È simpatico come un brufolo sul cu...”
“Jessica!”
“Sul sedere. Ok?”
“No. Ma un po' meglio.”
Intanto Rosalina aveva appena incominciato a farla pagare a Romeo. Non gli aveva fatto una partaccia, come aveva pensato di fare all'inizio, perché non voleva che lui la considerasse gelosa. Non si sarebbe mai abbassata a tanto: i deboli sono gelosi, e lei era tutto fuorché debole.
Però si fece vedere da lui mentre un avvocato di fama, zio di uno studente ricco, la corteggiava sfacciatamente. E poi se ne andò con lui.
Romeo, sorprendendo se stesso, non provò la fitta di gelosia che si aspettava.
“Dimmi un po'”, disse a Lorenzo, “ma quella con cui hai parlato tutta la sera non è la tua ragazza, Jessica...”
“Jessica Capuleti”, completò Lorenzo, sbuffando, “E non è più la mia ragazza.”
“Ah, no? Peccato. È fra le mie alunne migliori, anche se è un po' bizzarra, certe volte. E com'è che non state più insieme?”
Lorenzo fece spallucce e sbuffò. “Boh? Non mi piacciono gli emo!”
“Ma lei non è emo, è dark”, Lorenzo gli lanciò un'occhiataccia, “A proposito, sai come si chiama quella simpatica signora che l'ha accompagnata?”
“È sua zia Gioietta, o Giulietta, o una cosa del genere. E poi hai passato tutta la sera con lei e non le hai chiesto come si chiama?”
“Che ci vuoi fare? Alla mia età capita di dimenticarsi le cose...”
“Lo sapevo. Non parte.”
La Vecchia Giulietta (l'automobile, non la donna) sputacchiò ancora, poi si spense inesorabilmente.
“Problemi, signore?”
Un volto gioviale si affacciò ai finestrini incrostati di ghiaccio. Era quello del professor Montecchi.
“Eh, sì!”, esclamò la Vecchia Giulietta (la donna, non l'automobile), sollevata e anche felice di rivederlo così presto, “Temo sia la batteria. Ha preso troppo freddo.”
Jessica si voltò a guardare la zia, sgranando gli occhi: alla debole luce dei lampioni era difficile dirlo, ma le pareva che Giulietta avesse le gote particolarmente arrossate. Era il freddo? Erano tutti i calici di prosecco che aveva bevuto? O era qualcos'altro?
“Be', se per voi non è un problema”, stava intanto dicendo l'uomo, “Possiamo darvi noi un passaggio fino a casa.”
“Ma certo, grazie mille!”, esclamò Giulietta afferrando la borsa e uscendo dall'auto senza neppure interpellare Jessica.
La ragazza le lanciò uno sguardo contrariato. Poi, senza mai smettere di masticare il suo chewing gum, sbarcò dall'auto con studiata lentezza e seguì la zia nell'altra macchina strascicando gli anfibi nella neve. Salì sul retro dell'auto del prof., facendo attenzione a non star troppo vicino a Lorenzo.
“Ci si rivede presto, eh?”, disse ironico il ragazzo.
“Pure troppo”, rispose Jessica, scontrosa. Poi puntò lo sguardo fuori dal finestrino e si finse estremamente interessata ai fiocchi di neve. E la conversazione tra i due morì sul nascere.
Romeo accompagnò a casa Giulietta e Jessica, che abitava nello stesso palazzo della zia, poi andò a riportare Lorenzo all'ovile, quindi tornò verso casa propria, fischiettando allegramente la musica sulle cui note aveva danzato tutta la sera.
Andava piano, perché la strada era gelata e lui non aveva ancora montato le catene.
Il percorso lo riportò davanti alla casa di Giulietta. Lo sguardo gli volò verso un balconcino del secondo piano. La portafinestra era illuminata, e sul terrazzino c'era qualcuno. Ma sì, era Giulietta.
Romeo si sentì sollevato nel vederla. “Quello è l'oriente”, pensò, “e Giulietta è il sole che sorge per illuminare il mio mondo.”
Parcheggiò e scese dall'auto. Sarebbe stato bello scambiare ancora due chiacchiere con quella donna straordinaria.
Si avvicinò, il suono dei suoi passi attutito dalla neve, e si accorse che la donna stava mormorando qualcosa.
Giulietta si era già struccata e cambiata, ora era in camicia da notte e vestaglia. Era uscita perché temeva che il freddo potesse gelare le sue piantine, e prima di addormentarsi voleva controllare che fossero ben coperte sotto i teli di plastica. Il suo balcone era piccolo ma rigoglioso, e lei ne andava fiera.
Guardò in alto, verso il cielo denso di nuvole da neve, con quelle sfumature giallastre e quel profumo inconfondibile, e ripensò alla serata appena trascorsa.
Da quanto non si divertiva così? Quanti anni fa aveva ballato per l'ultima volta?
E tutto grazie a quel Romeo.
“Romeo”, pronunciò ad alta voce. Che suono dolce aveva quel nome. Dirlo ad alta voce era come renderlo più reale, prima che il sonno sbiadisse i ricordi e li ricacciasse lontano. Prima che il presente di oggi divenisse il passato di ieri.
“Romeo”, ripeté ancora Giulietta, “Romeo. Romeo. Ah, perché sei tu Romeo?”
Romeo sussultò. Sentire il proprio nome sulle labbra di Giulietta era una gioia. Un piacere. Un brivido lungo la schiena.
“Se il mio nome non è di vostro gradimento, mia signora”, disse uscendo dall'ombra, “posso anche cambiarlo, solo per farvi piacere.”
Giulietta sussultò: non si aspettava che qualcuno la stesse ascoltando. Soprattutto non si aspettava che proprio lui la stesse ascoltando.
Si affacciò al balcone e vide l'uomo che le sorrideva nella pozza gialla di luce lanciata dal lampione sulla neve, il mantello nero che si stagliava sulla macchia di luce. Più che un vampiro sembrava un gentiluomo d'altri tempi. Il protagonista di “Vecchio frac”, la canzone di Domenico Modugno.
Avrebbe voluto rimangiarsi tutto, ma ormai era tardi. “Che fai?”, disse invece, “Mi spii?”
Romeo rise. “Certo che no. Ma mi era sembrato di sentire il mio nome, e perciò...”
“Ohimè, non posso negarlo!”, sospirò Giulietta, “Sali, dai, che lì ti bagni tutto.”
“Agli ordini, mia signora!”, rise Romeo. E in un batter d'occhio fu su.
“Spuntino di mezzanotte?”, propose Giulietta aprendogli la porta.
“Volentieri. Cos'hai?”
“Pane, prosciutto, formaggio, una bottiglia di prosecco e un pandoro.”
“Vada per il prosecco e il pandoro. Fa molto atmosfera natalizia, no?”
Si accomodarono nella cucina accogliente di Giulietta e mangiarono, chiacchierarono, e brindarono ancora.
“Tu vivi da sola?”, le domandò Romeo.
“No, vivo con mio padre. Ma in questi giorni lui è da suo fratello minore, giù in paese, e quindi sì. Adesso sono da sola. Ancora per poco, però. Per Natale mi aspetto che questa casa sia piena di gente e di confusione.”
“Verranno tutti da te?”
“Certo? Chi altri si accollerebbe l'organizzazione delle feste natalizie se non la Vecchia Zia Giulietta?”
“Tu non sei mica vecchia.”
“Oh, è solo un soprannome. Uno scherzo.”
“Non sei vecchia neanche per scherzo.”
Giulietta sorrise, imbarazzata. Perché certe volte si sentiva vecchia per davvero. E le capitava da quando aveva vent'anni.
Romeo inclinò la testa da un lato. “E io ti sembro vecchio?”
“Tu? Oh, no. Tu non devi essere mai stato vecchio... voglio dire... probabilmente non lo sarai mai.”
“Giulietta!”, esclamò Romeo. Poi le si avvicinò e la baciò.
Giulietta chiuse gli occhi e per un istante volle crederci. Ma poi qualcosa in fondo alla sua testa disse di no, e lei divincolandosi disse di no.
“No, non si può.”
“E perché no?”
“Ma Romeo... alla nostra età? Che brutto esempio saremmo per i nostri nipoti?”
“Non vedo come della tenerezza e dell'affetto possano essere un brutto esempio.”
“Ma siamo ridicoli. Non siamo più dei ragazzini.”
“Appunto. Siamo adulti. Possiamo capire quel che facciamo. Siamo consapevoli.”
“Consapevoli e ridicoli.”
“Cosa c'è di ridicolo in due persone che si piacciono?”
“Niente, però...”
“Però?”
“La gente parlerà.”
“E tu lasciala parlare. È per questo che ha la bocca, no?”
Giulietta sospirò, e annuì.
E poi si baciarono allora.
E poi volarono in camera di Giulietta.
E Giulietta sentì sul suo corpo le mani di Romeo, e capì che erano molto meglio di quelle di Tebaldo di tanti anni prima, perché anche se la toccavano negli stessi punti lei ora provava solo gioia, e non vergogna o imbarazzo.
E Romeo la spogliò lentamente, e nel guardarla vide che il corpo di Giulietta non era sodo e giovane come quello di Rosalina, ma era sicuramente molto più caldo e appassionato, e gli sembrò la cosa più bella che avesse mai avuto fra le braccia in tutta la sua vita.
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