Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, io avevo un'amica strana. Strana per me, beninteso. Ve ne ho già parlato, si tratta di S, quella che voleva sistemarsi a tutti i costi.
Oltre a quello di sistemarsi, lei aveva un altro chiodo fisso: era ossessionata dall'opinione altrui. Tutta la sua vita era scandita dalla stessa domanda: “Che cosa ne penseranno gli altri?”
Se mi vesto così, cosa penserà la gente? E se dico queste cose? E se mi muovo così invece che cosà? La cosa assumeva sfumature patologiche, perché lei arrivava a vivere non in base ai propri gusti, ai propri desideri, ma in base a supposte preferenze altrui. Cioè, in base a quel che lei pensava gli altri potessero approvare.
Mi è venuta in mente la mia amica proprio la settimana scorsa.
La settimana scorsa, infrangendo il mio grande tabù sullo sport, ho cominciato ad andare in piscina. Non c'ero mai stata prima e non sapevo un mucchio di regole. Così, una volta negli spogliatoi, ho giustamente chiesto informazioni alle altre bagnanti.
La mia mente malata ha cominciato a immaginarsi una conversazione con S, anche se ormai l'ho persa di vista da anni.
Ecco com'era, pressapoco:
S: Ma che fai, chiedi informazioni?
Io: Certo. Altrimenti come faccio a sapere cosa fare?
S: Ma sei matta? Cosa penseranno adesso quelle di te?
Io: Boh? Penseranno che è la prima volta che vengo in piscina?
S: Appunto.
Io: E che male c'è? È davvero la prima volta che vengo in piscina.
S: Sì, ma non devi farlo capire. È da sfigati.
Io: E perché mai?
S: Perché sì. Essere alle prime armi è da sfigati.
Io: Hai mai provato a farti vedere da uno bravo?
S: No, è da sfigati.
Questa conversazione era immaginaria, ma in passato ne abbiamo avute tante simili. Come quella volta che a momenti S svenne perché mentre eravamo insieme ai grandi magazzini io chiesi a un commesso maschio dove fosse il reparto biancheria intima femminile.
“Ma che fai?”, mi sibilò lei strattonandomi da una parte prima che il commesso potesse rispondermi, “Adesso che penserà quello?”
“E che vuoi che pensi?”, risposi io rifiutandomi di comprendere il suo punto di vista, “Che siamo ragazze che portano le mutande?”
Io il suo punto di vista non lo comprendevo, e non volevo comprenderlo, perché partivo da alcuni semplici concetti: 1) che la gente ha cose più importanti da fare che osservare maniacalmente quel che fa lei, o che faccio io, 2) e che comunque, che pensi quel che vuole. Che m'importa, per dire, se il barista storce il naso se metto troppo zucchero nel caffè? O se una perfetta sconosciuta trova strano che io non sia mai andata in piscina prima d'ora?
Una volta provai a dirglielo: “Scusa, ma anche se la gente pensa qualcosa, a te che te ne importa?”
Lei roteò gli occhi con espressione altamente drammatica e mi rispose che io “non capivo proprio come va il mondo”.
Che forse è vero, perché me lo dice spesso anche mia mamma, ma lei per altri motivi.
Io però ho una teoria: le persone ossessionate da quel che pensa la gente, sono generalmente le prime a impicciarsi e giudicare gli altri. E di gente che non ha altro da fare che occuparsi dei fatti altrui è pieno il mondo.
Nel mondo di Anna dai Capelli Rossi c'è un personaggio, la signora Harmon Andrews, che è proprio così. È la pettegola del paese. Quella che critica tutto e tutti, e la cui lingua velenosa tutti temono.
In “La casa dei sogni”, il quinto romanzo della serie, Anna esclama: “A quante cose belle rinunciamo per paura di quel che penserà la signora Andrews?”
Ma tutto questo potere alla signora Andrews gliel'abbiamo regalato noi, dando tanta importanza alle sue opinioni.
E come gliel'abbiamo dato, possiamo anche levarglielo.
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