sabato 27 ottobre 2012

Amore (non) vuol dir gelosia

Quando avevo quindici anni c'era una mia compagna di scuola, che per brevità e per rispetto della privacy chiameremo E, che frequentavo spesso perché per tornare a casa facevamo la stessa strada. Lei si fermava prima, io proseguivo ancora per un bel po', ma il primo tratto era comune per entrambe.
E era fidanzata con D. Era fidanzata “in casa”, come si diceva allora, e forse si dice anche adesso da qualche parte. Questo voleva dire che era una cosa ufficiale: lui le aveva regalato un anello di fidanzamento e aveva conosciuto i suoi genitori, così come i genitori di D avevano conosciuto E. Certe mie più giovani e spiritose lettrici penseranno che, data la mia veneranda età, mi stia riferendo come minimo al Risorgimento. Invece no, razza di screanzate, parlo di periodi recenti.
Ma andiamo avanti con la storia.
Un giorno, era settembre, chiesi a E di accompagnarmi in cartoleria perché volevo comprarmi un diario-agenda. La cartoleria era una cinquantina di metri più avanti rispetto a dove E doveva svoltare per andare a casa sua. Non era una gran deviazione dal percorso. Ma E nicchiava, cercava scuse, e io non le capivo e insistevo. Così alla fine E mi svelò il motivo della sua titubanza: D era molto geloso e voleva che lei dopo scuola tornasse subito a casa, senza fermarsi da nessuna parte e, soprattutto, senza allontanarsi dal percorso. Dritta a casa e sguardo a terra! Marsch!
“Ma la cartoleria è solo pochi passi più avanti. E poi che male c'è se mi aiuti a scegliere un diario?”
A quindici anni ero convinta che noi giovani potessimo fare tutto senza freni e costrizioni. Potevo capire che un genitore potesse imporre (o tentare di farlo) paletti e divieti, ma non concepivo neanche l'idea che un fidanzato potesse anche solo sognarsi di dettare regole di comportamento.
Per questo fui così insistente. E lei alla fine accettò.
Mi accompagnò in cartoleria e mi aiutò a scegliere il diario.
Ma non appena mettemmo piede fuori dal negozio, la vidi irrigidirsi e borbottare, preoccupata: “Oh, no! C'è D!”
“Embè?”, mi venne da dire, ma non lo dissi, “Mica stai rapinando una banca!”
Una battuta del genere non sarebbe stata ben accolta. E comunque non avrei avuto tempo di dirla, perché non appena la mia amica ebbe parlato vidi una furia in felpa e blue jeans che le si precipitava contro con espressione decisamente contrariata (senza neanche salutare, il cafone). Era il suo dolce D.
“Che ci fai qui?”, cominciò a sbraitare D, “Casa tua è più indietro. Perché ti sei allungata fin qui?”
E era così spaventata che non riusciva neanche a rispondere. La vedevo impallidita e tremante, e aveva un'aria talmente colpevole che sembrava che sì, dopotutto aveva davvero appena svaligiato una banca (oppure limonato con un altro, come evidentemente temeva D). Insomma, non riusciva neanche a esclamare un semplice “Sono andata in cartoleria, perché?”
Così, visto che non ci riusciva lei, cercai di suggerirglielo io come avrei fatto a scuola durante un'interrogazione. Siccome D mi dava le spalle e sembrava non avermi neppure visto, tanto era accecato dalla rabbia, pensavo di andare sul sicuro. Ma lei era così spaventata che mi fece beccare. Lui si accorse che lei stava sbirciando dietro le sue spalle e, forse pensando di trovare il suo rivale, si voltò di scatto gettandomi uno sguardo furibondo. E se fino a un'istante prima la mia mente ribolliva d'insulti per il dolce D, nel vedere quegli occhi carichi di furore il coraggio mi venne meno e, per tema di prendermi un pugno sul naso, balbettai timidamente che “eravamo solo andate a comprare un diario.” Lui mi guardò con disgusto: evidentemente non mi aveva creduto. Senz'altro in quei dieci minuti eravamo andate a fare le donnacce con uomini vogliosi e perversi. Così misi insieme un imbarazzato “Uh-come-s'è-fatto-tardi-devo-andare-be'-ci-vediamo-ciao!” e schizzai pavidamente via, lasciando la mia amica in balia del suo trottolino amoroso.
Quest'episodio mi lasciò esterrefatta, perché E mi aveva sempre detto che D era il suo grande amore, il suo cucciolotto morbidoso e altre amenità del genere, mentre io non riuscivo assolutamente a far conciliare quell'immagine con quella specie di cagnaccio ringhioso (e sia detto con rispetto per i veri cani, che quando ringhiano lo fanno per un motivo vero, a differenza del dolce D) che avevo appena incontrato. E comunque, mi chiedevo, come poteva E dire di amare uno che le mancava di rispetto a questo modo? Io non l'avrei mai, mai tollerato.
Se il mio fidanzato si fosse azzardato a trattarmi così, si sarebbe trasformato in un ex nel volger di un batter di ciglia, poco ma sicuro.
E invece E era contenta, perché secondo lei questa gelosia appassionata (per così dire) era una grande dimostrazione d'amore.
Il giorno dopo mi spiegò che aveva impiegato tutto il pomeriggio per farsi perdonare (farsi perdonare di che?, le domandai. Di avergli disubbidito, rispose lei. E io mentalmente augurai al dolce D cose molto brutte in confronto alle quali la maledizione di Montezuma non è nulla), ma che poi avevano fatto la pace e adesso erano di nuovo tutti cuoricini e coccole, anche se lui le aveva detto che avrebbe preferito se E non mi frequentasse più così spesso (ovvio, secondo lui io ero una bieca corruttrice di fidanzatine servizievoli e innocenti).
Voi penserete che queste erano cose che capitavano anticamente. Ma vi sbagliate. Capita anche adesso. Tra gente giovane. Sfogliatevi un po' questo libro, di Riccardo Iacona. Ci sono molti casi di questo tipo. Ragazze che nel momento in cui si fidanzano perdono ogni libertà. Giovani maschi ossessionati dalla paura di essere traditi. Che costringono le proprie partner a non frequentare più i vecchi amici. Che montano su tutte le furie per un sorriso, per un saluto, per una battuta scambiata con un altro giovane maschio. Neanche i cervidi nel periodo degli amori sono così aggressivi (e loro sanno essere molto, molto aggressivi). E, badate, non parlo degli assassini. Parlo di quelli che vengono definiti “i fidanzati buoni”. Di un comportamento che viene spesso considerato normale e accettabile.
Ma del resto, c'era anche nelle famigerate Cinquanta sfumature di Grigio, no? Al bel Christian Grey va il sangue alla testa se vede Anastasia chiacchierare con José.
“Tu sei mia, gli altri non devi neppure guardarli.”, come se la partner fosse una specie di bestiolina in calore pronta ad accoppiarsi con chiunque non appena le si toglie il guinzaglio. Vi piace farvi trattare così? Vi sembra romantico? Vi sembra anche solo lontanamente una forma di amore?
No, uno che mi tratta così non mi sta dicendo “Ti amo”, ma “Tu sei una cosa di mia proprietà, un oggetto che solo io posso usare”, e in sostanza mi sta facendo capire che per lui io come essere umano non valgo niente. Romanticissimo, eh?
Chi si ama si rispetta. E chi si rispetta non si tradisce. E quindi non ha bisogno di essere geloso.
Tutto il resto è fuffa!

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