Mia mamma dice che finché seguirò i miei gusti resterò povera per sempre. E forse ha ragione, visto che mi trovo spesso a leggere libri che nessun altro legge, scritti da autori di cui nessuno si ricorda. È il caso di Kindness to animals, or the sin of cruelty (gentilezza verso gli animali, o del peccato della crudeltà) di Charlotte Elizabeth Tonna. Non a caso sono l'unica ad averlo in libreria su tutta Anobii.
Eppure Charlotte Elizabeth, come preferiva firmarsi, non è una scrittrice da sottovalutare, perché oltre a essere molto prolifica, fu anche grazie all'influenza che i suoi libri ebbero sulla pubblica opinione che vennero promulgate, in Inghilterra, certe leggi a favore della classe operaia, per i diritti delle donne e contro il lavoro minorile.
Charlotte Elizabeth, nata Browne, vede la luce nel 1790 in Inghilterra e muore nel 1846, all'età di 55 anni. Si sposò molto giovane con un certo Capitano Phelan, col quale visse tra l'Irlanda e il Canada, ma non fu un matrimonio felice. Nel 1837 il Capitano morì, e nel 1841 lei risposò Lewis Hippolytus Joseph Tonna, autore di diversi pamphlet di carattere religioso. Anche Charlotte Elizabeth, pur essendo fortemente anti-cattolica (infatti pare che molte sue opere siano finite nell'indice dei libri proibiti), ha un'impronta fortemente religiosa.
Di fatto, questo libretto è inteso proprio come testo per le scuole domenicali, e in sostanza è un libro “di catechismo” che vuole insegnare ai bambini a rispettare gli animali. Per questo, e per la sua evidente vetustà, è praticamente impossibile giudicarlo con criteri moderni.
Il senso del testo è che anche gli animali sono creature di Dio, e farle soffrire è un peccato grave. Il succo è che chi maltratta gli animali, per crudeltà o, peggio ancora, per sbadataggine, va all'inferno. Charlotte Elizabeth non è una scienziata (e si vede perché, per esempio, è convinta che il morso dei cani sia velenoso) e non è neppure un'animalista ante litteram. È solo una donna che ama gli animali e non sopporta vederli soffrire. Anche quando è necessario abbatterli, sostiene, bisogna farlo nel modo più rapido e indolore possibile.
Il libretto è infarcito di frasi del tipo “brucerete all'inferno per l'eternità”, “il Signore vi punirà per questo”, citazioni bibliche eccetera eccetera. Del resto è un testo di catechismo, ed è normale che si parli di religione. Alle esortazioni religiose, però, sono mescolate esperienze personali e ricordi privati. Charlotte Elizabeth ha sempre avuto animali (cani, gatti, ma anche mucche, cavalli, pecore, una simpaticissima gallinella e perfino un orsacchiotto) e ritiene di avere una certa esperienza per poterne parlare. E per poter dire che maltrattarli è un crimine. Addestrare un cane picchiandolo o farlo vivere legato a una catena, portar via i piccoli a mamma-gatta, frustare un cavallo, privare un uccellino della libertà solo per il piacere di sentirlo cantare, sovraccaricare un asinello, strappare le ali a una farfalla, prendere a sassate una pecora e così via, sono peccati gravi, che denotano grettezza e codardia, perché rivolte verso creature innocenti che spesso non possono difendersi. E “non ci sarà misericordia per chi non ha avuto misericordia”.
Charlotte Elizabeth è anche importante per i suoi romanzi che mescolano fantasia e realtà, e si ispirano alla neonata civiltà industriale dell'epoca. Con tali romanzi lei si poneva l'intento non di intrattenere, ma di far riflettere la gente sui problemi concreti dell'epoca e di diffondere le sue idee politiche, tra questi spicca sicuramente "The wrongs of woman" (i torti delle donne), romanzo del 1844 che vuole essere una continuazione ideale dell'omonimo (e incompiuto) romanzo i mary Wollstonecraft (1798), e che espone il concetto di quel che è stato definito “femminismo domestico”.
Questa è una cosa interessante, perché come sappiamo nell'Ottocento la divisione tra uomini e donne era molto netta. Agli uomini spettava la sfera pubblica e alle donne quella domestica. Insomma, gli uomini al lavoro e le donne stavano a casa... ma questo se erano ricche. Quelle povere (e non solo loro, anche i loro bambini) dovevano sgobbare nelle nascenti fabbriche, perfino in miniera, a loro toccava sfiancarsi con lavori pesantissimi, altro che “stare a casa”. Questa forma di femminismo chiedeva che anche le donne (e i bambini) di umili condizioni avessero gli stessi diritti di quelle abbienti e potessero scegliere di rimanere a casa.
Forse è il caso di rispolverare i vecchi autori, certe volte...
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