martedì 4 dicembre 2012

La principessa senza mani - una storia coraggiosa

Non è solo dal drago che la principessa deve liberarsi,
ma anche dalla necessità di farsi liberare dagli altri.  

La solidarietà femminile non è un argomento molto popolare nelle fiabe. È un mondo strano, in cui le donne sono quasi sempre rivali tra loro, quasi mai amiche. Perfino quelle che partono volendosi bene possono finire col diventare acerrime nemiche non appena tra loro si mettono in mezzo desideri, qualità e invidiabili fortune, ma soprattutto sposi ricchi e potenti. Madri contro figlie, sorelle l'una contro l'altra, suocere e nuore e così via. In un mondo in cui le donne non hanno alcun potere se non quello di conquistare un principe o un re o semplicemente un buon partito, la concorrenza si fa sentire violenta e spietata, e non ci si può fidare di nessuno, neanche della propria madre.
Roba da fiabe, solo roba da fiabe...
Unici casi di donne che aiutano altre donne sono le fate. Possono essere fate madrine, spesso stordite, o fate generose. Poi ci sono le fate bastarde. Sono le migliori, secondo me. Sono quelle che invece di risolvere il problema della principessa di turno con un incantesimo, la spingono a scoprire e usare le proprie capacità nascoste. La fata bastarda sembra non voler aiutare la poveretta, ma invece è quella che le fa del bene più di chiunque altro. La fata bastarda è quella che va dalla principessa e le dice: “Ma che stai qui ad aspettare il Principe Azzurro? Ma lo sai che quel drago che ti tiene prigioniera tu te lo puoi fare grigliato quando vuoi? Allora forza, tira fuori le... unghie!”
La figura della principessa senza mani è abbastanza diffusa nelle fiabe. Ovviamente la cosa va interpretata in chiave simbolica, come accade spesso per le fiabe: le mani perse e ritrovate stanno a rappresentare le qualità, le risorse, le doti della principessa. Quelle che lei forse neanche sapeva di avere e che la fata le fa trovare. Anche a calci, se necessario.

Olivia, la principessa manomozza

C'era una volta una principessa di nome Olivia. Il nome è irrilevante, non importa se si chiamava Olivia oppure no. In realtà non importa neppure se fosse una principessa o no. Era una bella ragazza, questo è certo.
Ora, come prima cosa, dovrei spiegarvi come ha fatto a venirsi a trovare in quell'incresciosa situazione in cui si trovò: senza mani e abbandonata in un bosco. In tutte le storie di questo tipo che ho letto le spiegazioni sono piuttosto razziste, e non mi va di usarle.
Ne darò una versione più neutra, per così dire.
Olivia era figlia di un padre vedovo, e questo padre era un uomo molto arido, senza cuore, irascibile, crudele, che non provava minimamente affetto per la figlia.
Forse perché non se n'era mai occupato personalmente, ma aveva sempre affidato la sua cura ad altri e per lui era quasi un'estranea.
Un giorno Olivia, per un motivo qualsiasi, fece infuriare il padre, così questo le mozzò le mani e la portò a sperdere in un bosco.
E così la troviamo noi, abbandonata, disperata e incapace di aiutarsi.
Vagò a lungo, disperata, senza sapere cosa fare. E alla fine giunse nei pressi di un bellissimo giardino, dove c'era un pero carico di frutti maturi e appetitosi. Nel vederli Olivia si accorse di essere affamata. Ma senza mani non poteva cogliere le pere! Era dunque destinata a patire la fame?
Al solo pensiero le venne da piangere. Oh, poverina! Era una visione da far pietà. Perfino una roccia si sarebbe commossa. Be', non proprio una roccia, ma almeno un albero... il pero, infatti, abbassò un ramo in modo da portarle i sui frutti a portata di bocca, così Olivia poté mangiare a sazietà anche senza aiutarsi con le mani.
La cosa andò avanti per un po'. Di notte Olivia trovava rifugio in una grotta, e di giorno andava a mangiare le pere dall'albero.
Ora si dava il caso che quello fosse il giardino del Re, e che quelle pere fossero d'una varietà assai pregiata. Il giardiniere si accorse che c'era qualcosa che non andava e corse ad avvertire il Re, dicendogli che c'era uno strano animale che rosicchiava le pere lasciando su solamente i torsoli e che lui non capiva che potesse essere.
Così il giorno seguente il Re decise di scoprire quale bestia gli rubasse le pere e si appostò accanto all'albero. In questo modo poté assistere allo strano fenomeno dell'albero generoso che aiutava la povera fanciulla senza mani.
Si commosse anche il Re, che uscì dal suo nascondiglio e si fece raccontare da Olivia la sua storia.
E quando l'ebbe conosciuta, fu commosso al punto che decise di ospitare la ragazza al castello.
Il Re e Olivia legarono subito, e ben presto s'innamorarono e si sposarono.
Questa cosa non andò per niente giù alla Regina Madre del Re.
“Non c'era niente di male a ospitarla a palazzo”, disse questa, “Ma tu non puoi sposare una che non sai neppure da dove venga. Sei il re di questo paese, hai dei doveri, e uno di questi doveri è assicurarti una discendenza degna.”
Ma il Re non volle sentir ragioni perché era innamoratissimo di Olivia, perciò la sposò lo stesso. E la Regina Madre per ripicca andò a chiudersi in convento.
I due sposi erano felicissimi assieme, ma poi un brutto giorno al Re capitò una guerra che lo costrinse a partire.
Si dice così: “gli capitò una guerra”. Come fosse una disgrazia che coglie solo lui.
Comunque, a lui capitò e dovette partire. E Olivia, che era incinta, rimase da sola al castello. Da sola con uno stuolo di servi, ovviamente!
Quando fu il momento giusto, Olivia diede alla luce due gemelli, e allora successe una cosa strana e sospetta: la Regina Madre tornò a palazzo. Ufficialmente per aiutare la nuora coi bambini. In realtà era una scusa, perché alla Regina Madre i due figli di Olivia come eredi al trono andavano giù ancora meno che Olivia come regina. Perciò un bel giorno prese la nuora, la portò nel bosco, le piazzò tra le braccia i due bimbi e le disse così, papale papale:
“Vattene, sparisci e non farti più vedere. Una come te non può starci sul trono. Tornatene all'inferno o da qualunque posto tu sia arrivata e lasciaci in pace.”
Poi se ne ritornò al castello, fece fare tre statue di cera a dimensioni naturali di Olivia e dei bambini, e disse a tutti che la Regina e i principini erano morti. Organizzò i funerali, mettendo nelle bare le bambole di cera, e fu una cerimonia veramente commovente. Tutto il regno vi partecipò commosso e portò fiori sulla tomba monumentale eretta per l'occasione.
Intanto Olivia aveva preso a vagare per il bosco, disperata, coi suoi bambini che cominciavano ad agitarsi perché avevano fame e sete. E anche lei era assetata.
Giunse così a un torrente, e qui vide una donna che attingeva acqua. O faceva il bucato. O era impegnata in una qualunque altra attività si possa fare accanto a un torrente.
La donna sembrava una contadina, ma in realtà era una fata.
È così che funziona con le fate. Sembrano gente assolutamente comune, e a noi appaiono come persone qualunque, banalissime, tranne che poi fanno qualcosa che in seguito ci porta a dire “Ehi, ma quella era una fata!”
Era così anche stavolta, Olivia non l'avrebbe neppure notata se non fosse stato per il fatto che aveva bisogno di lei.
“Scusate, signora”, disse, “io e i miei bambini abbiamo tanta sete. Potete aiutarci a bere, per favore?”
La donna si voltò, la squadrò con sguardo impassibile e imperscrutabile, poi disse brusca: “E perché, non sei capace di bere da sola?”
Olivia rimase allibita. Mai prima d'allora aveva ricevuto risposte simili. No, dico, perfino un albero (un albero!) si era commosso e l'aveva aiutata, e adesso questa contadina si rifiutava di farlo?
“Ma io non ho le mani!”, protestò Olivia, “Come faccio a riempirmi la brocca?”
“Non puoi riempirtela? E non te la riempire. Inginocchiati e lappa dal torrente”, disse la donna. Poi tornò a fare quel che stava facendo e ignorò la ragazza.
Non c'era niente da fare, così Olivia, barcollando, si mise in ginocchio tenendo i bimbi in bilico sulle braccia, uno da una parte e uno dall'altra. Ma i piccini si agitavano, così quando lei si chinò per bere quelli le scapparono giù e caddero in acqua.
SPLASH!
“Aiuto, aiuto!”, strillò terrorizzata Olivia, “Affogano! Signora, aiutatemi, ve ne prego! Salvate i miei bambini!”
La donna rimase imperturbabile. “Perché, non puoi salvarli tu?”, domandò.
“Ma io non ho le mani!!! Come diavolo faccio?”, strillò Olivia, che si sentiva prossima a una crisi isterica.
“Provaci! Tuffa in acqua i moncherini!”, disse severa la donna. Poi aggiunse, con più dolcezza: “Coraggio!”
Accecata da lacrime di rabbia e di disperazione, Olivia tuffò i moncherini in acqua e... le mani le ricrebbero. Proprio così. Però lei non aveva tempo per stupirsene, perché doveva salvare i suoi bambini. Non appena li ebbe acchiappati li abbracciò così forte da lasciargli i lividi, e solo allora si accorse che aveva di nuovo le mani. E in quel momento si accorse anche che la donna non era una contadina, ma una fata, e che anche se non sembrava in realtà l'aveva aiutata moltissimo, perché l'aveva costretta ad agire. Si voltò per ringraziarla, ma la donna non c'era più.
Tipico delle fate.
Quella che si era avvicinata al torrente era una principessa che si credeva fragile e bisognosa d'aiuto, che otteneva le cose piangendo e cercando di suscitare compassione. Quella che si allontanò dal torrente era una donna adulta che aveva trovato tutta la propria energia e il proprio spirito d'iniziativa, indipendente, autonoma, determinata e forte. Una vera donna emancipata. Per questo non cominciò a vagare piangendo disperata, non andò da qualcuno a chiedere aiuto, invece si trovò una casa dove si sistemò assieme ai bambini, e con le proprie nuove energie riuscì a reinventarsi una vita. I bambini crebbero forti e belli, e anche se non erano ricchi non gli mancava nulla: erano una famigliola felice.
Torniamo al castello. Quando il Re tornò e seppe della morte di Olivia e dei bambini si sentì travolgere, schiantare, devastare dal dolore.
Invano la Regina Madre cercò di rallegrarlo. O di fargli trovare una nuova sposa.
“Guarda questa”, diceva sfogliando il catalogo delle principesse da marito, “con quelle poppe sarebbe in grado di allattare almeno quattro marmocchi per volta. Che ne dici, la vuoi? O quest'altra... c'è scritto che è un'ottima ballerina. A te è sempre piaciuto ballare. Non vorresti sposarla? E questa qui... sì, non è un gran che, ma suo padre è un re importante che conviene farsi amico.”
Ma il Re scuoteva mestamente la testa e diceva triste: “Io senza Olivia non so starci!”
Passarono sei anni.
Capitò così che un giorno, mentre girovagava per il suo regno, il Re giungesse in una zona che non conosceva e si perse. Qui vide una bella casetta con un giardino, e nel giardino giocavano due bambini che somigliavano un po' a lui da piccolo.
Bussò alla porta e andò ad aprirgli una donna.
Questa donna era Olivia, che lo riconobbe subito.
“Scusate, signora, ma mi sono perso. Potete indicarmi la strada per il castello?”, domandò il Re.
“Certo, Maestà”, rispose la donna, “Ma è tardi e stavo per servire la cena. Perché non vi fermate de noi? Potrete partire con comodo domattina.”
Ora, non dovete pensare che il Re fosse tanto cretino o sbadato da non riconoscere la sua sposa. Ma dovete calcolare che lui sapeva che Olivia era morta, e non aveva motivo di sospettare che ciò non fosse vero. Diamine, tutto il regno era stato al suo funerale e l'aveva vista nella bara! E poi questa aveva le mani, e Olivia no, e da che mondo e mondo le mani non ricrescono come le code delle lucertole. E in ogni caso, in quei sei anni Olivia, mani a parte, era davvero cambiata parecchio.
Perciò lui pensò che questa donna somigliasse moltissimo a sua moglie, ma che per ovvi motivi non potesse essere lei.
Ma si fermò volentieri a cenare con lei, e chiacchierò piacevolmente.
“Voi siete sposata?”, le chiese.
La donna parve riflettere. “Sono vedova”, rispose infine.
“Anch'io”, disse il Re.
Quando la cena fu terminata, Olivia prese da parte i bambini e disse loro: “Prima di andare a dormire chiedetemi una storia. Io vi dirò di no, vi minaccerò anche di darvi un paio di sberle, ma farò per finta, non vi preoccupate. Voi dovete insistere. Capito?”
“Sì, mamma”, risposero i bimbi, tutti contenti di partecipare a un segreto della mamma.
Perciò quando la donna sparecchiò la tavola e fece per mandare i bimbi a letto, questi le si attaccarono alla gonnella.
“Raccontaci una storia! Raccontaci una storia!”, piagnucolarono.
“No, bambini, non si può e poi non vorremo dar fastidio a questo signore, che tra l'altro è pure il nostro Re, no?”
“Raccontaci una storia! Raccontaci una storia!”
“Ho detto di no. E se non la piantate vi mollo due sberle!”
“Ma no, signora”, intervenne il Re, “non siate severa coi bambini. Se vogliono una storia, raccontategliela.”
E così Olivia cominciò a raccontare, e raccontò la sua storia, dalla nascita a quando venne abbandonata nel bosco con le mani tagliate, e poi il pero generoso, l'incontro col Re, il loro amore, la nascita dei gemelli, il tradimento della Regina Madre, la fata scorbutica che l'aiutò a ritrovare le mani, fino a quel momento in cui si trovava in quella capanna a raccontare la sua storia al Re.
In un libro fantasy a questo punto avrebbe dovuto anche raccontare di quando incominciava il racconto a partire dalla sua nascita eccetera, e si sarebbe finiti in un loop senza inizio né fine. Ma questo non è un libro fantasy, per fortuna, perciò giunta alla fine, Olivia si fermò.
Anche perché il Re le si era buttato ai piedi, in ginocchio, e le stava baciando il lembo della veste, piangendo calde lacrime di disperazione e di speranza assieme. Disperazione per essersi perso per tanti anni sua moglie, e l'infanzia dei suoi bambini. Speranza per averli ritrovati. Disperazione per il tradimento della madre. Speranza, perché sapeva che non avrebbe più perso gli amori della sua vita.
Ma come tutti i Re, era impetuoso e spesso parlava e agiva prima ancora di riflettere.
“Sarai vendicata!”, esclamò battendosi il petto, “Mia madre verrà giustiziata sulla pubblica piazza!”
“Alt, frena”, lo fermò Olivia, “Lascia stare. Perdonala. È tua madre, in fondo, portale un po' di rispetto. E poi lei non ha agito così per capriccio o interesse personale, ma solo per amor tuo e del reame. In fondo la capisco. Non voleva mettere sul trono un'estranea che, per quanto ne sapeva, poteva pure essere una spia del regno nemico.”
Vedete? Olivia era maturata così tanto che non sembrava neanche più la principessa di una fiaba.
Sarà per questo che su di lei non ci faranno mai un lungometraggio animato.
La famigliola l'indomani fece armi e bagagli e andò al castello.
La Regina Madre se ne stava nel suo studio, quando il figliolo entrò con un sorriso esagerato e tiratissimo.
“Mamma”, disse, “mi racconti ancora di come andò il funerale di mia moglie?”
La Regina Madre, che stava controllando dei conti, abbassò gli occhialini a mezzaluna e lo guardò di sbieco, quasi stanca. “Che vuoi che ti dica? È stata una cerimonia commovente. La cattedrale era gremita. Tutto il popolo era commosso. Ma lo sai, te l'ho raccontato mille volte.”
“Già, già. E perciò tu sei sicura che Olivia e i bambini fossero morti?”
“Che domande mi fai? Ma certo che erano morti. Non vorrai mica insinuare che siano stati sepolti vivi?”
“No, ma potreste aver seppellito qualcos'altro. Tre statue di cera, per esempio.”
La Regina avvampò, perché era convinta che questo dettaglio non lo sapesse nessuno. Ma certo, in realtà lo sapeva l'uomo che aveva modellato le statue. Magari aveva parlato. “Che intendi?”, borbottò la donna.
“Basta commedie, mamma. Ho scoperto il tuo inganno. Olivia, entra pure.”
La porta si aprì ed entrò Olivia, tenendo i gemelli per mano.
"Come me lo spieghi, questo?", disse il Re.
La Regina Madre ammutolì e non spiegò niente. Poi sbiancò. Poi arrossì. Poi si alzò e se ne andò testa alta. Tornò a chiudersi in convento e disse che da allora in poi di quel che capitava al regno non gliene importava più.
E da quel momento il Re e Olivia vissero per sempre felici e contenti. Soprattutto Olivia, che ormai sapeva di valere più di quanto credessero gli altri.

1 commento:

Iv ha detto...

Bellissima! Finalmente una protagonista in gamba, che in barba a tutti impara ad essere forte e saggia e a mandare avanti la famiglia da sé!
Ci voleva proprio! Peccato per il lungometraggio irrealizzabile, però magari con una regista tosta, chissà...